14. Emma

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Entro in casa di fretta, sfilando la tracolla che porto in spalla e lanciandola con noncuranza sul divano. Mi dirigo in cucina, dove trovo nonna Margaret seduta al tavolo, con la testa appoggiata sulle mani e lo sguardo basso.
"Nonna." Dico solo, avvicinandomi alle sue spalle cingendola con le braccia.
"Piccola mia." Solleva la testa dalle mani per usarle per stringere le mie di rimando. Rimaniamo in silenzio in questa stretta per qualche secondo, la sua schiena contro il mio petto. Quando il dolore e la preoccupazione sono tali da cancellare le parole spesso è il silenzio a portare l'unico conforto possibile.
"I medici non mi hanno detto altro. Mi chiameranno non appena avranno gli esiti degli esami. Ha solo quindici anni, è tutto così ingiusto." Tira su con il naso e asciuga la lacrima sulla guancia con il dorso della mano mentre con l'altra accarezza la mia. 
Cerca di infondermi coraggio, ma so quanto sia spaventata. Mi sembra di rivivere gli stessi momenti di sette anni fa, quando io avevo l'età di Alex, e sicuramente la nonna ha i miei stessi pensieri.

Mamma aveva iniziato a manifestare silenziosamente i sintomi di quella dannata malattia che ha segnato la sua condanna. Tutto era iniziato con uno strano e insolito senso di spossatezza. La sua carnagione chiara diventava però sempre più pallida e ricordo che spesso perdeva sangue dal naso. Io e mio fratello non avevamo che quindici e nove anni, capivamo che qualcosa non andava ma nessuno, nemmeno papà e nonna, potevano immaginare che la situazione fosse più grave di ciò che sembrasse. La mamma d'altro canto cercava di mantenere il buonumore, minimizzando i sintomi per non farci preoccupare. È sempre stata una donna bellissima, ma dopo il primo mese dalla comparsa dei primi segnali iniziava a perdere peso, a rifiutare il cibo per la forte nausea e due profonde occhiaie segnavo i suoi meravigliosi occhi verdi come i miei, circondando di ombra il suo dolcissimo sguardo. Iniziarono poi gli attacchi di tosse. Ma era una tosse diversa da quella portata da una banale influenza. Le crisi che iniziavano improvvisamente e in qualsiasi momento del giorno e della notte segnavano i momenti peggiori. Purtroppo le visite dei medici erano sempre inconcludenti, non si sapeva né la causa né il decorso di quella malattia, si limitavano a consigliarle il più forte sedativo in commercio sperando fosse sufficiente a placare le crisi. Il ricordo più triste che ho è quello della notte in cui mio padre ha dovuto portarla d'urgenza in ospedale perché l'attacco violento di tosse le stava impedendo di respirare. Ricordo come la voce preoccupata di papà che chiamava la mamma e la nonna aveva svegliato me ed Alex. Lui si era rannicchiato sotto le coperte portandosi le mani alle orecchie per attutire i suoni provenienti dalla camera da letto e continuava a ripetere "mamma, mammina" come una cantilena. La nonna, che in quei giorni si era trasferita da noi per dare una mano, si era fiondata in camera nostra dopo aver chiamato i soccorsi per cercare di tranquillizzarci e ricordo che nell'esatto momento in cui aveva aperto la porta della nostra camera, papà stava uscendo rapidamente dalla loro portando la mamma priva di sensi in braccio giù dalle scale. Nonna aveva cercato di chiudere la porta il più in fretta possibile per non farci assistere alla scena, ma non era stata abbastanza veloce.
La mamma da quella sera è rimasta in ospedale sotto osservazione per cinque giorni. Io, Alex, nonna e papà passavamo tutto il tempo che ci era permesso con lei, non lasciandola sola nemmeno un attimo negli orari in cui ci era concesso starle accanto. Io e mio fratello disegnavamo, su sua richiesta, fiori e animali su fogli di carta che poi appendevamo nella sua stanza per portare gioia e colore su quelle pareti bianche e asettiche. Sembrava stare meglio, credevamo si stesse riprendendo, ma vedevo chiamare fuori dalla sua camera i medici per parlare con nonna e mio padre senza che noi potessimo ascoltare gli aggiornamenti sulla sua salute.
"Emma, Alex, tesori miei, non dovete avere paura." La mamma cercava di infonderci sempre coraggio in quei momenti, quando rimanevamo soli con lei nella stanza. "Siete la cosa più preziosa che ho e vi amo con tutto il mio cuore. Quando guarirò staccheremo tutti questi bellissimi disegni e li porteremo a casa per appenderli in giro!"
"Quando, mammina? Quando tornerai a casa con noi?" Aveva chiesto impaziente Alex. In quel momento erano rientrati la nonna e il papà e sia io che la mamma avevamo notato lo sguardo basso che entrambi tenevano e gli occhi rossi che cercavano di nasconderci. Ricordo che istintivamente strinsi la perla della collana che mi aveva lasciato mamma il primo giorno che eravamo venuti a trovarla in ospedale per poterla sentire vicino anche quando eravamo a casa.
"Presto, angeli miei. Presto.".

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