10. Rabbia e disperazione

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Alla fine, non ce l'aveva fatta. Aveva provato, come ogni anno, aveva fallito, come ogni anno.

Aveva davvero creduto che sarebbe bastato distrarsi anche fisicamente, allontanarsi dal luogo per lasciarsi alle spalle emozioni, sensazioni, ricordi, ma quelli lo avevano travolto prima del tempo, imprigionandolo, impedendogli di scappare. Pretendevano un confronto, al quale, Blaze, come ogni anno, si sarebbe presentato, ma restando passivo, lasciandosi travolgere. Stava diventando insostenibile.

Scosse la testa, si grattò la cute con una certa veemenza, finché la pelle non prese a bruciare. Afferrò il bordo del lavandino e sollevò lo sguardo per incontrare il proprio riflesso nello specchio. Le rughe sembravano essersi accentuate intorno agli occhi e alle labbra – e sapeva che non era soltanto una questione di età. Era pallido, i capelli arruffati – si accorse di nuovi intrusi bianchi che fino al giorno prima non ricordava esserci stati.

Dovresti distrarti. Ci aveva provato, sul serio, aveva organizzato la gita fuori porta con i ragazzi, ma, all'ultimo minuto, aveva dovuto rimandare. Rimandare, non cancellare, perché aveva agito troppo tardi e non aveva avuto possibilità di annullare la prenotazione. Ma lo sapevi.

Scrollò le spalle, chiuse la conversazione con il proprio riflesso – se avesse smesso di guardarsi, le domande avrebbero smesso di tormentarlo? Ne dubitava, ma, almeno, ci avrebbe provato. Come sempre, e come sempre avrebbe fallito, lo sapeva.

Uscire con gli amici poteva rivelarsi una buona soluzione?

Da quanto non li chiami?

Un mese e tre settimane.

Saranno incazzati.

No, sanno perché sono sparito.

E te l'hanno lasciato fare.

Si sgranchì il collo, la testa così satura di pensieri che gli parve di sentirli scivolare come un peso reale, da una parte all'altra, seguendo i suoi stessi movimenti.

Mi stanno soltanto lasciando spazio.

Stronzate.

Sanno che voglio restare da solo. Con lui.

Ma lui non c'è più.

Grugnì di frustrazione e uscì dalla stanza. Aveva bisogno di caos, suoni – e di qualcosa di forte per stordire la sua voce interiore.

Il cellulare squillò proprio mentre usciva dalla sua camera da letto. Luke gli aveva lasciato un messaggio nella loro chat privata, Strano. Aggrottò la fronte, lesse il messaggio in anteprima. Quando arrivò alla fine della prima frase decise di ignorarlo e di non andare oltre. Per curiosità, si decise di dare una controllata alla chat comune, e ricordò soltanto in quel momento di averla silenziata. Quando, perché?

Quando non lo ricordava affatto, il perché, tuttavia, lo conosceva bene e ciò lo aiutò a ricostruire le proprie azioni: aveva silenziato la chat durante uno di quei momenti in cui si era sentito più fragile, del tutto impossibilitato ad affrontare l'argomento con altri. L'istante preciso non lo ricordava ancora e ciò lo spaventò: stava perdendo la presa sulla realtà. Pericoloso.

Scoprì più di cinquanta messaggi non letti, l'ultimo era stato inviato da Albert quella stessa mattina. Una sola parola accompagnata da un punto interrogativo – il suo nome.

Hai visto?

Dovresti rispondere, idiota.

Ci penserà Clare.

Ripose il cellulare in una tasca dei pantaloni e si diresse nella zona giorno.

Mezza giornata libera a meno di sei giorni dall'anniversario della morte di Paul: pericoloso. Si recò in cucina senza guardarsi intorno, aprì il frigorifero, recuperò una bottiglia di birra. L'orologio sopra la televisione segnava le quattro del pomeriggio – forse, era troppo presto per iniziare a bere? Recuperò un pacco di patatine, lo aprì e lo abbandonò sul bancone, finendo per rivolgersi verso la zona soggiorno. E si accorse di non essere da solo.

FIREFLY ~ Una Luce Nel BuioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora