𝗧𝗿𝗮 𝗦𝗮𝗰𝗿𝗼 𝗲 𝗣𝗿𝗼𝗳𝗮𝗻𝗼

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Tokyo si aprì dinanzi a me come un labirinto di luci e ombre, una città in cui il nuovo e l'antico si scontravano e si mescolavano in ogni via e angolo. L'aria era densa, carica del ronzio incessante delle persone, delle bici e delle prime automobili che iniziavano a popolare le strade. Mentre camminavo verso la palestra, sentivo il cuore battermi forte nel petto, ogni passo più pesante del precedente. Quando arrivai, l'edificio mi si stagliò davanti come una tenuta a metà tra due epoche: il legno scuro delle pareti e il tetto tradizionale contrastavano con l'insegna luminosa che tentava, forse troppo, di farsi notare. Respirai profondamente, cercando di calmare il tremore alle gambe; varcai la soglia.

Dentro, la sala era vasta e accogliente, il pavimento scuro e liscio rifletteva la luce del sole che filtrava dalle finestre. Le ragazze erano già lì, più grandi di me, più sicure di me. Si muovevano con una grazia che mi faceva sentire ancora più piccola, più insignificante. Le loro occhiatacce erano abbastanza esplicite: mi osservavano, ma non mi vedevano davvero. Ero solo un'altra giovane insegnante, forse troppo giovane per essere presa sul serio.

Mi sforzai di sorridere mentre le salutavo con un leggero inchino. «Buongiorno.» dissi, sperando che la mia voce non tradisse l'agitazione che sentivo. Esse risposero con un cenno formale, ma il silenzio che seguì fu assordante. Mi sentii come un'intrusa, una presenza indesiderata in quel luogo che forse non mi apparteneva.

La lezione iniziò e io mi limitai a osservare. Le movenze delle mie nuove allieve erano perfette, precise, ma c'era qualcosa che mancava, qualcosa che non riuscivo a definire. Le espressioni erano concentrate, ma prive di quel fuoco che avrei voluto vedere. Sembrava quasi che eseguissero dei movimenti imparati a memoria, senza un'anima.

Quando fu il momento, mi feci avanti nonostante la tensione crescente. Tuttavia sapevo che dovevo fare qualcosa per guadagnare il loro rispetto. «Dunque ...» mi schiarii la gola. «Immagino conosciate la danza Kagura, giusto?» chiesi, sperando che la poca convinzione nella mia voce non fosse risultata palpabile.

Le larve si scambiarono sguardi confusi e, una di loro – probabilmente la più esperta – annuì leggermente. «Ne abbiamo sentito parlare.» rispose con freddezza e distanza.

«Oh ...» abbassai per un secondo lo sguardo, consapevole di non potermi perdere d'animo. «La Kagura ha antiche radici ...» iniziai a spiegare, cercando di mantenere la calma. «Come probabilmente già saprete, il suo significato è prettamente religioso, motivo per il quale non siete più qui per imparare la Mikagura, ma la Satokagura. Vi esibirete al festival di questo sabato, per cui chiedo la vostra massima collaborazione.»

«Ma non dovevamo esibirci in un tempio?» qualcuno mi domandò.

«S-si beh ...» sbattei le palpebre. «Credo che chi abbia pianificato il tutto non abbia considerato che sarebbe risultato troppo profano ...»

«In che senso?» «Esatto! Perché ce lo dite solo ora?!» «Cos'è successo?»

-

Il signor Igarashi era una persona che difficilmente passava inosservata: un uomo alto, magro come un giunco, con una carnagione pallida che sembrava perennemente bisognosa di un po' di sole. I suoi baffi, sottili e perfettamente curati, ricordavano quelli di un ufficiale dell'esercito più che di un organizzatore di eventi. Portava sempre un cappello rigido che sembrava essere diventato un'estensione del suo stesso cranio. La sua voce? Un tono mellifluo, da contrattista navigato, capace di vendere il ghiaccio a un eschimese.

Quella mattina, con il cappotto impeccabilmente allacciato e il solito sorriso che non prometteva nulla di buono, mi aveva invitato a seguirlo. «Maiko-chan, vieni con me.» aveva detto con un gesto teatrale della mano. «Ho un incontro importante al tempio di Kanda Myojin. Sarà un'occasione perfetta per mostrarti come si conducono gli affari.»

𝐁𝐥𝐚𝐧𝐤 𝐒𝐩𝐚𝐜𝐞┋𝕊𝕒𝕟𝕖𝕞𝕚 𝕊𝕙𝕚𝕟𝕒𝕫𝕦𝕘𝕒𝕨𝕒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora