Capitolo 4

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Lee

Un paio d'ore più tardi, riuscii finalmente a sistemare tutti i miei averi: disfai le valigie, ordinai nella libreria tutti i libri e cominciai ad ambientarmi in quella che sarebbe stata la mia stanza per un po'.

Uscii dalla camera, e cercando di non perdermi per i corridoi, raggiunsi il salotto, dove trovai Lily e Karol intente a guardare un programma in televisione; Lily sedeva sulle gambe della madre che gli acconciava i capelli dorati in una splendida treccia.

«Oh eccoti Lee... come ti sembra la camera? Ti sei sistemata?» Karol si alzò dal divano appena attorcigliò l'elastico lilla all'estremità della treccia di Lily, venendo verso di me.
Mentre parlava, nella sua voce notai una punta di premura riservata a me; la sensazione di poter essere trattata così "bene" mi faceva quasi timore.

«Si, ho sistemato tutto. Grazie per tutto quanto... davvero» venni travolta da un abbraccio improvviso e inaspettato. Quel gesto, che sapeva di petali di rosa, mi riscaldò il corpo e mi indusse a pensare alla necessità che regnava in me. La mancanza di affetto che sempre viveva in me.

«Capisco ciò che vuol dire più di quanto tu non immagini, Lee... e ci teniamo a farti sentire come a casa» mi osservò attraverso i suoi occhi cerulei, mentre le sue mani curate avvolgevano il mio viso. «Vorrei che tu possa vedermi come una seconda mamma, perché capisco come ti senti. L'ho passato anch'io e vorrei rendere questa tua esperienza meno scomoda possibile» continuò.

«Per di più mi piaci già molto e non vorrei che non ti trovassi bene» sorrisi di fronte a tutto l'affetto che Karol infondeva in me.

«Oddio è tardissimo, devo scappare... » disse osservando l'orologio nella parete dietro al tavolo della cucina. «Ci vediamo tra un paio d'ore, ok?! Poi andremo a fare un giro tra "sole ragazze"!» ci fece l'occhiolino mentre indossava il blazer color panna e dopo aver salutato la figlia con un dolce bacio sulla fronte uscì di casa.

Mi avvicinai a Lily, che nel frattempo si era procurata un album di fogli bianchi.

«Ehi... che fai?» mi sedetti al suo fianco.

Lily, senza distogliere lo sguardo dai fogli bianchi dell'album davanti a lei, spostò il braccio per lasciarmi vedere ciò che stava facendo; nell'attimo in cui potei osservare interamente la figura, mi resi conto della precisione con cui era stato fatto basandomi sull'idea di altri disegni fatti da bambini di otto anni...

«Ma sei bravissima, Lily! E' un disegno stupendo» osservai il muso di un gatto, disegnato a matita, assieme a tutti i suoi particolari: come la piccola rosellina disegnata alla perfezione, tanto da sembrare vera, vicino all'orecchio del gattino.

«Grazie... questa» indicò la piccola rosa che osservavo fino a qualche istante fa «...l'ha disegnata mio fratello» affermò con una lieve punta di orgoglio nei confronti della persona di cui parla.

Alzò lo sguardo verso di me, sorridendomi timidamente. Con i suoi occhi, dalla sfumatura più calda rispetto a quella di sua madre, mi scrutò brevemente in viso, prima di ritornare ad osservare la figura nel foglio.

«Ora devo colorarlo, mi andresti a prendere i pennarelli nell'astuccio del leone che ho in camera, per favore?» annuii alzandomi in piedi.

Arrivando finalmente alla parte finale dell'immenso corridoio mi ritrovai con un dubbio nella mente: la porta giusta era l'ultima o la penultima?
Decisi di tirare a sorte, scegliendo di entrare nella stanza più in fondo. Aprii la porta con sicurezza, aspettandomi le pareti dai colori frizzanti della stanza di Lily.

