Capitolo sette

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CONNOR

Scendo le scale velocemente, Sophie è dietro di me. Il pensiero che sia qui mi rilassa, è una ventata di aria fresca dopo i tre giorni passati in casa ad assistere Caleb. È innegabile, mi mette uno strano buonumore averla intorno, mi sento a mio agio quando sono con lei, e devo ammettere che non mi capita spesso. Sono sempre stato più introverso rispetto a Caleb, e fare amicizia non mi è mai riuscito bene, senza contare che non amo le persone in generale, per cui trovare qualcuno che apprezzo non è poi così scontato. Quando ho conosciuto Martha e mi sono accorto che eravamo così simili ho pensato che mi fosse toccata una fortuna sconsiderata che non meritavo, perché se è vero che mio fratello è identico a me nell'aspetto, Martha mi somiglia nell'anima. E per tutta l'infanzia e l'adolescenza non ho avuto motivo di cercare altro, perché la mia piccola bolla con Caleb e Martha mi dava tutto ciò di cui avevo bisogno: io e lei circondati da nuvole di pensieri scuri ed emozioni intabarrate, ci leccavamo le ferite leggendoci negli occhi in una lingua che solo noi conoscevamo; Caleb che, in mezzo a noi, sbrogliava matasse di silenzi, apriva le finestre di quei luoghi oscuri e faceva entrare la luce, salvandoci da noi stessi. Eppure, ora sembra che l'oscurità abbia inghiottito anche lui, ma io e Martha non siamo bravi come lui a salvarlo da sé stesso. Tutto è cambiato da quando io e Martha abbiamo iniziato a uscire insieme; Caleb si è distaccato, lasciandoci spazio, mettendosi agli angoli delle nostre vite e portando luce ad altri. Ed è quando mi è mancata che mi sono reso conto di quanto mi serviva. Separarci ulteriormente a causa dell'università non ha fatto che peggiorare la situazione; tuttavia, la stessa luce l'ho scorta nel sorriso di Sophie, in quella biblioteca, un anno fa.
Con lei sento che è scattato qualcosa, una complicità istantanea, anche se abbiamo personalità totalmente opposte: io la pioggia, lei il sole, io la montagna, lei il mare, io la notte, lei il giorno. O, come a lei piace riassumere, io un orso, lei un panda.
Non gliel'ho detto quante volte ho lottato coi sensi di colpa, per aver cercato ancora la sua testa rossa in quella biblioteca dopo la prima volta, e soprattutto non ho menzionato la delusione che ho dovuto inghiottire ogni volta che notavo che non c'era. Quando mi sono fatto convincere da Martha a provare un nuovo sport per cercare di farmi degli amici che non fossero lei e quelli del suo gruppo di studio, tutto ho pensato tranne che l'avrei rivista. Mi è sembrato un chiaro segno del destino che dovessimo essere amici, e la sua presenza lì, fuori da quel campo, ha decretato immediatamente che avrei preso l'impegno di stare in quella squadra.
Ho notato che Martha non si fa contagiare dal suo entusiasmo come me, in sua presenza, anzi, credo che la sopporti poco. E gli sguardi e le risposte che le ha dato dieci minuti fa sono state una prova incontrovertibile. Non ho intenzione di discuterne con lei al momento, soprattutto visto il suo umore e col clima che c'è in casa; tra lei, Caleb e mio padre, la situazione è davvero pesante, e aggiungere altra carne al fuoco mi sembra poco saggio. Questo è il motivo per cui ora mi sono fiondato così velocemente fuori casa: ho bisogno di leggerezza e buonumore, e Sophie sa darmeli. Mi sento in colpa per questo? Certo che sì, io vivo nel senso di colpa da più di un decennio ormai. Mi ha fermato dal farlo? Ovviamente no, perché a lungo andare, è come se non sentissi più niente. Il senso di oppressione mi ha intorpidito, e rimanere in contatto con le mie emozioni, persino riconoscerle, è sempre più difficile.

Arrivo davanti alla porta d'ingresso del palazzo e mi arresto per aprirla, ma sento una spinta giungere da dietro. Sophie mi è venuta addosso e mi riscuote dai pensieri.

«Oh, scusami, non pensavo ti fermassi,» si giustifica.

Alzo gli occhi al cielo, ma sto sorridendo. «Hai ragione, di solito attraverso le porte. Oggi volevo provare il brivido di aprirne una,» commento.

«Okay, Mr. Sarcasmo, andiamo,» ride lei, dandomi un'altra leggera spinta oltre la porta.

Quando arriviamo all'auto, entra dentro praticamente cadendo sul sedile.

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