Undicesimo capitolo

898 55 19
                                    

Nella fanfiction c'è presente di violenza, droga e sesso esplicito.
Se siete suscettibili sull'argomento: non leggete.

Undicesimo capitolo.

Mi sedetti sul letto confuso e con il respiro accelerato. Iniziavo a credere di star impazzendo, di non riuscire a sopportare più nessuna informazione detta in malo modo. Deglutì, rimanendo completamente fermo, non ero un burattino, non dovevo essere trattato come un sacco da box, da prendere a pugni quando si voleva. Avevo diritto di sapere la verità sulla mia famiglia e su di me.
«Come puoi dire questo?» Alzai lo sguardo, fronteggiandolo.
Rich non si scompose, come solito fare, rimase a fissarmi finché non parlò «Era sera, andai con tuo padre alla sua ultima consegna. Voleva uscirne, il 'gioco' era diventato troppo pericoloso. Pensava alla sua famiglia e voleva che tu e tua madre foste al sicuro» Lo sentì parlare, senza interromperlo. Ascoltavo le sue parole e lottavo con me stesso sull'impulso di non credergli, di non fidarmi di lui, ma feci il contrario. Lo ascoltai quasi se fosse una cosa vitale per me.
«Perché è entrato in quel giro se non voleva?» domandai di getto.
«Per soldi, Zayn, come tutti noi. Aveva disperato bisogno di soldi» Inclinai la testa e mi grattai il mento, muovendo freneticamente la gamba destra.
«Non ho mai avuto una famiglia ricca, ma mio padre non si sarebbe abbassato a certi livelli, lui...».
Mi interruppe, lasciandomi senza fato «L'ha fatto per te!» esclamò, cogliendomi alla sprovvista.
Rimasi a fissarlo per non so quanti minuti, lo fissai senza spiccicare una parola, lo fissai incapace di reagire.
Mio padre aveva un lavoro dignitoso, lavorava in fabbrica come molti operai, ero sempre stato fiero di lui e di come riusciva a portare avanti la famiglia. Non ricordavo molto, ma capitò che certi mesi i miei genitori arrivavano con la paura di non riuscire a pagare le bollette, ma riuscivamo sempre a cavarcela, a riuscire ad andare avanti. Era uno shock per me sapere che mio padre faceva il criminale per aiutare in famiglia, anche se da un lato lo capivo perfettamente.
«Zayn ci sono tante cose che non sai, non ho diritto di dirtele io, ma non voglio che tu pensi che noi, la tua famiglia, ti abbia preso per il culo per anni» Prese fiato «Volevamo proteggerti, abbiamo omesso certe cose...».
«Mi avete nascosto la verità, avevo il diritto di sapere!» sbottai, guardandolo dal basso.
Rich annuì «Volevamo dirtelo quando eri pronto».
«E quando lo farei stato?»
«Quando la tua rabbia e la tua autodistruzione non ci fossero più state» sospirò, scrocchiando le nocche «Da quando sei qui, sei più sereno, Zayn stai iniziando a vivere. Stai vivendo la tua età, quello che tutti abbiamo sempre voluto per te».
Non parlai, annuì soltanto. Ero cambiato da quando arrivai qui. Non ero più lo Zayn Malik di qualche mese fa, ero diverso in modo migliore. Mi stavo lasciando andare, stavo affrontando la vita senza scappare. Non mi nascondevo più nel buio, ora apprezzavo la luce e la sua purezza. Apprezzavo la vita e le persone, non ero più solo.
Aprì la bocca per parlare, ma venni bloccato dal bussare alla porta e pochi secondi dopo mia madre entrò nella stanza. Appena vide Rich si impietrì «Cosa ci fai tu qui?» disse fissando il mio amico. Sbattei le palpebre, rintonato da quelle parole.
«Voi vi conoscete?» domandai, guardandoli entrambi.
Il mio amico annuì «Tua madre ci conosce tutti, sa la verità» Guardai mia madre, chiedendole spiegazione, ma lei rimase ferma a respirare profondamente. Non si aspettava questa visita e preso dal momento mi scordai dell'arrivo di mia madre.
«Cosa sa mio figlio?» «Poco» rispose Rich.
Mi alzai di scatto, innervosendomi, «Basta! Voglio sapere tutto ora, non voglio più bugie, voglio sapere la verità che mi avete nascosto!» Il mio petto si alzava e si abbassava freneticamente, rendendomi il respiro affaticato. Mia madre cercò di fermarmi e scossi la testa, «No mamma, basta. Ho bisogno di sapere».
Lei annuì «E' una storia lunga, siediti ti prego» Feci come disse e l'ascoltai.

