𝗣𝗿𝗼𝗹𝗼𝗴𝗼

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⚠️QUESTO CAPITOLO CONTIENE SCENE DI VIOLENZA⚠️

Non aveva mai conosciuto il calore di una carezza sincera né il conforto di una parola gentile

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Non aveva mai conosciuto il calore di una carezza sincera né il conforto di una parola gentile. Cresciuta tra le mura gelide di una dimora in cui l'indifferenza era pane quotidiano, si ritrovò a danzare tra le ombre della solitudine fin dalla più tenera età. I suoi genitori, se così si potevano chiamare, erano solo spettri di violenza e negligenza, figure distanti che le avevano insegnato a non sperare, a non desiderare, a mostrare solo ed esclusivamente cieca obbedienza.

Era una fanciulla di diciassette anni, silenziosa e sottile come un filo di seta sfilacciato di un kimono messo ad asciugare in una giornata ventosa. La sua voce, se mai l'avesse alzata, sarebbe stata solo un sussurro, un lamento soffocato dalle catene della sottomissione e della paura. Ogni gesto era un'apologia, ogni movimento un mascherato atto di supplica verso un mondo che l'aveva sempre guardata con occhi indifferenti.

 Ogni gesto era un'apologia, ogni movimento un mascherato atto di supplica verso un mondo che l'aveva sempre guardata con occhi indifferenti

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Era una giornata primaverile e fuori dalla finestra il sole splendeva alto nel cielo limpido. I ciliegi in fiore spargevano i loro petali rosa che fluttuavano delicatamente nell'aria, creando uno spettacolo di rara bellezza. Un lieve vento faceva ondeggiare i rami degli alberi, portando con sé il profumo dei fiori di campo. Il cinguettio degli uccelli e il ronzio delle api contribuivano a dipingere un quadro di serenità che contrastava brutalmente con la mia realtà.

La camera in cui stavo era pressoché modesta. Gli unici arredi presenti erano un tavolino basso - chabudai - sul quale erano posati degli strumenti per cucire e un armadio, ove solitamente conservavo il mio futon. La luce filtrava attraverso le imposte di carta di riso, creando un gioco di ombre che, indisturbate, si muovevano sul pavimento. Nonostante la semplicità dell'ambiente, quel piccolo buco rappresentava per me un rifugio, un minuscolo spazio bianco.

Mi trovavo inginocchiata sul tatami, intenta a rattoppare l'ennesimo yukata che era stato strappato dai miei genitori: ieri sera – mentre pulivo il salmone – mi sfuggì alla vista una lisca e, quando se ne accorsero, mi scaraventarono entrambi con violenza a terra, rompendomi l'indumento. La mia mente era persa nel movimento dell'ago che attraversava il tessuto, trovando un flebile conforto nella ripetitività del gesto. Tuttavia, la bolla di calma apparente in cui risiedevo, si ruppe d'improvviso; il rumore dei passi pesanti e irregolari di mio padre echeggiarono per tutta la casa, facendola quasi tremare. La porta scorrevole si aprì con un colpo secco e mio padre apparve sulla soglia, il volto contorto dalla rabbia e la fronte sanguinante.

𝐁𝐥𝐚𝐧𝐤 𝐒𝐩𝐚𝐜𝐞┋𝕊𝕒𝕟𝕖𝕞𝕚 𝕊𝕙𝕚𝕟𝕒𝕫𝕦𝕘𝕒𝕨𝕒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora