22. Stanchezza e velo

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Aveva stretto amicizia con Vashti e Marissa tramite Clare, da circa quattro anni, e, nonostante i buoni propositi, non si fidava più molto di Clare, né di tutti quelli che le giravano intorno. Tuttavia, conosceva abbastanza le due da saperle delle professioniste. E questo gli era stato sufficiente per presentarsi da loro.

Era stato un pomeriggio complesso, afoso, inconcludente. Mentre guidava, in direzione del Whittier Narrows, non poté fare a meno di riprendere la discussione avuta con le due. Era sera, le strade in direzione del parco non erano molto affollate – era il motivo per cui aveva deciso di recarsi lì, anziché scegliere un luogo più vicino a loro.

Viaggiare in auto lo aiutava a riflettere, che potesse farlo pure senza doversi sentire assorbito dal traffico era anche meglio. Guidare lo teneva concentrato, lo preferiva al farsi portare a spasso da Maurice – un'altra cosa che non aveva in comune con sua madre. 

Gabriel sonnecchiava sul sedile posteriore. Martha gli aveva detto che era stato poco sveglio durante le ore precedenti, ma Blaze capiva pure che il giovane aveva accumulato fin troppa stanchezza. Aveva mangiato poco, questo lo impensieriva di più: aveva bisogno di energia per affrontare tutto quello e lui era già esile di suo.

Sbirciando dallo specchietto retrovisore, notò Drake appiccicato a Gabriel nella semioscurità dell'abitacolo, che gli accarezzava i capelli, mentre gli occhi tentavano di restare aperti. Oscar alitava sopra le loro teste dal bagagliaio, più sveglio di tutti, persino più sveglio di Lucy, anche se, seduta accanto a lui, in teoria, quest'ultima lo stava aiutando a seguire le indicazioni di Maps per raggiungere il luogo. «Alla prossima uscita devi svoltare a destra.» disse sbadigliando sonoramente.

Viaggiare in tarda serata aveva il suo perché. Fuggire da Los Angeles come se avessero i diavoli alle calcagne era tutta un'altra storia. E i diavoli in questione erano le stesse leggi che regolamentavano il loro Stato.

Se rifletteva in maniera obiettiva poteva, persino, non incazzarsi, darsi spiegazioni soddisfacenti, condividerle, addirittura. Poteva comprendere fino in fondo i perché di Marissa e Vashti. Ma lui non era più obiettivo da diverse ore, ormai.

Gabriel sembrava caduto all'interno di un tunnel fatto di ricordi e incubi, dal quale pareva non essere in grado di uscire, non dopo aver svelato, finalmente, i propri tormenti a qualcun altro. Era questo che gli impediva di ragionare in maniera lucida.

«Se almeno avessimo l'esito del kit anti-stupro.» peccato che non esistesse nulla del genere.

«Potremmo tentare di chiedere un'ordinanza restrittiva, per tenere Paxton lontano da lui

«Ma non ci sono denunce pregresse, niente di niente. Anche quelle poche volte che Gabriel si è presentato in ospedale, per farsi medicare, non l'ha mai denunciato. Sarebbe, comunque uno spreco di risorse, difficile che...»

Scosse la testa, zittì i ricordi delle parole di Marissa e Vashti che si inseguivano dentro la propria testa. Aveva ripensato al loro incontro decine di volte, aveva osservato la scena da ogni angolazione, vagliato i molteplici significati che potevano assumere parole e frasi contemplate da un punto di vista obiettivo, prive dei sentimenti di rabbia che lo avevano animato durante quel pomeriggio.

«Potremmo chiedere a Luke di aprire un'inchiesta. Paxton ha un comportamento narcisistico patologico con Wright, sicuro ha manifestato questi suoi... “sintomi” con tutti coloro che ha frequentato. Ma ci vorrà del tempo prima che Luke riesca a trovare abbastanza materiale da poterlo attaccare attraverso un articolo, e il suo capo dovrebbe acconsentire alla pubblicazione di una notizia del genere...»

«È difficile mettersi a fare la guerra al figlio del Procuratore, senza avere nulla di concreto con il quale combattere.»

Le aveva odiate. Gli era scappata di bocca più di una parola poco gentile nei loro confronti, ma entrambe l'avevano subito rimesso al suo posto, gli avevano fatto capire che il suo atteggiamento non sarebbe stato d'aiuto per nessuno. Meno che mai per Gabriel. Batté un pugno sul volante.

«Papà?»

Si era quasi dimenticato di Lucy. «Scusami.» aveva passato l'intero pomeriggio a scusarsi. Sospirò e con la coda dell'occhio notò la figlia rannicchiarsi sul sedile, il cellulare scivolò sulla seduta, lo schermo si oscurò.

Per fortuna, erano quasi arrivati. La sua geniale idea consisteva nel passare la notte in auto, soltanto il mattino dopo si sarebbe assicurato di poter campeggiare nel parco, ma, nel frattempo, era riuscito a mettere qualche chilometro di distanza tra sé e l'incubo che li aveva travolti a casa.

Parcheggiò nei pressi del lago, scese dalla macchina e subito Oscar abbaiò. Per evitare che svegliasse gli altri, lo fece scendere dal mezzo, e cominciò a camminare lungo la riva con lui.

Aspettare non era il suo forte. Aspettare che cosa, poi? Che Paxton tornasse alla carica, per poi convincere Gabriel a denunciarlo, costruire un “passato” di testimonianze, per poterlo, infine, accusare pubblicamente e combatterlo? Gli sembrava assurdo. Troppo tempo. Troppe variabili. Troppe incognite. Troppi pericoli. Era tutto troppo da sopportare.

Capiva sempre più le preoccupazioni di Martha, gli scappò un sorriso. Un marchio, una punizione divina, tuttavia, ripensando ai loro, brevissimi ed effimeri, trascorsi romantici, Blaze non riusciva a pentirsi, non riusciva neanche a immaginarsi di voltarsi dall'altra parte e di rinunciare a lui.

Il velo si stava facendo sempre più sottile, quella situazione stimolava il suo io più profondo, lo faceva sentire appagato, gli dava uno scopo.

«Hey.» e Gabriel era lì, a pochi passi da lui, ancora pallido, i capelli arruffati, gli occhi un po' gonfi. Sbadigliò e poi si passò una mano sulla parte posteriore collo, massaggiandola un po'. «Dove siamo?»

«Whittier Narrows.»

Aggrottò la fronte. «Non è lo stesso parco dell'altra volta.»

«L'altra volta siamo stati a Topanga. È dall'altra parte, un viaggio più lungo.»

Annuì e si strinse nelle braccia. L'aria era frizzante, le foglie degli alberi frusciavano cantando una musica leggera. La luna splendeva, piena e brillante, riflettendosi sulla superficie del lago. L'erba era abbastanza lunga da accarezzargli le caviglie nude.

Gabriel compì qualche passo in avanti, indossava un cardigan, era fine agosto, ma continuava a rabbrividire. Si fermò vicinissimo a lui, gli occhi bassi, le braccia strette intorno al busto. Lo accolse in un abbraccio e gli baciò la fronte, lo sentì sospirare – senza possibilità di fraintendimento, quella volta. E sospirò a sua volta, di sollievo: constatare che gli andasse bene farsi toccare da lui era una forma di gioia, piccola, ma dai possibili risvolti immensi, era una speranza, l'inizio di un cammino che, forse, li avrebbe condotti fuori dal tunnel. «Ti va di mangiare qualcosa?»

Si strinse nelle spalle e scivolò sul suo corpo, senza staccarsi da lui, ma rivolgendo lo sguardo verso il lago. «Non ho molta fame.»

«Va bene.» non avrebbe insistito, né su quel punto né su qualsiasi altro: era ancora preoccupato, ma sapeva bene quanto a se stesso desse fastidio l'insistenza con cui gli altri cercavano di ottenere “progressi” da lui. Gabriel aveva bisogno di tempo e glielo avrebbe dato – questo no, non gli sembrava affatto uno spreco di tempo.

«Possiamo stare un altro po' così?»

Gli baciò la sommità del capo, inspirando a pieni polmoni il profumo dei suoi capelli. Il velo sempre più sottile, quasi trasparente, ormai. «Possiamo stare così tutto il tempo che vuoi.»

FIREFLY ~ Una Luce Nel BuioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora