Cap.9 Privilegiati

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CAITLYN

Los Angeles, casa.

Mi è sembrato di aver passato l'eternità tra i terreni sconfinati del Texas. Non mi manca per niente il caldo un po' troppo torrido per la stagione, la puzza di fieno e soprattutto, non mi manca per niente la maleducazione di Kal. Giuro, ho provato a non pensarci per tutto il tragitto. Tuttavia, inspiegabilmente, ogni singolo minuto passato sul mio jet privato è stato tormentato da Kal e dal suo atteggiamento. Come posso sperare di lavorare all'organizzazione del mio matrimonio in armonia e serenità quando mi ritrovo a dover fronteggiare un soggetto del genere?

«Cait, tesoro, penso io alle valigie», la voce calda di Oliver mi coglie alla sprovvista.

Rinsavisco, eliminando dalla mente il pensiero di Kal.

Non ho nessuna intenzione di farmi rovinare il rientro a casa da lui.

«Grazie», mugugno, proseguendo verso l'entrata.

Salgo lentamente i gradini che mi dividono dalla porta di casa, fermandomi per qualche secondo a osservare l'Oceano; socchiudo gli occhi, inalando a pieni polmoni il profumo salmastro dell'acqua che riecheggia nell'aria.

«Sei sicura che sia tutto ok?»

Riapro gli occhi con uno scatto, soffermandomi con lo sguardo su Oliver che, con le valigie tra le mani, attende che io entri in casa prima di poter fare lo stesso.

«Sì», gli sorrido teneramente, «entriamo».

Quando ho acquistato questa villa, ho preteso che le pareti diventassero grandi vetrate. L'idea di poter osservare il mondo esterno seduta comodamente sul mio divano mi ha sempre affascinata. E devo ammetterlo: mai scelta fu più azzeccata. Il sole caldo illumina il salone, riflettendo i suoi raggi sul parquet lucente della stanza. È inspiegabile la sensazione di appagamento che sto provando in questo momento; casa è casa. È così tremendamente vero.

L'idea di poter mettere radici altrove non ha mai sfiorato la mia mente. Mi trovo fin troppo bene in questa città e penso proprio di aver trovato la mia stabilità fisica e mentale. Fortunatamente, anche Oliver pensa lo stesso. È per questo che una volta sposati, continueremo a vivere tra le colline e il traffico di LA.

«Hai bisogno di altro prima che vada via? Devo incontrare mio padre e i suoi soci al circolo», dice, riponendo le valigie in un angolo.

«No, grazie», mi affretto a rispondere, «ci vediamo stasera».

Oliver mi bacia candidamente su una guancia; sorride teneramente e mi rendo conto solo ora di essere stata decisamente troppo assente in questi giorni. E ingiusta. Il fatto che i miei nervi fossero costantemente sotto pressione, non ha giovato alla nostra situazione. Mi sono sfogata su di lui, usandolo come un parafulmini per i miei problemi; Oliver non ha colpe. O almeno, non completamente. Riconosco di aver esagerato nel locale, inscenando una rissa che avrebbe potuto costarmi cara. Come ho potuto solo pensare che agire da irresponsabile mi avrebbe portata a qualcosa?

Ripensare a quello che è successo dopo, mi fa sentire anche peggio. Mi sono avvicinata a Kal. Ed è stato pericoloso. Troppo. Non so cosa abbia scatenato in me in quel frangente ma la connessione tra di noi è stata alta, altissima; i suoi occhi puntati nei miei, i movimenti lenti e decisi, i gesti calcolati.

Arrossisco involontariamente al solo pensiero di lui su quel maledetto toro meccanico.

«Basta, Cait. Basta», borbotto tra me e me.

Mi lascio cadere sul divano mentre il telefono vibra, avvisandomi dell'arrivo di un messaggio. Sbuffo sonoramente. Speravo di potermi rilassare un po' prima di tornare a lavoro e invece, a quanto pare, le mie responsabilità non possono aspettare.

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