2 - Sogno infranto

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Lasciato il soggiorno, Alexander, si recò in camera sua. Si tolse gilet, papillon e scarpe eleganti ed indossò stivali e giubbotto di pelle nero. Sbottonò la camicia per il primo bottone e prese le sue cose, tra le quali vi erano le sue amate sigarette al cioccolato. Poi uscì. Scese le scale di corsa, senza incontrare nessuno, ed arrivò in giardino dove lo attendeva il suo fidato cane.
Si chiamava Jolly ed era un bellissimo labrador nero, con grossi e teneri occhi marroni. Alex lo aveva ricevuto in regalo da suo zio, quando la sua coppia di labrador aveva dato alla luce tre cuccioli.
Il giovane Malik, gli aveva dato quel nome, perché era un giocherellone,  lo aveva curato e addestrato personalmente mentre lui stesso si addestrava per diventare un cacciatore. Avevano passato così tanti giorni insieme, da essere entrati in una simbiosi tale che, ormai, l'uno capiva lo stato d'animo dell'altro e si comportava di conseguenza.

Quando il labrador lo vide, smise di rosicchiare il suo osso di bue e corse da lui. Ma mentre si avvicinava, il cane percepì che il suo padrone era di pessimo umore e gli si accostò con la testa china, deciso a consolarlo.
Alex si chinò ad accarezzarlo lentamente, trattenendo a stento la rabbia che aveva dentro di sé. -Grazie, amico mio- sussurrò con un filo di voce.

In tutta risposta, Jolly alzò il muso contro la mano del suo padrone, quasi a volergli dire "prego, è mio dovere di amico, alleviare il tuo malumore."

Alex sorrise, sentendosi un pò meglio, poi gli agganciò il guinzaglio ed insieme lasciarono le protezioni del maniero Malik.

Quando erano per strada, Jolly era solito camminare vicino al suo padrone, quasi fosse la sua stessa ombre. Era anche solito fiutare l'asfalto, dove spesso venivano abbandonate cicche di sigarette, pacchetti vuoti di patatine e carte di gomme e caramelle.  Quella mattina, invece, qualcosa lo portava a tirare come un cane da slitta.

-Jolly, sta buono. Non tirare- ordinò Alex.
Ma il cane sembrò non ascoltarlo. Si muoveva frenetico come attratto da qualcosa.
O, forse, da qualcuno.
Fu mentre passavano davanti al St. Stephen's Green che il cane si fermò. Puntò contro la recinzione ed iniziò ad abbaiare.
Alex guardò nella stessa direzione di Jolly e vide un ragazzo dai capelli castani che lanciava un frisbee verde a quello che doveva essere il proprio cane.
E solo quando questi si voltò (probabilmente attratto dall'abbaiare di Jolly)  lo riconobbe: era Hill Carter.
I due ragazzi si fissarono con odio. Era risaputo che tra le loro famiglie non corresse buon sangue e, sebbene nessuno dei due ne conosceva la ragione, si odiavano.
-Qualche problema, Malik?- domandò il ragazzo nel parco.
Era grande, Hill. Poco più alto di Alex e molto muscoloso. La pelle chiara era messa in risalto dal completo sportivo color della pece. Aveva grandi occhi color nocciola...da bambino dicevano alcune nobili cacciatrici che gli sbavavano dietro. E Alex poteva confermare poiché gli era capitato di incontrarlo diverse volte nella sede del Concilium. Sì, quegli occhi lo facevano sembrare un bambino, ma il suo fisico diceva tutt'altro.
-No, nessuno. E tu, Carter?-
-Sì: tu, Malik. Tu e quel tuo dannato cane, state disturbano la mia attività sportiva- rispose Hill a muso duro.
Alex serrò la mascella ed entrambi i pugni. Quanto avrebbe voluto entrare in quel parco e spaccargli la faccia...di sicuro si sarebbe sfogato a dovere. Ma per fortuna (o sfortuna, a seconda dei punti di vista) aveva altro da fare che mettersi a combattere con quello stupido cacciatore. Così senza dire nulla, si voltò e riprese a camminare per la sua strada.

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Cindy Ferguson si era svegliata presto come era ormai sua consuetudine e, come prima cosa, aveva preparato la colazione per i suoi quattro fratelli.
Da quando erano stati mandati a vivere in quello che era un rifugio per cacciatori situato nella periferia di Dublino, la sua vita era diventata un inferno. Soprattutto dopo la morte dei loro genitori.
Si era ritrovata costretta a rimboccarsi le maniche e a fare da sguattera ai quei tiranni che si ritrovava come fratelli.
Erano uno peggio dell'altro. Non la consideravano mai, mai un gesto gentile o una parola di conforto per aiutarla a superare quello che stavano passando. Niente di niente.
Ed ogni giorno lei sognava. Mentre faceva le pulizie, immaginava di uccidere i suoi quattro fratelli e di sposare Alexander Malik. Se fosse successo, avrebbe finalmente lasciato quel buco e sarebbe andata a vivere in uno dei palazzi che avevano in Arabia o anche nel maniero che avevano in città. Non le importava veramente dove, anche in Finlandia...ovunque pur di lasciarsi alle spalle quel posto.
Lei aveva tutte le capacità per ucciderli, dato che aveva comunque seguito l'addestramento dei cacciatori. Ma si sarebbe ritrovata numericamente svantaggiata in uno scontro aperto. Se invece avesse agito diversamente... Un'idea malvagia le balenò in mente, facendola fermare per un solo istante.  Sorrise crudele, e fu in quel momento che venne urtata dal primo dei suoi fratelli.
Si chiamava Frederick ed era tutto loro padre. Alto, con una montagna di muscoli e penetranti occhi neri. Era pelato sebbene i capelli stessero già ricrescendo.
I loro occhi si incontrarono, nero contro nero, e lui indurì l'espressione già dura di per sé.
A quel punto, Cindy abbassò lo sguardo.
-Per quale motivo stavi sorridendo?- domandò lui, brusco.
Lei sollevò appena gli occhi che si puntarono sulle gambe nude del fratello. Ecco un'altra cosa che non sopportava: la loro mancanza di pudore. Certo, lei non era una che si scandalizzava facilmente ma questo non significava che quei quattro trogloditi dovessero andare in giro per casa nudi o semi nudi.
Come nel caso di Frederick. Non indossava altro che un paio di boxer neri di cotone, nonostante fuori facesse freddo.
-N-non...s-stavo...sorridendo...- farfugliò lei, sperando di far cadere il discorso.
Ma la fortuna non fu dalla sua.
Frederick la colpì con un manrovescio che le spaccò un labbro mandandola a sbattere contro il muro.
Cindy cadde a terra, gli occhi lucidi e il sangue che colava sul mento.
Lui la prese per i lunghi capelli neri e la tirò su, mettendola spalle al muro. -Non devi mentire, Cindy- l'ammonì con crudeltà.  -Sai cosa ti succede, quando lo fai, vero?-
La ragazza annuì, terrorizzata. Aveva capito perfettamente la minaccia di suo fratello e non voleva ripetere l'esperienza. Essere violentata (non solo fisicamente) era già terribile di per sé. Peggio ancora se, a farlo, era uno della famiglia, uno sul quale dovevi poter contare e non temere. La prima volta era stato terribile e ogni volta che ci pensava le veniva da piangere e saliva forte il desiderio di togliersi la vita.

The Hunter's Saga - Half an AngelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora