Capitolo 13

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Benjamin

«CBE ancora la più grande manager dell'Europa. Mantiene la leadership con un patrimonio netto di 2,8 miliardi, in crescita dell'otto per cento rispetto all'anno precedente».
L'emozione si faceva strada sul volto di Smith quando lesse l'articolo dal tablet che teneva in mano.
«Attività internazionali potenziate, anche con l'apertura dei nuovi uffici a Madrid, Palermo e Vienna» continuò.

Mio padre sedeva accanto a me, capotavola nella tavola della sala conferenza in cui ci trovavamo; sorrideva appena leggendo quell'articolo.

Era la fine di ottobre e, come sempre, usciva il risultato della raccolta dati dell'intero anno per le aziende.

Quell'anno per me sarebbe stato il terzo nell'azienda, come "erede" dell'impero della CBE.

Mio padre si alzò. «Bel lavoro. Anche questa volta avete saputo dare il massimo di voi stessi per questa grande famiglia... e io ve ne sono immensamente grato» sollevò il calice di champagne posato di fronte a lui «e visti i risultati ottenuti per la terza volta consecutiva, proporrei un brindisi».

Tutti i nostri colleghi, seduti a quel tavolo, innalzarono il bicchiere imitando mio padre.

«Alla CBE... e a mio figlio Benjamin, che mostra ogni giorno di più le sue doti e le competenze adatte per essere il mio successore» mi sorrise.

Mentre mi guardava sorridendomi, nei suoi occhi di un grigio celeste dal colore incerto e ambiguo potevo notare la stessa sfumatura con la quale mi guardava da bambino.
Come quelle volte in cui mi portava in azienda, mostrandomi gli andamenti in crescita sugli schermi e i mille documenti sulle scrivanie.

Tutte le persone mi osservarono con il sorriso stampato in volto, tutti fieri del ruolo che avrei ricoperto a breve.

Mi eressi in piedi anche io portando in alto il calice, facendo scontrare i bicchieri gli uni sugli altri poco dopo.

Quando tutti furono occupati a sorseggiare il pregiato champagne, mi affrettai ad appoggiare il calice ancora pieno sul tavolo prima di congedarmi dalla stanza.

Nessuno sapeva che non bevessi; tuttavia di quelli che ne erano al corrente, solo pochi lo sapevano con certezza mentre molti, la motivazione, la immaginavano soltanto.

Attraversai gli ampi corridoi passando in mezzo a tutti gli impiegati che, vedendomi passare, bloccarono le loro azioni per salutarmi; ammiccai un'occhiolino alle tre segretarie che mi osservavano senza staccare gli occhi dal mio corpo, continuando a camminare verso l'uscita al quale ero diretto.

Afferrai la giacca che mi porse una signora prima di uscire dall'edificio, indossandola mentre salii sull'auto grigia parcheggiata all'uscita.

Guidai fino a casa mentre la mia mente vagava per conto suo.

La febbre della sera prima mi aveva trasformato in uno straccio che camminava, ma di certo non avrei potuto non essere presente in azienda quella mattina.
Avevo preso qualcosa per attenuare il mal di testa che mi lacerava le tempie.
E poi... e poi c'era lei.

La mia mente non riusciva a smettere di pensare di rivederla.
Non ci credevo nemmeno io... ma in quel momento, per la prima volta, la volevo vedere.
Lei e tutto il suo mondo che mi dava tremendamente fastidio.

Ma dalla notte precedente era cambiato qualcosa.

Non riuscivo a capire da che cosa era nata quest'emozione, e non riuscivo a capacitarmene non sapendo il motivo.

Il modo in cui si era presa cura di me come se fossi la persona a cui teneva di più al mondo nonostante l'abbia sempre messa alle strette mi aveva sorpreso.

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