Capitolo 10

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Benjamin

La musica ad alto volume rimbombava nella mia cassa toracica stordendomi appena, compensando il lavoro dell'alcol che non scorreva nel mio corpo; come succedeva da ormai due anni.

Da quando lei non c'era più.

L'unica cosa che mi univa a lei.
Una promessa che non avrei mai osato infrangere.

"Promettimi che non cadrai nel buio in cui ho scelto di vivere" mi aveva detto in quel letto d'ospedale.

«Tutto bene?» mi chiese James circondando il suo braccio macchiato d'inchiostro attorno alle mie spalle.

Arricciai il naso sentendo l'odore pungente dell'alcol contenuto nel drink che teneva in mano e quando si accorse del mio fastidio, appoggiò subito il bicchiere sopra il tavolino a pochi centimetri dalle mie ginocchia.

«Ti vedo pensiero, dico sul serio...»
Sospirai per poi chinarmi poggiando i gomiti sulle mie ginocchia.
Strofinai i palmi delle mani sul mio viso, come per cercare di togliere -strappare via- quel fastidio che risiedeva in me.

«Ehi, ho capito a cosa stai pensando» disse James assumendo la mia stessa posizione.

«Capisco quanto sia difficile sopportarlo, ma sono passati due anni... e questa sera è tutta tua» continuò. «Avrebbe voluto vederti felice, perciò lasciati andare, ok?».

Il mio migliore amico aveva ragione.
Annuii cercando di scacciare quei pensieri e godendomi la serata.
La mia serata.

Raddrizzai la schiena tornando a sedermi come poco prima, allungando le gambe.

Con la coda dell'occhio vidi la figura slanciata di Roxy avvicinarsi a me. Con in mano due bicchieri di carta rossi.

Quando si sedette nel mio stesso divanetto, il suo vestitino si alzò lasciando scoperta buona parte delle sue gambe.

Il suo corpo era perfetto, talmente tanto da non piaceri nemmeno; era alta, sinuosa, senza nemmeno un graffio.

La sua figura spiccava in molte riviste di alta sartoria per la quale lavorava come modella. Era considerata la perfezione da tutta la società, il modello da seguire.
Ma a me non piaceva.

Il nostro rapporto non era nulla di serio.
Per nessuno dei due.
Ci frequentavamo perché faceva comodo ad entrambi: a lei serviva celebrità, a me una distrazione dall'incidente per i paparazzi.

«Allora Collins, come ci si sente da ventunenni?» intervenne uno dei miei amici.
Scrollai la testa. «Ho già un po' di mal di schiena».

Tutti si misero a ridere quando parlai.

Era così bello stare al centro dell'attenzione.
Al centro di tutto e tutti.
Potermi sentire un cardine per gli altri era una sensazione che amavo.

Fin da piccolo mi avevano abituato a tutto questo.
"Il piccolo erede della Collins British Enterprises" mi chiamavano...

A distrarmi dai miei pensieri fu una voce maschile.
E sconosciuta.
«Venite tutti qua!» gridò divertito qualcun altro dalla parte opposta della stanza.

I miei amici in preda alla curiosità, si voltarono verso quella voce per capire di cosa si trattasse.

«Uh... wow!» esclamò maliziosamente qualcuno, rimanendo a bocca aperta, mentre altri cominciarono a fischiare.

Corrugai la fronte. «Che cos-».
Spalancai gli occhi.

Ed ecco che la vidi.

Sopra un tavolo, mentre decine di persone la guardavano ballare.

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