Capitolo 3

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Si presupponeva che durante il proprio giorno di riposo, una persona dovesse dormire fino a tardi e poi rilassata come non mai, godersi il resto della giornata, magari facendo shopping.

Beh, non era il mio caso.

Soffiai un ciuffo della frangia e continuai a sfregare con un panno il muro ammuffito.
Una volta finito, guardai il risultato soddisfatta. Faceva sempre schifo, ma almeno ora le macchie verdi non c'erano più.
Andai verso le finestre arrugginite e nonostante la fatica iniziale e il cigolio, riuscii ad aprirle. L'aria fresca del mattino entrò immediatamente, circolando per tutte le stanze e speravo il vento leggero aiutasse a dissipare l'odore pungente della candeggina presente in casa e guardai l'ora: otto e trenta del mattino.
Con in corpo solo due ore di misero sonno, mi apprestai ad uscire per andare a comprare la vernice e magari riuscire a beccare qualche pezzo per arredare casa.

Mi guardai attorno al quartiere e mi accorsi di alcuni bambini che mi osservavano.
Avevano all'incirca dieci anni, alcuni forse dodici. Il loro sguardo era puntato verso di me minacciosamente. Avevano un'aria diffidente, come se fossero pronti ad un attacco da un momento all'altro. Abbassai lo sguardo verso le loro mani, strette in dei pugni, rendendo le loro nocche bianche e quei piccoli occhi ostili non si distoglievano da me neanche un secondo.
Ma ciò che mi colpì, o meglio, chi mi colpì fu una bambina. Aveva otto anni, mingherlina, con i capelli castani legati in una coda sfatta. Si nascondeva dietro uno dei fratelli che le faceva scudo con il corpo mentre i suoi occhi grandi marroni mi guardavano con incertezza. Il suo sguardo era attento ad ogni mia mossa, pronta anche lei, in caso di pericolo, a difendersi.

La realtà intorno a me si dissipò e ora di fronte a me vedevo una bambina bionda, gli occhi di un azzurro intenso, come il cielo in un giorno limpido, capaci di catturare la luce e rifletterla in modo quasi ipnotico. Ma la profondità di quegli occhi raccontavano storie di tristezza e di paura e celavano un mondo di sofferenza. Rividi me stessa.

Sentii le ferite che credevo di aver cucito con cura e lasciato dietro di me riaprirsi e il dolore di tutti quegli anni risgorgare dal mio petto. Era un dolore familiare, un eco delle paure e insicurezze che avevo provato dalla morte dei miei genitori. Mi sforzai a muovermi da lì e passai di fianco ai bambini con il cuore stretto in una morsa e mi dissi che ormai quello era il passato, ma suonava solo come l'ennesima bugia che raccontavo a me stessa.

Arrivai al negozio di vernici decidendo di non soffermarmi sull'episodio nel mio quartiere e sulla sensazione provata. Appena entrai, venni travolta dal profumo di legno e pittura fresca. Mi sentii come Willy Wonka nella sua fabbrica di cioccolato, circondata da infinite possibilità e meraviglie. Ogni barattolo di vernice, ogni pennello, ogni campione di colore rappresentavano una nuova opportunità di trasformare e dare vita agli spazi.

Nonostante le condizioni in cui avevo visto l'appartamento la prima volta, nella mia testa c'era solo l'idea finale di come l'avrei rivoluzionato.

Mi illuminai di fronte alla vasta scelta di colori e finiture. Le tonalità variavano dal bianco puro alle sfumature più intense di blu, verde e rosso. Ogni colore sembrava raccontare una storia diversa, evocare un'emozione unica. Mi sentii sopraffatta.

Mentre scrutavo gli scaffali, cercando di decidere quale vernice sarebbe stata migliore e allo stesso tempo cercando quella più economica, una voce profonda e avvolgente, dietro di me, accarezzò la mia pelle.
"Hai bisogno di una mano?"

Mi girai e vidi gli occhi penetranti di Silas osservarmi attentamente. I suoi capelli scuri cadevano come morbide ombre intorno a un volto dai tratti scolpiti, come se plasmato da una mano divina. I miei occhi scesero, soffermandosi sul dolcevita nero che aderiva perfettamente al suo corpo scolpito. I pantaloni eleganti accentuavano la sua figura slanciata e il cappotto nero che indossava conferiva classe al suo abbigliamento.
Mentre lo guardavo, non potevo fare a meno di pensare a quanto fosse bello. Ma non la classica bellezza, aveva un magnetismo brutale che stregava i sensi. Era carico di una potenza oscura e seducente.

Mi riscossi e cercai di ricordarmi cosa mi avesse chiesto, senza riuscirci. Ero ancora scombussolata.

"Come?" gracchiai. Non mi capacitavo di come il mio corpo ogni volta che era vicino a lui reagisse in quel modo e la mia voce diventava un flebile suono.

"Ti ho vista concentrata guardando i vari tipi di vernice e ho pensato potessi aver bisogno di una mano" disse avvicinandosi un po' di più. "Io sono Silas" aggiunse, allungando la mano verso di me.

Guardai la sua mano tesa verso di me ed esitai. Sentii un nodo formarsi nello stomaco.
Lui vedendo che non rispondevo alla sua stretta, sorrise e abbassò la mano, facendo finta di nulla.

"Luna" sussurrai. Il suono del mio nome falso lasciò una sensazione amara in bocca, dandomi un senso di disagio. Mi sembrava così sbagliato presentarmi a lui con questo nome e non con Elara, quello vero.

"E' un bel nome" mi disse, con gli occhi che sembravano scavarmi sempre di più, come se volessero scoprire la verità.

"Comunque no, la ringrazio, sto semplicemente dando un'occhiata e penso di aver già trovato quello che mi serve" risposi alla sua domanda iniziale, ignorando il complimento sul nome.

Annuì, accettando la mia risposta.
"Dammi del tu, per favore."

"Oh!" e chiusi gli occhi a quell' oh imbarazzante appena uscito dalla mia bocca. Stavo veramente dando spettacolo.

"Non è il periodo migliore per tinteggiare casa" affermò, il sorriso sempre sulle labbra, non facendo caso alla mia scena pessima. "Con il freddo che c'è, non puoi neanche aprire le finestre per far cambiare aria."

Ah, se avesse saputo. "Diciamo che c'è stato un piccolo inconveniente", decisamente grosso direi, "E quindi ho dovuto agire di conseguenza."
"Lei... volevo dire, tu invece come mai da queste parti?" mi corressi subito dopo aver visto il suo sguardo di rimprovero.

"Vorrei dirti che cercavo qualcosa per la mia casa, ma mentirei" ironizzò. "Il mio lavoro si trova in fondo alla strada e mentre passavo in macchina ti ho vista entrare e speravo questa volta accettassi il mio invito a prendere un caffè insieme."
Mi guardò, attendendo una mia risposta e nella mia testa immagini di noi due che prendevamo un caffè, raccontandoci aneddoti divertenti, iniziavano a prendere forma. Poi magari dopo un caffè, potevamo andare anche a pranzo insieme e, chissà, forse anche a cena.
Chi volevo illudere?

"Silas", il suo nome scivolò dalla mia bocca in maniera così naturale, come se le mie labbra avessero atteso anni solo per pronunciarlo. "Non posso accettare. Non è il periodo migliore questo e non riesco a permettermi neanche di prendermi un caffè. Mi dispiace." Mi permisi di essere sincera, almeno in questo. E pensavo di potermi sentire meglio dopo questo unico accenno di verità, invece, una sensazione di delusione pervase il mio corpo.

"Certo, lo capisco" affermò, senza lasciar trapelare alcun'emozione. Sicuramente con le donne che impazzivano per lui, il mio rifiuto gli faceva poca differenza. "Vorrà dire che ci vedremo alla festa per l'anniversario dei trent'anni anni di Carlos. A presto... Luna."

E con queste sue ultime parole, uscì dal negozio facendomi l'occhiolino, e io mi ritrovai a chiedermi perché il mio cuore avesse preso a battere così forte al pensiero di rivederlo ancora. E soprattutto, perché stavo contando i giorni che mancavano alla festa di anniversario del ristorante.

***
Come vi sta sembrando fino ad ora? Preparatevi per i prossimi capitoli, ci saranno scene molto interessanti che renderanno la storia più intrigante e la curiosità di sapere il segreto di Elara crescerà sempre di più.
Baci 💋

ig: amelieheartstories

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