Capitolo 18

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Entrai nella palestra incazzato nero

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Entrai nella palestra incazzato nero. La porta sbatté contro il muro con un fragore che riecheggiò nell'edificio vuoto. Ogni passo risuonava della mia rabbia, il sangue che mi pulsava nelle tempie, le mani che si chiudevano a pugno fino a sbiancare le nocche. Le parole di Luna continuavano a martellarmi in testa: voleva dimenticare quanto successo. Come se quanto accaduto tra di noi fosse stato nulla, un errore da cancellare.

'Dobbiamo tenere il rapporto professionale,' aveva detto, come se potessimo semplicemente relegare tutto in un angolo buio e far finta di nulla. E poi, per aggiungere al danno la beffa, si era fatta accompagnare a casa da quel coglione del suo collega, Ares. Mi chiedevo se si fosse sentita male con lui in macchina, o se fosse riuscito a farla calmare come avevo fatto io. L'immagine di lui che le teneva le mani, che la rassicurava, mi faceva bollire il sangue.

Ieri sera, Julian, la guardia del corpo, mi aveva chiamato per avvisarmi. Avrei voluto subito prendere la macchina e andare da lei a chiedere spiegazioni, ma erano le due di notte. Sapevo che avrei rischiato solo di spaventarla di più. Quindi, oggi, appena terminato una serie di riunioni di lavoro, ero andato subito da lei. E cosa ne avevo cavato? Niente, se non la sua freddezza e quella dannata frase: 'Dimentichiamo quanto successo.'

Lars era già lì, pronto a tenermi il sacco da box. Gli avevo scritto un messaggio secco, senza spiegargli nulla, solo di farsi vedere lì. Lui mi guardò con un misto di preoccupazione e curiosità quando entrai sbattendo la porta. "Cosa ti ha fatto incazzare così tanto?" chiese, mentre si preparava.

Non risposi. Mi limitai a mettermi i guantoni e a posizionarmi davanti al sacco. Cominciai a tirare pugni, ogni colpo un tentativo di liberarmi della frustrazione che mi attanagliava. Ma Lars continuava a insistere, cercava di farmi parlare, come se le sue parole potessero placare il fuoco dentro di me.

"Silas, cosa diavolo è successo? Riguarda per caso Luna?"

A quel punto persi il controllo. Sbatté contro il muro, i suoi occhi allargati per la sorpresa. "Chiudi quella cazzo di bocca," ringhiai, il respiro affannoso, le mani che lo tenevano stretto.

Lars sorrise, quel sorriso da idiota che mi faceva sempre venire voglia di prenderlo a pugni. "Sì, sei proprio perso per lei," disse, come se stesse commentando il tempo.

"Ancora una parola e ti faccio stare zitto io," risposi, lasciandolo andare e tornando al sacco.

Iniziai a sfogarmi, ogni colpo una liberazione momentanea della rabbia e della frustrazione. Sentivo i muscoli bruciare, ogni fibra del mio corpo gridava per lo sforzo, ma la testa era piena delle parole di Luna. 'Dimentichiamo quanto successo.'
Come poteva pensare che fosse così facile? Come poteva pensare che sarei riuscito semplicemente a far finta di nulla?

Ogni colpo era una domanda senza risposta, ogni pugno un grido di rabbia. Volevo dimenticare, volevo andare avanti, ma non riuscivo. Non con lei, non con quello che mi faceva provare. Il sacco oscillava violentemente, come se potesse comprendere e sopportare tutto il peso della mia frustrazione. Ma non bastava. Nulla sembrava bastare per placare il tumulto dentro di me.

Quando finalmente mi fermai, sentivo i muscoli doloranti, il sudore che mi colava lungo la schiena. Guardai Lars, che mi osservava in silenzio. "Torna ad allenarti," dissi, la voce roca. E lui, per una volta, obbedì senza fare domande.

Il telefono prese a squillare, un suono tagliente che interruppe il flusso dei miei pensieri furenti. Mi tolsi i guantoni, il sudore che mi colava lungo le braccia, e afferrai il dispositivo con una stretta ancora rigida dalla tensione. Sullo schermo apparve il nome di Avery, mia sorella. Risposi, e subito il suo tono entusiasta cominciò a calmare il tumulto che mi agitava.

