Capitolo 7

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Quando ebbe finito di prepararsi Kevin mi fece finalmente vedere casa sua... Cioè l'essenziale: il bagno, la cucina, le scale ed il salotto. Ci sedemmo sull'enorme divano in pelle nera che torreggiava in mezzo alla stanza davanti ad un camino a legna immenso. Il salotto in realtà poteva avere le stesse dimensioni di una piazza di un paese per quanto era grande, e lo stile minimal e asciutto della mobilia lo accentuava ancora di più.

Questo Kevin è ricco quindi...

Dopo di che lui tirò fuori delle scarpe mai viste prima: erano come degli anfibi solo che erano perlati, i lacci non c'erano, ed un unico pulsantino quasi invisibile serviva direi per l'attivazione. Me ne passò un paio da ragazza e notai che fortunatamente non c'era il tacco.

Infilai il piede ma la scarpa era talmente grande che quando cercai di riappoggiarmi per terra, si sfilarono da soli «Kevin queste scarpe mi sono enormi» lui si girò con aria annoiata, mi infilò nuovamente gli strani stivaletti e con una levetta sulla suola essi si rimodellarono perfettamente, rimpicciolendosi di 4 volte.

«Vedi che ho ragione a chiamarti fatina, sei minuscola e fastidiosa» sogghignò e in risposta gli feci una linguaccia.

«Ma a cosa servono? Come mai sono così strani?» chiesi mentre spingevo il pulsante di... accensione?

«Il suolo del nostro pianeta, in realtà è composto esclusivamente da lava, ma siamo riusciti a creare un campo magnetico poco sopra di esso così che ci permetta quasi di fluttuare interagendo con i magneti sotto le suole» si alzò in piedi e lo guardai mentre camminava sull'aria senza alcun problema.

Mi porse una mano per aiutarmi ma rifiutai. Dopotutto anche io so volare, quanto sarà difficile?

Appena cercai di alzarmi facendo leva sui piedi, essi scattarono verso l'alto e mi ritrovai come appesa in aria a testa in giù, ma dai accidenti.

«Ma che diavolo! Non guardarmi aiutami!» gridai guardando il suo volto apatico mentre sorrideva godendo immensamente della situazione.

Subito dopo mi arpionò un polpaccio e mi rimise dritta, e mi porse nuovamente la mano con fare sornione.

«Ti conviene accettare se non vuoi che ti porti in giro come un palloncino» lo guardai infervorata prima di accettare, la sua enorme mano avvolse la mia piccolina e uscimmo di casa.

Non seppi letteralmente dove guardare, i palazzi in vetro si stagliavano enormi sulle case e strade popolate da ogni genere di essere mitologico: elfi, streghe qualche drago e tantissime altre creature meravigliose. Arrivammo davanti un vicolo stretto e oscuro, molto diverso dalle vie lussuose della città, ma ovviamente era quella la nostra meta. Camminammo per qualche minuto tra pareti umide e tanfo di qualunque cosa, finche non arrivammo davanti ad un portale di un azzurrino chiaro, lo guardai meravigliata i suoi colori erano bellissimi, si partiva da un azzurro celeste fino ad un blu scuro.

Lo attraversammo e ci ritrovammo in un'altra città!

Attorno a noi tanti cubi erano ammassati gli uni sugli altri costituendo case rustiche mentre la strada era piena di bancarelle di ogni genere, tessuti, armi, gioielli! Una città nascosta all'interno di un'altra città!

Le luci che illuminavano la strada emanavano raggi arancioni, che si intravedevano anche dalle finestre delle case quadrate, infine guardai il cielo viola e aprii la bocca meravigliata.

«Benvenuta nella Città dei Ladri, Aleys Flame» osservai il volto del ragazzo che mi teneva per mano e comincia ad arrossire quando i suoi occhi verdi si posarono su di me, prima di ricominciare a camminare.

Arrivammo davanti ad un enorme struttura in mattone con un portone in legno massello che sembrava averne passate tante eppure restava ancora lì maestoso. Entrammo e un gran baccano ci accolse in quello che sembrava un ristorante, ragazzi, uomini, donne e anziani; erano tutti lì riuniti a bere e a divertirsi ma quando ci videro calò un silenzio di tomba e tutti i loro occhi si fissarono su di noi.

Phoenix. La luce nelle tenebreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora