Capitolo Undici

317 31 122
                                    

Lo sfarfallare delle luci dei lampioni accompagnava l'insolita camminata che stava prendendo il posto dell'essere sdraiata nel letto, come ero solita fare a quest'ora della notte

Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.

Lo sfarfallare delle luci dei lampioni accompagnava l'insolita camminata che stava prendendo il posto dell'essere sdraiata nel letto, come ero solita fare a quest'ora della notte.

Trovai una panchina sola nell'ombra della luna e la guardai. Sembrava illuminata come se mi chiamasse, come se il rumore del mare di Montecarlo mi avesse guidata esclusivamente per appoggiarmi proprio lì.

Mi sedetti e iniziai a osservare quello che il cielo aveva da mostrarmi: la costellazione del Cane Maggiore era stranamente più visibile del solito; la stella Sirio, la più brillante in tutto il cielo, conosciuta sin dai tempi degli Egizi, stava lì ferma a osservarmi e io osservavo lei.

Speravo mi parlasse e mi dicesse come superare la situazione ardente che avevo creato, proprio perché il significato del nome della stella era quello.

Avevo sentito la pelle bruciare per tutti i restanti giorni a Baku. George era sembrato distante; allo stesso tempo, come sempre, nei posti sicuri era sempre lui. Il ragazzo che amavo.

Dall'altro lato, non riuscivo a togliermi dalla testa l'idea che mi avesse deluso, che il comportamento che aveva avuto nei miei confronti fosse stato sbagliato. Aveva cercato di farmi sentire sbagliata.

Non sapevo più avere un'idea, o almeno, nella mia testa ero stufa. Davanti a George non riuscivo a essere nulla, se non accondiscendente.

Avevo deciso di saltare il viaggio per Miami e Toto non aveva fatto domande, soprattutto per il periodo dell'anno che stava arrivando. Dopo essermi chiusa nella casa ereditata dai miei genitori a Montecarlo, ero diventata nostalgica; perciò, quando decisi di non andare nemmeno a Imola, mio zio non disse niente.

La gara in Italia era stata annullata alla fine, per delle gravi condizioni meteorologiche e mi trovai già nel posto giusto per il Gran Premio successivo, Monaco.

Ma avevo la testa chiusa in quella camera buia, quel cielo buio che adesso mi osservava come se mi conoscesse più degli altri. Come se fosse l'unico ad avermi vista per ciò che ero.

Conosceva i miei difetti, le mie paure, sapeva che non avessi nessun cuore nel petto.

Mi ero allontanata dai social da Baku; ormai era più di una settimana che non vedevo George, che non vedevo nessuno.

Avevo la mente così in ripetizione sui miei problemi da non ricordare che cosa avessi mangiato il giorno prima, da non sapere che cosa ci facessi di notte a correre sulle montagne di Monaco, dal perché spesso mi svegliassi seduta sul pavimento del bagno con le guance rigate di lacrime.

Ormai piangere non faceva parte di me, credevo, ma evidentemente non ne ero capace quando ero cosciente.

Neppure io stessa avevo il coraggio di guardarmi allo specchio e mostrare chi fossi veramente.

Adrenaline | Max VerstappenWhere stories live. Discover now