Capitolo 30

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«La vera grandezza non si misura in ciò che possiedi, ma in quanto sei capace di donare senza riserve.»

Evie

Stringo il bordo della vasca e tremo, il freddo mi penetra fino alle ossa. Ho appena fatto una doccia, ma non riesco a muovermi. Sono riuscita solo a indossare l'intimo e una canottiera, incapace di fare di più nonostante stia gelando. Le gocce d'acqua scendono lente dalle ciocche dei miei capelli, cadendo sulle cosce e disegnando sentieri freddi sulla mia pelle. Rabbrividisco, il buio della stanza mi avvolge come una coperta fredda e opprimente, amplificando la sensazione di vulnerabilità.

La mia mente mi sta uccidendo, un pensiero dopo l'altro mi affoga. Il mio respiro è irregolare, affannoso, e cerco disperatamente di mettere insieme tutti gli eventi delle ultime ore. Sono passata dal vivere l'esperienza più eccitante della mia vita al dover lavarmi via il sangue di dosso di qualcuno che è riuscito a salvarmi, e soprattutto a salvare mia sorella.

Il contrasto tra queste emozioni è troppo forte, troppo crudo, ed io sono troppo stanca per sopportare altro.

Il rumore delle nocche che sbattono sulla porta mi fa sussultare lievemente. Il cuore perde un battito perché so chi é e cosa vuole, ma non riesco a muovermi. Il suono è quasi sovrumano nel silenzio della stanza, ma il mio corpo rimane immobilizzato.

Declan varca la soglia, il suo profumo mi colpisce come un'onda anomala, la sua figura riempie l'ingresso e alla sua presenza stringo ancora più forte la ceramica della vasca.

Incapace di alzare lo sguardo su di lui, sento il peso della sua preoccupazione e del suo giudizio.

«Ti senti meglio?» La sua voce è un sussurro che sembra rimbombare nella stanza. Si ferma a pochi passi da me, il suo corpo mi sovrasta come una montagna.

Mi guarda con un'intensità gelida e so esattamente perché, ma non so se riesco a sopportarlo.

Annuisco, mento. Dentro di me, vorrei solo crollare a singhiozzi tra le sue braccia, lasciarmi andare fino a non avere più lacrime in corpo. La vergogna mi consuma, mi vergogno a guardarlo negli occhi, perché so che ha dovuto sborsare denaro per saldare un debito che non gli appartiene.

«Evie?» Si abbassa sui talloni, portandosi al mio livello. Cerca il mio sguardo, lo trova, ma è privo di ogni emozione. «Voglio delle spiegazioni.»

La sua voce ha la solita autorità, è arrabbiato, ma cerca di nasconderlo. Le sue parole sono come lame, tagliano attraverso il mio stato di torpore.

«Non c'è nulla da spiegare.» Annaspo nel mio stesso respiro, sento le parole uscire frammentate. «Penso tu abbia già capito tutto.»

«Non è quello che intendo...» Ringhia, la rabbia si fa più evidente. «Perché non me lo hai detto? Avremmo potuto evitare questo cazzo di casino, non credi?»

«Cosa?» Rido istericamente, una risata che non ha nulla di gioioso. Mi afferro i capelli e li tiro indietro, cercando di reprimere le lacrime. «Sarei dovuta venire da te e ti avrei dovuto chiedere settantamila dollari perché mio padre ha dei debiti con dei criminali? Come potevo farlo?»

Adesso sono io ad avere un debito.

La cifra mi risuona nella mente come un'eco, amplificando il senso di disperazione e impotenza nel sapere che non potrò mai riuscire a ripagarlo.

«Avresti dovuto dirmi tutto.» La sua mascella si tende, la tensione è palpabile. «Avresti dovuto raccontarmi la situazione fin dall'inizio, e non parlo solo di Walker.»

Scuoto il capo, alzo gli occhi al cielo sperando che le lacrime rimangano ferme dove sono. Sento le sue mani sulle cosce, i suoi polpastrelli che affondano leggermente nella mia carne, trasmettendo una sensazione di calore che contrasta con il freddo che mi avvolge.

Fire in my bloodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora