XII

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Alex's pov

Era stato divertentissimo, uno spettacolo che avrei voluto registrare per rivederlo all'infinito. Giorgio - che faceva davvero schifo come pugile - mi aveva tirato un pugno. Il mio dolce angioletto aveva ceduto alle provocazioni e l’avevo messo nei casini con gli arcangeli. Ero convinto che l'avrebbero licenziato, che lo avrebbero fatto cadere giù. E quando fosse diventato un demone, avrei passato tutta l'eternità a tormentarlo, disturbandolo ogni singolo giorno. E forse, chissà, alla fine gli sarei anche piaciuto. Però un po' mi dispiaceva. Se lo avessero buttato fuori dal Paradiso, non l’avrei avuto sempre tra i piedi. Mi ci ero abituato a quella sua presenza ingombrante e impeccabile, e in un modo assurdo, sentivo che mi sarebbe mancato.

Ettore era stato sospeso, il che significava che poteva godersi il lusso di svegliarsi tardi. Quando finalmente si alzò, erano le dieci e due minuti. Non mi aspettavo di vedere Giorgio, e quando lo vidi lì, tutto perfetto come al solito, rimasi sorpreso. Non era stato licenziato, non l'avevano gettato giù, ma io ero sicuro che l'avrebbero fatto.
«Giorgio? Cosa ci fai qui? Pensavo che ti avessero cacciato. Per sempre.» Dissi con una punta di delusione, ma con un ghigno malizioso stampato in faccia. L'angelo alzò gli occhi al cielo, come se fosse stanco persino di rispondermi.
«No, sono ancora qui. Non sei contento?» Ghignai, divertito. Non ero solo contento, ero eccitato. L'idea di averlo ancora tra i piedi era come un dono inatteso.
«Non sai quanto. E anche un mio amichetto è felice d-» iniziai, ma Giorgio mi interruppe subito, piazzandomi una mano sulla bocca. Non potei fare a meno di leccargliela, facendolo sussultare. Tolse la mano di scatto, pulendosela sulla mia maglietta con una smorfia di disgusto. Devo ammettere che lo trovai adorabile. «Dicevo: anche il mio amichetto è felice di-»
«Alessandro, sta zitto.» Disse in tono secco, sottendono. Mi sorprese sentirlo pronunciare il mio nome completo. Nessuno lo faceva più, ormai. Era come se cercasse di rimettermi al mio posto, come se il solo usare il mio nome per intero potesse darmi una lezione. E forse, in un certo senso, lo fece. Ma non per molto.
Dopo quella "minaccia", Giorgio tornò alla sua solita routine, ignorandomi e continuando a fare da perfetto esempio per Ettore, come se niente fosse successo. Il suo controllo, la sua integrità, mi irritavano. Aveva avuto una chance di cadere, di diventare come me, e l’aveva sprecata. Non riuscivo a tollerare l’idea di vederlo ancora angelo, puro e impeccabile. Volevo che diventasse un demone, proprio come me. E sapevo che prima o poi, ci sarei riuscito.
Nonostante il suo tentativo di ignorarmi, non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. C'era qualcosa di irresistibile in Giorgio, in quel suo essere così diverso da me. Lo volevo corrompere, volevo vederlo cedere, volevo che alla fine si rendesse conto che la sua rettitudine non avrebbe potuto salvarlo da me.
E così lo osservavo mentre faceva del suo meglio per aiutare Ettore, come sempre. Volevo scuoterlo, spezzare quella facciata di perfezione e far uscire il lato oscuro che tutti, prima o poi, mostrano.
Mi avvicinai ancora una volta, senza dire nulla, limitandomi a osservarli. Ettore cercava di concentrarsi sui libri. Il mio angioletto, come sempre, cercava di essere la figura di riferimento, ma era stanco. Lo sapevo, lo sentivo. Il peso delle sue responsabilità e la mia presenza costante lo stavano facendo cedere e io non vedevo l'ora che quel momento arrivasse, non vedevo l'ora di vedere Giorgio diventare come me e di poter avvicinarmi sempre di più a lui.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 03 ⏰

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