Capitolo quindici

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CECILIA

Gli allenamenti sono fiacchi di entusiasmo e faticosi. O almeno li percepisco io così, nonostante senta gli altri ridere e scherzare, probabilmente perché vedo Connor distratto e inalberato per la maggior parte del tempo. Quando sono arrivata era già in campo a riscaldarsi sotto una pioggerella costante e non ho avuto modo di dargli i brownies che gli avevo promesso ieri. Volevo scrivergli per scrollarmi di dosso la sensazione negativa che mi aveva lasciato ieri sera, ma poi l'idea che non mi rispondesse o, peggio, che risultasse freddo, mi ha frenato. Inoltre, sapere qualcosa che lui non sa mi mette in una posizione difficile. Mi sento in colpa a tenergli nascosto quello che ho saputo da Martha. Uffa. Vorrei tanto sapere che gli passa per la testa.

Questi pensieri mi distraggono. Sbaglio un passaggio e rimango scoperta da un lato, e stranamente lui non ne approfitta per segnare, essendo mio avversario. Persino la Coach Foster, che non ha mai nascosto l'ammirazione nei suoi confronti, gli grugnisce qualcosa. Insomma, gliel'ho praticamente servito sopra un piatto d'argento.

«Hey, tutto bene?» domando, avvicinandomi a lui quando arriva il momento di mettere le scarpe da corsa per svolgere l'ultima parte atletica dell'allenamento. Ha gli occhi fissi sulla pista da corsa, completamente vuota.

«No,» sbotta, brusco. Nemmeno si gira a guardarmi. «Ma...»

«Non ne vuoi parlare. Capito,» termino per lui, delusa. Carter assiste allo scambio e mi lancia un'occhiata che dice palesemente ma chi te lo fa fare? Eppure io lo vedo, i suoi occhi gentili sono offuscati dalla tristezza. Fingo di non aver capito l'antifona e ci riprovo. «È... successo qualcosa? Sei arrabbiato con me?»

Ti prego, non esserlo. Parliamo. Ho bisogno di raccontarti di James e di trovare un po' di conforto.
Qualcosa deve essere accaduto, altrimenti non si spiega perché è più orso del solito. Continua a evitare il mio sguardo. Ripercorro mentalmente quello che ci siamo detti la sera prima per messaggio ma non capisco cosa possa aver detto per offenderlo e farlo chiudere così. Non so nemmeno perché penso che sia colpa mia, forse è di cattivo umore perché ha visto qualcuno mettere il latte prima dei cereali e io non c'entro niente. Però perché non me ne parla? Forse non avrò nulla a che fare con il suo umore, eppure una sensazione di panico mi pervade le viscere. Mi sento in colpa per qualcosa che non ho fatto io ma che lo rende triste. Non so per quale motivo vederlo in questo stato mi destabilizzi così. Non mi piace percepire sempre così tanto le persone, è estenuante; con lui è pure peggio, perché ciò che provo nei suoi confronti amplifica tutto.

«Non sono arrabbiato con te,»  risponde, lapidario.

«Okay.»
Si allaccia velocemente le scarpe e mi supera.
Continuiamo l'allenamento senza rivolgerci parola, e ci aiuta anche il fatto che io faccio esercizi mirati alla difesa con Ravi, Liz e Blake mentre lui segue Carter, Will e Blaze all'attacco.
Quando arriva il momento di salutare tutti, il suo malumore mi ha contagiato. Mormoro un flebile ciao e mi avvio a rimettere a posto le crosse perché stasera è il mio turno. Provo a portarle tutte in un viaggio solo, ma pesano e sono ingombranti. Mi volto e scorgo Connor a qualche passo da me che mi fissa.

«Vuoi una mano?»

«No, grazie. Ce la faccio,» borbotto, e nell'esatto momento in cui pronuncio queste parole, dalle braccia mi scivolano tre mazze. Lui inarca le sopracciglia e io sento la faccia prendere fuoco. Con le mani piene, provo a raccogliere l'attrezzatura caduta, ma peggioro la situazione, perché il peso delle mazze che ho in mano mi fa perdere l'equilibrio e con uno scroscio poco elegante mi ritrovo a terra, insieme al resto delle crosse. Alzo lo sguardo e lui è accanto a me. Torreggia dall'alto, con le braccia conserte, e con un cipiglio serio tenta di nascondere quanto vorrebbe prendersi gioco di me in questo momento.

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