Capitolo Dieci

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Presente

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Presente.

Quanti punti perdevo continuando a seguire una persona che decideva sempre di mettermi al secondo posto?

Per la prima volta da quando la mia relazione era iniziata, George non era venuto in camera mia, aveva deciso di salutarmi con un ci vediamo dopo, scegliendo alla fine di andare a divertirsi con alcuni piloti, nonostante il giorno seguente avesse una gara.

Era cambiato qualcosa? Avevo fatto qualcosa di sbagliato? Non era abbastanza fingere di non conoscermi nella vita reale?

Ordinai il servizio in camera, mangiai veloce la cena nonostante non avessi voglia e quella sensazione di fastidio entrò fin dentro la mia pelle. Mi sentivo così piena di irregolarità che mi mancava andare a correre, mi mancava sfogarmi, mi mancava cercare a tutti i costi di spegnere quel bruciore nel petto che non mi faceva stare tranquilla.

Senza nemmeno ricordare come, mi trovai con le scarpe da ginnastica sul lungomare e corsi, sentii il mio corpo liberarsi dello stress, ma allo stesso tempo, il buio del cielo mi entrò nella testa.

Il mio cuore si era spezzato così tante volte che anche quando credevo di star vincendo, lui sapeva che era sempre più grande la perdita, che il successo.

Non esistevano vittorie per chi era nato perdente, non esistevano stabilità per chi nuotava in una vita così variabile da trovarsi provvisorio scritto con il pennarello indelebile sulla fonte.

Temporanea per tutti, transitoria per altri, ma il concetto di restare al mio fianco era non conosciuto, straniero, estraneo. Nessuno puntava i piedi vicino a me e usava il dito per indicarmi, per scegliermi tutta la vita.

Quando i miei zii si sarebbero stancati di me? Quando anche loro avrebbero scelto di allontanarsi da me?

Perché non potevo guarire? Perché ero così segnata dalla perdita dei miei genitori, dall'incidente, dalle parole di George continuamente, dallo sguardo distante di Toto quando guardava la mia cicatrice?

Mi fermai, i piedi bruciavano, mi appoggiai a una ringhiera, nascosta dal mondo e da una panchina sul marciapiede.

Avevo i polmoni piegati a metà, le labbra screpolate, la vista sfocata, quando sarebbe arrivato il momento in cui avrei semplicemente detto basta? Sarei salita su una ringhiera qualsiasi, una montagna, un altissimo dirupo, per poi semplicemente zittire la mia mente per sempre? Non avevo nemmeno il coraggio per farlo.

«Perché corri costantemente alla ricerca di soluzioni?» Ricordai le parole dell'ultima psicologa con cui avevo parlato subito dopo l'incidente.

«Mi aiuta a riflettere.» Avevo risposto guardando i quadri in giro per la stanza, stringendomi le dita per cercare di calmarmi.

«E rifletti davvero o vuoi solo cercare di romperti qualche osso?» L'avevo guardata con confusione, Toto mi aveva visto farlo una sola volta e il risultato era stato trovarmi su quel divano, cos'altro poteva averle detto?

Adrenaline | Max VerstappenWhere stories live. Discover now