«Iniziò tutto un pomeriggio, era appena arrivata la primavera e le giornate si erano allungate, così tuo padre ti diede il permesso di andare al parchetto vicino a casa. Avevi nove anni e giravi sempre con i pattini o con la tua bicicletta. Ero timorosa, non volevo che tu andassi solo, però mi lasciai convincere e ti lasciai. Arrivarono le sette e tu non tornavi a casa, iniziai a preoccuparmi. Parlai con tuo padre e lui si precipitò a cercarti in auto e io rimasi a casa per un tuo eventuale ritorno. Passò un'altra ora e bussarono alla porta. Speravo che dietro la porta d'ingresso ci fosse Yaser con te, ma quando aprì mi trovai dei poliziotti che mi chiedevano se io fossi tua madre. Mi spaventai e andai con loro, tuo padre ci raggiunse e ci portarono in ospedale. Quel giorno, quando stavi tornando a casa, al posto di fare la solita strada, cambiasti. Nessuno seppe mai il perché della tua scelta, ma questo poco importava. Ti investì un camion e stavi rischiando la vita. Mio figlio stava morendo e sia io che tuo padre ci sentivamo così in colpa che non ci capacitavamo dell'accaduto. Ti operarono e rimasi un mese in coma. Non persi mai la speranza, volevo che il mio bambino si svegliasse e un giorno successe, ma non era andata come speravamo. Non ricordavi nulla, non sapevi chi fossi o chi fossimo io e papà, hai dovuto fare molta fisioterapia e sei andato dalla psicologa per il linguaggio e per il trauma subito. Prendevi dei medicinali molto costosi, io e tuo padre non sapevamo più cosa fare. Nessuno ci aiutava, i nonni facevamo quel poco che potevano, ma arrivavamo a metà mese senza soldi e senza riuscire a pagare l'assicurazione, così tuo padre decise di iniziare a far quello che faceva. Non volevo, ma era l'ultima soluzione che avevamo, non volevamo perdere nostro figlio. Così passarono i mesi, anni e tu stavi meglio. Il giorno della morte di tuo padre, voleva smettere. Avevi smesso con la terapia pochi giorni prima e potevamo toglierci questo peso dal petto, ma non andò come speravamo. Tuo padre morì e io non ebbi mai il coraggio di dirti tutto questo, non volevo che tu ti sentissi in colpa» Mia madre parlava tra le lacrime e vidi per la prima volta sul suo volto tutta la sua sofferenza. Mi morsi il labbro, ricacciando le lacrime che disperatamente chiedevano di uscire. Non volevo piangere, non dovevo cedere al dolore.
«Ero con tuo padre quando morì, Zayn» disse Rich «Se ne andò sorridendo. Lo strinsi, cercando aiuto e l'unica cosa che disse fu: proteggi la mia famiglia».
Chiusi gli occhi e non ce la feci, lasciai scendere le lacrime. Mi lasciai andare al dolore, fregandomene del resto. Piansi tutto quello che non riuscì a fare negli anni. Mamma mi abbracciò, stringendomi forte a se. Non mi resi conto di singhiozzare e una terza mano si poggiò sulla mia schiena.
Sapevo la verità che ora però mi stava distruggendo.

The Bad Boy || Zayn Malik||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora