VIII

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Alex's pov

Avevo fatto sospendere Ettore per una settimana, niente di che, ma Giorgio era incazzato nero con me. Era molto divertente vedere il mio piccolo angioletto arrabbiato, ma mi dava fastidio il fatto che pensasse che io seguissi una logica per ogni cosa che faccessi. Io non seguivo schemi e non facevo piani intricati come lui vorrebbe credere. Facevo quello che mi passava per la mente, quello che mi divertiva in quel preciso istante. Se vedevo qualcuno che faceva del male a Ettore e mi andava di spaccargli la faccia, lo facevo. E se subito dopo mi veniva voglia di far espellere lo stesso Ettore dalla scuola, lo facevo senza pensarci due volte. Non c’era un filo logico, nessuna strategia a lungo termine. Solo puro e semplice piacere. Ma Giorgio, con la sua mentalità rigida e le sue regole, non riusciva proprio a capire. Mi guardava con quegli occhi pieni di rabbia e disapprovazione, come se io fossi un enigma da risolvere. Crede che io abbia uno scopo, un piano malvagio da seguire, e non riesce ad accettare che la mia unica motivazione sia il divertimento. Penso anche che, dopo aver picchiato quel gruppetto di ragazzi, pensasse che io fossi chissà che bravo ragazzo con una maschera da cattivo. No. Non è assolutamente così. Il caos, l’imprevisto, la libertà di fare quello che voglio, quando voglio. Questo è ciò che mi guidava. Eppure, c'era qualcosa di delizioso nel vederlo tentare di darmi un senso. Ogni volta che cercava di trovare una spiegazione ai miei gesti, ogni volta che, nella sua mente, mi paragonava ad un angelo come lui, non faceva altro che divertirmi ancora di più. Era come un gioco infinito in cui solo io conoscevo le regole. Un gioco in cui ogni mossa che facevo non è altro che una sorpresa, anche per me. Mi domandai quanto tempo ci volesse prima che Giorgio finalmente capisca che non c’era nulla da capire. Forse mai, e forse era proprio questo il bello, ciò che mi faceva divertire di più.
Dopo che il mio dolce angioletto mi fece la cazziata, scomparii. Andai in un posticino carino vicino casa di Ettore dove potevo fumare in santissima pace. Era un parchetto abbastanza calmo e silenzioso, c'erano varie panchine e molti alberi, ma la cosa più bella erano gli animali che girovagavano. C'erano un sacco di cagnolini troppo belli e anche alcuni gatti randagi che, per l'amor di Santana, erano bellissimi. Gli animali erano un mio punto debole, il mio tallone d'Achille. Quando ne vedevo uno, cane o gatto che sia, mi rincoglionivo di botto. Non capivo più niente se non "Miao" e "Bau".
In momenti come quello, mi dimenticavo persino di Giorgio, di Ettore, di tutto il resto. Mi sedevo su una panchina, accendevo una sigaretta e guardavo quei piccoli esseri meravigliosi. Erano l’unica cosa in questo mondo che riusciva a farmi dimenticare il caos, la distruzione e la rabbia che, di solito, mi accompagnavano. In quei momenti, anche un demone come me poteva trovare un po’ di pace, poteva sentirsi liberamente ancora una volta un essere umano. Ci pensavo spesso, a quando ero in vita, non mi ricordavo nulla, nessuno lo faceva. Dicevano che era per il bene delle nostre missioni, dicevano che la nostra memoria avrebbe potuto compromettere il nostro ruolo da Tentatori. Cazzate. Se dovevo indurre qualcuno a suicidarsi, lo potevo benissimo fare anche con i miei ricordi. Volevo sapere qualcosa sul vecchio me, sulla mia famiglia e anche sulla causa della mia morte. Lo volevo sapere e l'avrei scoperto. Avevo già contattato qualcuno che, all'insaputa di Satana e degli altri scassa cazzo, sapeva come recuperare la memoria e, proprio in quel momento, quel demone si stava accomodando sulla panchina accanto a me.

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