THE NEW MARCHIONESS

3 2 4
                                    

Francesco

Accesi una candela, la fiamma tremolante proiettava ombre danzanti sui muri del palazzo. Ogni passo che facevo nel corridoio sembrava amplificato dal silenzio assoluto, quasi fosse un'eco di qualcosa che non avrei mai voluto ricordare. Il legno sotto i miei piedi scricchiolava, il suono accompagnava i miei pensieri come un monito, un avvertimento che non ero solo.

Poi la sentii.

Un pianto. Lieve, spezzato. La voce di una bambina.

Il cuore mi saltò in gola. Mi fermai, la candela tremò nella mia mano. Non poteva esserci una bambina qui. Non c'erano più bambini in questo palazzo. Qui eravamo solo io e Hanna, e il peso di ciò che avevamo fatto, di ciò che avevo fatto.

Ma il pianto continuava, sommesso, insistente. Proveniva da dietro di me.

Mi voltai di scatto, il respiro bloccato nei polmoni. E lì la vidi.

Mary. Sempre lei.

La sua testa tagliata, un volto pallido e livido, tenuta tra le mani come un macabro trofeo. In braccio aveva lei, una bambina. Mary la guardò, poi alzò lo sguardo verso di me, con un sorriso distorto che sembrava urlare più del pianto della bambina.

«Sei contento di vedermi così?» sibilò, la sua voce un misto di disgusto e ironia. «Con lei...»

Non riuscivo a muovermi, il corpo rigido, il sangue che sembrava congelarsi nelle vene. «Che cosa vuoi da me?» balbettai, la mia voce tremava tanto quanto la candela nella mia mano.

Mary rise, una risata cavernosa che rimbalzava sulle pareti vuote, e il pianto della bambina si mescolò ad essa, creando una melodia che mi fece accapponare la pelle. Sentii il sudore colarmi lungo la tempia, freddo, viscido.

Lei avanzò, lasciando tracce di sangue sul pavimento dietro di sé. Volevo scappare, ma le gambe non rispondevano. Volevo urlare, ma la voce mi moriva in gola.

Non poteva essere vero. Mary era morta, e anche nostra figlia. Era successo una settimana fa. Eppure, quella visione mi perseguitava, si aggrappava alla mia mente come una maledizione.

Mi svegliai di colpo, il respiro affannato. Il sudore mi incollava la camicia alla pelle, come se la notte fosse stata un mare in cui stavo affogando. Accanto a me, Hanna dormiva tranquilla, il suo respiro lento e costante. Non sapeva nulla dei miei incubi. Non le avevo mai detto nulla. Come avrei potuto? Quel dolore apparteneva solo a me, come una ferita che non volevo far vedere a nessuno.

Mi chinai verso di lei, il suo volto rilassato nel sonno. Le sfiorai la testa con un bacio, un gesto che mi dava un po’ di pace, anche se per un istante. Ma quel contatto mi fece sentire ancora più colpevole.

Mi alzai dal letto con movimenti lenti, attento a non svegliarla. La luce del mattino filtrava appena dalle tende pesanti della stanza, colorando il pavimento di un grigio freddo. Mi infilai la vestaglia, il tessuto morbido sulle spalle, e mi avviai verso la porta.

Oggi sarebbe stato il suo grande giorno. L’incoronazione di Hanna, la nuova marchesa. La mia marchesa. Pensai a lei, a come sarebbe apparsa oggi, con i suoi capelli sciolti come un fiume dorato e quel sorriso che poteva far inginocchiare chiunque. Era così bella, eppure quella bellezza sembrava appartenere a un mondo a cui io non avevo più accesso.

Aprii la porta della camera. Il corridoio era silenzioso, ma non nella quiete rassicurante di un palazzo al mattino. Era un silenzio opprimente, come se le pareti stesse stessero trattenendo il respiro.

Il sole era già alto, ma nella reggia non entrava mai del tutto. Gli enormi tendaggi e le pareti scure sembravano progettati per soffocare la luce. Avanzai lungo il corridoio, i miei passi appena percettibili sul pavimento di marmo. Sentivo un peso invisibile sulle spalle, un fardello che non riuscivo a scrollarmi di dosso.

Francy- la maledizione dell'imperatrice Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora