𝗨𝗻 𝗠𝗲𝘀𝗲 𝗱𝗶 𝗥𝗶𝗽𝗼𝘀𝗼

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⚠️IN QUESTO CAPITOLO VI SONO ACCENNI DI NAUSEA E ACCENNI SUL PESO UMANO⚠️

Svariate settimane passarono e la mia routine tornò ad essere quella di un tempo

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Svariate settimane passarono e la mia routine tornò ad essere quella di un tempo. Mi sarebbe piaciuto poter riposare un po' dopo aver lasciato Tokyo, ma purtroppo non mi venne fatta la gentil concessione e dovetti accontentarmi. Alla pesante quotidianità alla quale dovetti riabituarmi, si aggiunse anche il forte litigio dei miei genitori, che avevano ben deciso di picchiarsi animatamente intanto che io ero via e Yuzuha pativa i disagi e dolori della tonsillite.

Mia madre, per me icona indiscussa della bellezza, si ritrovò col volto gonfio e tumefatto, quasi irriconoscibile. Mio padre, invece, era messo nettamente peggio: naso rotto, braccio ingessato, pelle sfregiata e lividi su tutto il corpo. Non seppi identificare chi avesse iniziato, dal momento che entrambi mi raccontarono due versioni diverse dell'accaduto. Ad essere totalmente onesta, però, non m'interessava sapere chi avesse trovato intelligente l'idea di abbassarsi a tanto. Quello che mi preoccupava era il loro comportamento violento, presente da ambe le parti. Non riuscivano proprio a comunicare e finivano sempre per picchiarsi.

«Che mal di testa ...» mormorai, intanto che gli ultimi raggi solari attraversavano i rami del sentiero alberato che stavo percorrendo, illuminando flebilmente la mia figura minuta e stanca.

Me ne stavo tornando a casa dopo aver passato l'intero pomeriggio insieme a quei due per provare, per l'ennesima volta, a di farli riappacificare, cosa che – ovviamente – non successe. Tuttavia, mi rincuorò sapere che non sarebbero riusciti ad alzare le mani per un po' e potei ritirarmi con una preoccupazione in meno. Tuttavia, dentro di me, sapevo di non poter davvero chiudere nulla fuori dalla mia mente. La scena di quei due, ridotti quasi a dei relitti umani, mi tormentava incessantemente. Non era solo la vista dei loro corpi segnati dalla violenza, ma la consapevolezza che, nonostante tutti i miei sforzi, non sarei mai riuscita fermarli. Erano prigionieri di un ciclo autodistruttivo che li stava consumando e mi sentivo impotente, anche se sapevo di doverli lasciare andare.

Arrivai distrutta dinanzi alla porta d'ingresso, che aprii con delicatezza. Entrai e mi tolsi i geta, riponendoli con cura nello spazio apposito. «Finalmente le ferie ...» mi stiracchiai, sentendo le ossa scricchiolare. Anche per me era arrivato il momento di prendermi una pausa; la palestra sarebbe rimasta chiusa per un po', così da poterci ricaricare tutti a dovere.

Mentre cercavo di riprendermi dalla stanchezza accumulata, feci un passo avanti verso il corridoio, ansiosa di abbandonarmi finalmente al riposo che tanto desideravo. Tuttavia, prima ancora di riuscire a compiere il secondo passo, qualcosa sotto i miei piedi mi fece perdere l'equilibrio. Inciampai malamente e caddi a terra, emettendo un urlo talmente forte che persino io mi sorpresi del suono che avevo prodotto. Sentii dei passi frettolosi provenire dal corridoio. Sollevai la testa e vidi una figura familiare avvicinarsi rapidamente: Shinazugawa, mio marito, apparve sulla soglia della stanza, con il volto mezzo assonnato e i capelli arruffati. Indossava uno yukata leggero, una vista talmente inusuale che per un attimo mi dimenticai del dolore recatomi cadendo come una deficiente. Di solito lui era sempre nella sua uniforme da ammazzademoni, pronto a combattere, anche dentro casa.

𝐁𝐥𝐚𝐧𝐤 𝐒𝐩𝐚𝐜𝐞┋𝕊𝕒𝕟𝕖𝕞𝕚 𝕊𝕙𝕚𝕟𝕒𝕫𝕦𝕘𝕒𝕨𝕒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora