Capitolo dodici

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MARTHA

Non ho idea di come sia andato il mio ultimo esame. Queste prime giornate di gennaio sono state un inferno, e anche la mia concentrazione ne ha risentito. Il mio gruppo di studio mi ha aiutato ma ovviamente non può fare miracoli. Si sono accorti un po' tutti che ero fuori fase, e non è difficile da credere. Sembra che dormire sia diventato un passatempo non più di mio gradimento, perchè mi ritrovo tutte le notti a fissare il soffitto dell'alloggio che divido con una coinquilina fantasma e a ripensare costantemente a tutto ciò che avrei potuto fare di diverso la sera di Capodanno. Ma ogni scenario che immagino avrebbe portato esattamente a ciò che è successo dopo essere praticamente volata fuori dall'auto di Caleb.

Ho fatto una chiamata che ha segnato definitivamente la mia situazione con lui.

***

Sto piangendo talmente tanto che non riesco quasi a vedere il numero che sto chiamando. Una voce maschile mi risponde frettolosamente.

«Ulysses' Tavern.»

«Cerco Nora, è in servizio?»

La voce che mi esce trema per il freddo e per le lacrime.

«Chi la cerca?»

«Martha Spencer, sono un'amica di Caleb.»

Dall'altro lato, la voce sbuffa. «Che gli è successo, adesso?» sbotta. «Senti, Nora non c'è. Ti do il suo numero.»

Lo segno velocemente sul cellulare, asciugandomi le lacrime. La voce burbera riattacca e chiamo Nora. Risponde quasi subito, in sottofondo c'è tanta confusione. «Chi è?»

«Io... sono Martha.»

La confusione improvvisamente si attutisce. Il suo tono è dubbioso.

«Martha?» Fa una pausa che parla da sola. «Cosa hai fatto a Cal?»

Il suo tono di accusa mi scalfisce la carne. «Mi stava portando a casa... e sono ubriaca... abbiamo litigato ed è andato via.»

Mi scappa un singhiozzo di pianto. «Puoi assicurarti che non faccia nulla di stupido? Ha resistito all'alcol tutta la sera, non vorrei che per colpa mia...»

«Hai detto bene, Martha. Per colpa tua,» mi interrompe. «Se davvero tieni a lui, lascialo in pace. Ha bisogno di tranquillità in questo momento.»

Le lacrime non hanno smesso di scendere e sento la faccia perdere sensibilità per il freddo. Mi asciugo con la manica del cappotto.

Ha ragione, lo so. Non faccio bene a Cal, e per quanto sapere che ha sempre ricambiato i miei sentimenti abbia riacceso la speranza, lui ora ha bisogno di altro che non sono io. È come se fossimo sempre fuori sincrono. È ora di spezzare questo circolo vizioso.

«Lo farò. Davvero, stavolta,» dico soltanto, prima di riattaccare.

Mi lascio andare a un pianto silenzioso mentre salgo le scale. Apro la porta di casa e mi fiondo in camera. Farò i bagagli, lascerò un biglietto di scuse a mia madre e tornerò a Cambridge.

***

Sono tornata da quattro giorni e ancora non ho visto nemmeno Connor. Dobbiamo parlare, ne sono consapevole. I messaggi che mi ha inviato e a cui non ho risposto sono abbastanza chiari. Il fatto che abbia deciso di chiudere definitivamente le cose con Caleb non mi ha schiarito le idee. Io Connor non lo amo come dovrei, e continuare a stare insieme mi sembra così ingiusto, soprattutto nei suoi confronti, che non sa riconoscere ciò che prova. Magari è anche convinto di amarmi, perché non ha mai provato altri sentimenti nei confronti di nessun'altra persona, e scambia l'affetto nei miei confronti per qualcosa di più intenso. Non ha termini di paragone, lui, che le persone non le fa mai avvicinare.

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