"Fratellone! Come stai? È da un po' che non mi chiami, mi era mancato sentire la tua voce burbera," esclamò lei, la sua risata che riecheggiava attraverso il telefono. Il suono della sua voce, così pieno di gioia, fece lentamente sciogliere la morsa di frustrazione e rabbia che mi stringeva il cuore e l'anima.

"Avery, sto bene, incasinato con il lavoro come al solito, per quello non sono riuscito a chiamarti. Anche a me era mancata la tua voce stridula," risposi con affetto, prendendola in giro come facevo sempre.

"Voce stridula, eh?" rispose lei, fingendo di essere infastidita ma ridendo. "Beh, sappi che mancano pochi giorni e arriverò anch'io, tre giorni prima della festa. Sei entusiasta di vedermi?"

"Sì, certo che lo sono," risposi, ma il nominare la festa mi riportò inevitabilmente a pensare a Luna. Il lavoro meraviglioso che aveva fatto, la sua dedizione e il talento inaspettato. Non era la sua professione, ma vedendo la maestria con cui aveva trasformato il nostro stabile, ero certo che molte persone sarebbero state interessate ad assumerla. Questo pensiero mi infuse un calore sottile, una fiammella di orgoglio e ammirazione.

Ma subito dopo, un'ombra di amarezza mi attraversò. Una volta finito questo evento, non l'avrei più vista quotidianamente. La mia mente tornò alle sue parole: 'Dimentichiamo quanto successo.' Non mi capacitavo di come queste parole mi avessero irritato così tanto.

"Silas? Sei ancora lì?" La voce di Avery, un filo di preoccupazione ora, mi riportò alla realtà.

"Sí, scusa. Ero solo... perso nei miei pensieri," risposi, cercando di mantenere un tono leggero. "Come stai tu? Come vanno le cose all'università?"

"Oh, tutto bene," rispose Avery, il suo tono più leggero. "Ho finalmente dato quasi tutti gli esami e terminato quel progetto di cui ti avevo parlato. Non vedo l'ora di tornare e rilassarmi a casa."

"E io non vedo l'ora di vedere quelle guance paffutelle," la presi in giro, sapendo che si irritava quando lo facevo. "È passato troppo tempo da quando le ho strette forte."

"Non sono paffutelle!" obiettò, ma percepivo la sua voce piena di quella gioia contagiosa.

"Ti devo salutare, c'è Lars che sta aspettando che gli spacchi la faccia," dissi, facendo per salutarla e ritornare al sacco.

"Oh, sei con Lars?" il suo tono di voce, se possibile, salì di qualche ottava, tradendo un misto di sorpresa e interesse. Mi accigliai per un attimo, ma come se nulla fosse, mi salutò anche lei. "D'accordo. Allora ci sentiamo presto. Ti voglio bene, Silas. Saluta anche Lars." E con questo chiuse la chiamata.

Rimasi ancora accigliato, riflettendo sulla strana reazione di Avery, quando Lars mi chiese chi fosse al telefono. "Era mia sorella," risposi.

"Ah, Scoiattolino sta tornando?" disse Lars con un sorrisetto, utilizzando il nomignolo che le avevamo sempre dato per le sue guance più tonde, facendola sembrare un piccolo scoiattolo.

"Sì, e se lei ti sente chiamarla così, non ti devi preoccupare del pugno che ti tirerò io ma di quello che ti darà lei," risposi, immaginando già la scena. Lars scoppiò in una risata, un suono che riempì l'aria e dissipò un po' della tensione che avevo accumulato.

"Beh, con questo sottofondo allegro, decido che per oggi ho smesso di tirare pugni. Devo tornare a casa," disse Lars, ancora ridendo, mentre si allontanava, lasciandomi solo con i miei pensieri.

Rimasi lì, il silenzio della palestra che mi avvolgeva, i pensieri che tornavano a quel dannato discorso con Luna. Avevo bisogno ancora di sfogarmi, e non c'era modo migliore che farlo contro quel sacco da boxe, fino a quando i muscoli non avrebbero più retto.

🦋🦋🦋
Un po' arrabbiato il nostro Silas eh?
E abbiamo avuto un piccolo accenno anche di Avery, come vi sembra?
Spero voi abbiate apprezzato questo capitolo, sapete che quelli di Silas mi piace non farli lunghi.
Ci vediamo mercoledì prossimo, un abbraccio 🫂❤️
Ig: amelieheartstories

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