Ma del lilla delle pareti non c'era nemmeno l'ombra; davanti ai miei occhi apparve uno spazio a me sconosciuto, prevalentemente buio e freddo. L'unica fonte di luce era una lampada da scrivania in un angolo della stanza e il bagliore fioco dei lampioni, che veniva lasciato penetrare dalla finestra spalancata, assieme all'aria fredda che punzecchia il mio collo lasciato scoperto dal maglione.

«Scusami?!» irruppe una voce profonda che richiamò la mia attenzione.

«Oh... ehm, scusa ho sbagliato porta» farfugliai imbarazzata guardando nella direzione da cui proveniva quella voce, trovando una figura seduta alla scrivania «Piacere Eleonora, sono...» cercai di presentarmi nel tentativo di attutire quella situazione imbarazzante.

«Vattene» proferì il ragazzo a pochi metri da me.

«Oh... s-si certo» feci per chiudere la porta, ma venni trattenuta dalla mia irrazionalità.
«Tu hai per caso un astuccio a forma di leone con dentro dei pennarelli colorati? Lily mi ha chies-» non mi diede nemmeno il tempo per terminare la frase.
La figura del ragazzo avvolta dalla penombra, in quel momento non più seduta, si avvicinò al battente della porta.

«Ho detto vattene» ringhiò davanti a me.

E senza lasciarmi il tempo di replicare mi sbattè la porta in faccia, tanto da farmi indietreggiare rapidamente per non rischiare di prenderla veramente in faccia.

Fantastico... qualche ora a Londra e avevo già ricevuto una porta in faccia.

***

Dopo la mia "irruzione involontaria" nella camera sbagliata, le due ore in compagnia di Lily passarono senza alcun tipo di problema; ebbi modo di conoscerla di più e di farci amicizia.

Sedute sul tappetto del salotto, Lily mi raccontava episodi delle sue giornate che per me sembrano provenire da un'altra dimensione; parlava dei paparazzi come se fossero la sua quotidianità, così come i gala o gli eventi di beneficenza a cui la sua famiglia era solita ad andare.

Mentre Lily continuava il suo racconto, sentii Michael e sua moglie parlare in sala da pranzo.

Karol sembrava allibita alle parole del marito; si alzò per raggiungere la cucina e stando sullo stipite della porta, riferì qualcosa alla cuoca e ai due camerieri.

«Lee, noi andiamo un secondo a mettere apposto due scartoffie, ma non preoccupare tra due minuti siamo qui» mi informò sorridendomi.

Qualche minuto più tardi, mentre aiutavo Lily nella sua camera a vestirsi per la nostra uscita di "sole ragazze", Karol mi chiamò invitandomi ad andare da lei.

Quando raggiunsi l'ampio open space della cucina, un ragazzo, seduto su uno dei quattro sgabelli della penisola ed intento a spostare l'attenzione dal cellulare a dei documenti, richiama la mia attenzione.

«Ci tenevo a presentarti anche mio figlio Benjamin» mi disse Karol facendo cenno di avvicinarmi.
«Lei è Eleonora, sarà la babysitter di Lily fine alla fine del semestre» parlò direttamente con suo figlio.

Quest'ultimo, a poca distanza da me, si voltò nella mia direzione e osservò il mio abbigliamento apparentemente bizzarro: il maglioncino arcobaleno di alcune taglie in più, i pantaloni della tuta color panna e i miei calzini con raffigurati i tacos.

I suoi occhi esaminarono il mio corpo da cima a fondo, facendo scivolare le sue iridi azzurre sui miei abiti per lui buffi.
Quando distolse lo sguardo da me, riprendendo ciò che stava facendo poco prima, si sistemò i capelli biondo miele spostandoli con un gesto della mano, mostrando meglio i tratti marcati del viso.
«Ci siamo già conosciuti prima» rispose cinico riservandomi una sola occhiata di disprezzo.

Spostò nuovamente l'attenzione sulle carte poggiate sul tavolo, prima di aggiungere un "purtroppo" udibile soltanto a me.

Everything can endDove le storie prendono vita. Scoprilo ora