Capitolo Otto

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«Dove preferisci che ti lascio?» La voce tranquilla dell'olandese mi fece ridere

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«Dove preferisci che ti lascio?» La voce tranquilla dell'olandese mi fece ridere. Osservai di sottecchi i suoi denti tenere ferme le labbra dalla concentrazione.

«Ti ricordi che è la mia macchina, vero?» Sussurrai sporgendomi verso di lui ed entrando nel suo spazio vitale. Lui si girò, facendo sì che potessi notare quel neo sopra la bocca.

Non era esattamente la mia macchina, era data dal team, come la sua che avevo distrutto. Solo che a ogni gara, mio zio mi faceva avere lo stesso modello, perciò non notavo differenze.

Sapeva quanto mi mettesse a mio agio guidare ciò che conoscessi.

«Ogni volta che vedo il logo della Mercedes sul volante, Wolff.» Mantenne il tono basso, così basso che risultò roco. I peli sulle braccia si drizzarono, obbligandomi a sentire brividi lì e in tutto il corpo, risucchiai il respiro non aspettandomi ancora una volta quella vicinanza. Lo faceva apposta o era così proprio di suo?

Era buffo come passassi la maggior parte del mio tempo libero, a ripensare ai ricordi peggiori che contenesse la mia mente, ma una sola parola di Max, una sola frase, dirottavano completamente il mio cervello.

«Smettila...» Tornai con la schiena sul sedile, portandomi le gambe vicino al petto, ma stando attenta a tenere giù il vestitino estivo. Portai una mano sulla fronte, asciugando quella misera scia di sudore sulla pelle. Non aveva senso però, il clima arrivava forte nell'abitacolo della macchina, Max Verstappen mi stava facendo sentire accaldata.

«Non sto facendo niente.» Fece spallucce, nascondendo l'ombra di divertimento girandosi per guardare lo specchietto. Si passò le dita tra i capelli e alternò le mani sul volante.

Per qualche momento tornò a scrutarmi, credendo di farlo di nascosto o forse, fingendo di osservare la città, ma poi i suoi occhi tornarono sulle mie gambe, sul mio viso.

Come se avesse perso una guerra interiore nelle superficialità, fingendosi interessato a ciò che gli desse indifferenza, ma decidendo di accettare la sconfitta alla fine, dando al suo cervello ciò che gli chiedeva il cuore.

Mi sentivo appesantita, dai suoi occhi, dal fatto che, rallentando a un semaforo, nessuno dei due pareva voler schiodare gli sguardi. Mi sentivo appesantita, da George, dai miei pensieri, dal fatto che fosse completamente sbagliato ciò che stava avvenendo in quell'abitacolo.

Si era trasformato in un gioco, il primo che avrebbe girato il capo, avrebbe perso. Eppure vincitori era tatuato nelle nostre menti, inciso nei nostri ideali, forse nei miei non c'era mai davvero stato scritto, ma con lui, mi ero accorta di volerlo essere.

Una chiamata al suo telefono e il semaforo verde, mi fecero tirare un sospiro di sollievo. Il mio corpo era in fiamme, lui prima di rispondere e iniziare a giustificarsi per l'incidente con qualcuno, dovette schiarirsi la gola.

Adrenaline | Max VerstappenWhere stories live. Discover now