Capitolo 14

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Lee

Tutti hanno il proprio passato chiuso, dentro di essi, come le pagine di un libro imparato a memoria, ma da cui le persone possono soltanto leggerne il titolo. Senza saperne nulla.

Il titolo del mio libro, però, non era mai stato così importante per qualcuno; forse le uniche a cui era mai importato qualcosa di me erano mia madre e Greta.
Nemmeno a mio padre ero mai interessata nulla, a tal punto che mi accantonò come un errore.
Dopo l'incendio la mia mente trasformò autonomamente ogni suo ricordo in un incubo, rendendolo perennemente il protagonista.

C'era voluto così tanto tempo perché io e mia madre ricominciassimo a vivere, per lasciare alle nostre spalle tutto ciò che successe quella notte; cercammo di distruggere tutto, proprio come lui aveva fatto con le fondamenta di quella casa e le nostre vite.
Come la vita della me dodicenne, segnata e spezzata per sempre.

«Ehi, ci sei? Lee?!» sbattei le palpebre.
«Non ti sento! Oh maledizione! Se non fossi così lontana verrei subito da te, non ne posso più di questo segnale scadente» continuò.
Alzai gli occhi al cielo. «Sono qui, Tita. Sta tranquilla».

«No, non sto tranquilla. E' più di una settimana che continui a piangere per colpa di quel bastardo, non so se te ne rendi conto» alzò la voce.
Aveva ragione.
Dal giorno in cui riversò su di me tutto il suo odio era passata una settimana; una settimana in cui non avevo mai smesso di piangere la sera, prima di addormentarmi, risvegliandomi con il volto ancora impiastricciato dalle lacrime.

Era passata una settimana da quando non l'avevo più visto.

«Quindi che fine ha fatto?» chiese Greta. «Ora che ha portato a termine la sua missione di umiliazione verso i tuoi confronti, se n'è andato. Intelligente il ragazzo».
«A quanto ne so, lui e suo padre sono andati a Manchester».

«Non ci posso credere. Ma quanto è stronzo? Lo disegnano così bene poi...»
«E' soltanto il solito ragazzo sbruffone e famoso a cui le ragazze vanno dietro» esclamai alzandomi dal letto.

Sentii bussare alla porta quando Greta cominciò a commentare il comportamento di Benjamin. «Greta, scusa ma mi stanno chiamando».
«Va bene. Lee, mi raccomando...» colsi subito il significato che voleva dare alla frase, la salutai e chiusi la chiamata.

«Sì, entra pure» invitai all'interno della stanza colui che aveva appena bussato alla porta.
Karol entrò piano, evitando di disturbare ciò che stavo facendo. «Ti disturbo?».
«Oh no, affatto».

Posai via alcune schede che si trovavano sulla scrivania quando Karol si sedette sul bordo del letto, richiamandomi al suo fianco. La raggiunsi, sedendomi a pochi centimetri di distanza.

«Lee, appena sei arrivata ti ho subito avvisato sui possibili eventi alla quale la nostra famiglia può partecipare» si strofinò i palmi delle mani sul tessuto morbido dei pantaloni di tuta.
«Ecco, domani sera saremo presenti a questo evento che si tiene ogni anno».

Raddrizzai la schiena appena sentii ciò che disse Karol.
Un evento...
«E' una cena di gala in cui verranno festeggiati i risultati della Collins British Entreprise e, inoltre, verranno omaggiate le cinque migliori aziende del Regno Unito» spiegò.
«Per noi è davvero molto importante e se fossi presente anche tu ne saremmo davvero felici...».

Scossi il capo ripetutamente, cercando di rispondere ai miei dubbi. «Karol, perché dovrei esserci anche io? Cosa c'entro con l'azienda o con la vostra famiglia?».
«Tesoro...»
«Perché dovrei esserci anch'io? Karol lo sai che questo genere di cose non fanno per me, io non faccio parte di questo mondo; è come se un pesce venisse messo dentro una boccia senz'acqua, non può starci».

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