𝗣𝗮𝗿𝗼𝗹𝗲 𝗡𝗼𝗻 𝗗𝗲𝘁𝘁𝗲

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Ero ancora stanca morta, i muscoli intorpiditi e la testa leggera come una piuma. Dopo quella vomitata, mi sentivo svuotata, tuttavia dovevo rimettere in ordine la stanza. Con fatica mi trascinai di nuovo nella camera di Shinazugawa: i nostri futon erano ancora lì, scompigliati, e mi inginocchiai per arrotolarli. Quando, però, i miei occhi si posarono sul mio, ancora sfatto, quasi sentii il suo richiamo.

«Solo un minutino ...» pensai, sforzandomi di ignorare quanto fosse invitante.

Mi lasciai cadere sopra, con l'idea di appoggiarmi giusto un attimo. Eppure, immediatamente il calore delle coperte e la morbidezza del materasso mi avvolse, ritrovandomi così immersa in un sonno profondo.

Non sapevo quanto tempo fosse passato, tuttavia venni risvegliata da un tocco gentile; qualcuno mi stava scuotendo con delicatezza. Con gli occhi ancora appannati, mi stropicciai il viso, cercando di scacciare la confusione del sonno. Solo quando riuscii a mettere tutto a fuoco, mi resi conto che mio marito era tornato.

Stavo per aprire la bocca, pronta a scusarmi, ma lui mi anticipò, alzando una mano per fermarmi. «Non dire nulla.» disse. «Hai fatto bene a riposare, non avevi una bella cera. Anzi, sembravi davvero esausta.» mi misi a sedere, ancora un po' frastornata e lui aggiunse, con tono leggero: «È ora di pranzo.»

«Eh?» lo guardai, rimpiangendo di essermi addormentata. «Non ho pre- ...» venni interrotta.

«Meglio così, ho preso qualcosa da asporto.» la sua rivelazione mi calmò un minimo. «Considerate le tue condizioni, non mi andava di farti cucinare.» ammise con tranquillità. «La pancia come sta? Fa ancora male?»

Negai con la testa. «No, non più.»

«Ho comunque comprato qualcosa di non pesante.» si stiracchiò.

In breve tempo ci ritrovammo dinanzi al chabudai a consumare il pasto che lui aveva acquistato: due ciotole di riso in bianco, insalata di daikon – definito anche ravanello cinese seppur assomigli a una grande carota di colore bianco – e zuppa di miso.

«Per te non hai preso nient'altro?»

«No.» rispose, secco.

«Io ...» carezzai con l'indice l'orlo del tavolino basso. « ... ti ringrazio tanto per il pensiero ... ma sei sicuro che non vuoi che ti prepari qualcosa di più ... saporito

«Se lo avessi voluto, lo starei già mangiando.» ribatté, portando alla bocca una manciata di cereale. «Smettila di sentirti in colpa. È solo un pranzo diverso ...»

«L-lo so ma ...»

Non mi lasciò concludere, nuovamente, la frase. «La bocca usala per mangiare.»

Un po' imbarazzata, seguii il suo consiglio. Il silenzio calò su di noi, con solo il rumore delle bacchette che toccavano le ciotole a rompere la quiete della stanza. Ogni tanto sollevavo lo sguardo verso di lui, ma egli pareva concentrato sul suo pasto, il volto impassibile. C'era qualcosa nel modo in cui masticava , lento e metodico, che mi faceva sentire una strana sensazione di tranquillità.

Avevo ancora un leggero senso di colpa che mi pizzicava, tuttavia le sue parole mi avevano rassicurata abbastanza da non insistere ulteriormente. Il cibo, seppur semplice, era più che sufficiente per calmare il mio stomaco e, in quel momento, mi resi conto di quanto apprezzassi quei piccoli gesti di cura che Shinazugawa sapeva fare in modo così naturale, senza dare nell'occhio.

«Vanno bene o li trovi troppo aggressivi?» mi chiese d'un tratto, riferendosi alla mia situazione fisica attuale.

Annuii. «No, non mi disturbano affatto. Grazie per aver pensato a tutto.»

𝐁𝐥𝐚𝐧𝐤 𝐒𝐩𝐚𝐜𝐞┋𝕊𝕒𝕟𝕖𝕞𝕚 𝕊𝕙𝕚𝕟𝕒𝕫𝕦𝕘𝕒𝕨𝕒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora