Capitolo Dodici

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Quella mattina decisi di fare colazione poco prima del pranzo

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Quella mattina decisi di fare colazione poco prima del pranzo. La giornata di interviste nel paddock era sicuramente iniziata, e scesi solo dopo aver mangiato una brioche, scrivendo a mia zia per venirmi a prendere fuori dall'entrata.

L'aria nel paddock era densa di rumore: motori che ruggivano in lontananza, un brusio costante di voci che si mescolavano, e l'odore pungente della benzina che si attaccava alla pelle. Sotto i piedi, il cemento vibrava leggermente, come se tutto l'ambiente fosse pervaso dall'adrenalina delle gare.

I visi intorno a me erano concentrati, sguardi che correvano veloci come le macchine che si preparavano a partire, ma io mi sentivo estranea a quell'euforia, come se tutto il mio mondo, come se tutte le mie emozioni preferite da provare perdessero colore in base al mio umore.

Non avendo visto i miei zii per quasi un mese, Susie non perse tempo: mi abbracciò e mi diede anche il pass che non avevo avuto modo di recuperare.

Non mi fece domande; mi informò solo delle attività che avrebbero svolto i piloti della Mercedes, e fu in quel momento che pensai a George.

Erano giorni che non si faceva sentire. Sapeva che, durante i miei momenti difficili, non riuscivo a concentrarmi su altro se non sui miei pensieri. Ma spesso mi chiedevo se lui si ricordasse di me, se io, fossi nei suoi pensieri.

Con il pass ancora in mano e un cenno di saluto a Kym Illman, sentii la voce di mia zia insinuarsi nella mia mente, cogliendomi alla sprovvista.

«E così hai lasciato a piedi Verstappen?» Sorrise Susie, ricordandomi che, oltre a mio zio, non ne avevo ancora parlato con lei. Scoppiai a ridere, perché, dopo diversi weekend dall'accaduto, quasi un mese dopo, la situazione sembrava più divertente rispetto a quel momento.

«Beh... Alla fine l'ho accompagnato in hotel, ma a George non dev'essere piaciuto molto, ultimamente sembra assente.» Mormorai, tenendo tra le dita il pass e osservando l'argento che ne contornava i bordi.

Ultimamente avevo un vuoto così profondo nello stomaco, da farmi perdere l'equilibrio del corpo.

Mi sentivo su un filo, così sottile da non sapere se sarei caduta o meno, da non sapere se sarei sopravvissuta o meno.

Gli unici punti di riferimento erano i miei zii. Sapevo che non mi avrebbero abbandonata, ma un tempo, sapevo e credevo che perfino i miei genitori non mi avrebbero abbandonato.

Come si prevedeva il futuro? Come si camminava per tutta la vita con le mani in avanti per prevenire la caduta?

Perché prima o poi si cadeva, prima o poi, anzi, si riprecipitava. Si sbatteva sempre più violentemente contro il vuoto, e alla fine, non si smetteva di cadere mai.

«Liss, se non ti rende più felice, perché devi fingere che lo faccia ancora?» Disse, inclinando leggermente la testa, come se stesse cercando di decifrare ogni mia emozione. Perché devi fingere che ti renda felice?

Adrenaline | Max VerstappenWhere stories live. Discover now