Capitolo 6

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Il mio sonno venne violentemente disturbato obbligandomi a sedermi stropicciando gli occhi... ma c'era qualcosa di diverso. Qualcosa che non capii all'istante.
Le quattro pareti attorno a me formavano una stanza ignota e talmente piccola da risultare addirittura claustrofobica.
Fu solo quando gli occhi si abituarono all'oscurità e gli altri quattro sensi si sintonizzarono con la realtà, che notai che in quella stanza... non ero sola.
Tutto lo spazio attorno a me slittò in una sorta di dimensione parallela: non ero più seduta su quel letto insulso bensì mi ritrovai in uno dei quattro angoli spogli della stanza con il corpo immobile, paralizzato.
Ad un tratto una porta, che poco prima era inesistente, si aprì e delle fiamme impazienti raggiunsero la stanza, circondandola.
L'aria pian piano divenne irrespirabile a causa del fumo prodotto da tutto ciò che il fuoco ardeva; la mancanza di aria e il bruciore ai polmoni aumentarono ancora di più quella sensazione di panico che risiedeva in me.
In lontananza, al di sopra del letto, scorsi una figura umana rannicchiata in se stessa... ero io.
Negli occhi di quella bambina si notavano le mille sfumature di terrore e panico che provava in quell' esatto momento, le articolazioni non cessavano di tremare così come la sua voce che emanava urla disperate nel tentativo di salvezza.
Le sirene dei veicoli di soccorso, così come le voci ovattate, risuonavano nell'aria mescolandosi al frastuono delle travi che crollavano dal soffitto.
La forza delle fiamme si intensificò, rendendo lo spazio a me disponibile, molto ristretto; potevo sentire il calore e la potenza del fuoco ad un palmo dalla pelle.
Fu una questione di secondi che la bambina seduta sul materasso si spostò, e quando fece un movimento per scendere dal letto, vidi una trave cadere violentemente a terra, colpendola e al momento dell'impatto un urlo mi si strozzò in gola...

Mi alzai di scatto, rimanendo alcuni attimi con gli occhi sbarrati.
Passai il dorso della mano sulla fronte umida a causa del sudore provocato da quell'... incubo.

Mentre il mio respiro si regolarizzava, osservai, dal bordo del letto, lo spazio attorno a me: lo zaino con i quaderni di sociologia e pedagogia all'interno, posato ai piedi della scrivania, mi aiutava ad ambientarmi alla realtà.

Mi alzai dal letto, mi diressi alle grandi finestre in fondo alla stanza e aprii le tende color cipria.

Il vetro imperlato dalle goccioline di pioggia lasciava intravedere l'esterno: la città di Londra alle prime luci del giorno pullulava già di movimento per le strade anche se solo una piccola parte dei deboli raggi di sole riuscivano ad oltrepassare le nuvole grigie presenti nel cielo non sembrava rattristire gli abitanti.

Il tintinnio di una notifica appena arrivata nel mio telefono mi indusse a recuperarlo. Lo afferrai staccando il caricabatterie attaccato ad esso e appena sbloccai lo schermo, aprii subito le chat ritrovando un "buongiorno" da parte di mia madre.

Rimasi sorpresa da quel messaggio così mattiniero, finché non mi ricordai che il fuso orario era leggermente diverso da quello londinese e che a quell'ora del giorno il turno lavorativo della mamma stava per cominciare.

Il silenzio e la pace di quel momento, con di sottofondo solo il crepitio della pioggia, mi lasciò la mente esposta ai pensieri.

Non appena mi tornò in mente che quegli incubi erano ritornati a farmi visita, come un tempo, un fastidio si fece avanti nella mia testa.
Lasciandomi in balia tra i ricordi.

***

Camminai per i corridoi della St Edward's University, raggiungendo la classe dove si sarebbe svolta la prima lezione del corso di psicologia dinamica.

Raggiunsi l'aula, prendendo posto in uno dei banchi liberi in terza fila.

Estrassi dallo zaino il materiale e mentre mi rilassai sulla sedia, aspettando l'inizio della lezione, avvolta dal brusio degli altri studenti, ripensai un po' alla prima settimana di questa avventura.

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