Diciasettesimo capitolo

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Nella fan-fiction c'è presente di violenza, droga e sesso esplicito. Se siete suscettibili sull'argomento: non leggete.

Diciassettesimo capitolo.

Sorrisi impacciato, cercando nella mia mente le parole migliori da utilizzare. Non volevo che soffrisse e non volevo nemmeno che pensasse che la colpa sia sua.
Debbie lo sapeva che non ero non bravo ragazzo e forse si sarebbe aspettata (prima o poi) questo momento.
Avrei preferito trovare un altro modo, ma il gioco diventava sempre più pericoloso e non volevo che Debbie ne pagasse le conseguenze.
Mi morsi il labbro, cercando di rimanere il più possibile impassibile davanti a lei «Hai un momento? Vorrei parlarti» Scrutai attentamente la sua stanza perfetta e pulita da ragazza modello, la mia di stanza era un disastro.
Si spostò dalla porta e mi lasciò entrare «Stai bene?» La sentì sussurrare, mentre chiuse la porta.
Stavo bene? Sinceramente non lo sapevo nemmeno io. Avevo troppe cose per la testa e mi risultava difficile pensare a come mi sentivo. Non era la mia priorità al momento.
Rimasi titubante e ignorando la sua domanda, mi sedetti sul suo letto perfettamente in ordine «Devo parlarti ed è la prima volta che non so come iniziare questo discorso, credimi l'ho fatto molte volte» In altri momenti mi sarebbe sfuggita una risatina da demente, ma non era l'occasione adatta. Debbie non lo meritava, almeno questo glielo dovevo. La guardai cercando di cogliere ogni suo più piccolo movimento. Il suo viso non aveva espressione, mi ricordava una statua di cera. Rimase in silenzio ad aspettare che io parlassi, perché sapeva che mi alteravo quando venivo interrotto. E quando succedeva la rabbia mi travolgeva e dalla mia bocca uscivano stronzate, cose che nemmeno pensavo davvero e mi pentivo di quelle parole nell'esatto momento in cui le dicevo. Ma con la differenza che non chiedevo mai scusa, non ne ero capace. Troppo stronzo e orgoglioso, ancora non riuscivo a cambiare questo lato di me.
Debbie mi si sedette accanto lasciandomi il mio spazio, la guardai attentamente senza spiaccicare una parola. Aveva paura di me? Era così in timore da starmi lontano? Iniziai a dubitare di me stesso e del mio cambiamento, ma almeno ero cambiato?
«Di cosa vuoi parlarmi?» mormorò sorprendendomi, le sue piccole mani strinsero il copriletto. Non smise di guardarmi un secondo, ma il suo viso non dava segni di felicità. Come se sapesse già il mio discorso.
Mi inumidì le labbra e scostai lo sguardo, fissai i tatuaggi sulle mani e iniziai a parlare «Sono arrivato a un punto nella mia vita in cui non so davvero cosa fare, o meglio so cosa fare ma non voglio farlo» presi un respiro profondo e scossi la testa «Ti ricordi quando ci siamo conosciuti?»"
Lei annuì «Volevo esserti amica a ogni costo...» Abbassò la voce «Prima di te ero sola qui». Ed ecco un dolore lancinante al petto che mi distrusse il cuore. In realtà non volevo ferirla, ma stando con me le davo solo preoccupazioni e dispiaceri. E non volevo che si sentisse così, non volevo che fosse in pericolo per via della mia vecchia (o mai lasciata) vita. Se fossi stato un ragazzo perfetto, senza un difetto, senza una vita fatta di droga e illegalità, solo allora mi sarei meritato l'amore di Debbie.
«Prima di incontrarti ero un tale coglione, beh lo sono ancora ma ammetto di essere migliorato, almeno con i rapporti umani»ridacchiai di me stesso «Mi hai insegnato ad amare, a tenere davvero a qualcosa e grazie a te sarò un ragazzo migliore. Migliorerò giorno per giorno, prenderò il diploma, troverò un lavoro onesto e metterò su famiglia, sarò l'uomo perfetto, ma non lo sono ora. Non è ancora arrivato il momento in cui finisce tutta questa merda» La guardai e i suoi occhi mi imploravano pietà. Non voleva sentire dire quelle parole. Lei più di tutti non voleva che parlassi di me stesso in questo modo. Forse lei non lo sapeva, ma avevo imparato a capirla stando con lei giorno per giorno. Sapevo quando stava bene o stava male, quando qualcosa la turbava o la rendeva felice ed era quello che volevo, che lei fosse felice ma senza di me.
«Tornerai da loro, vero? Continuerai a distruggerti e a distruggere le persone che ti amano. Ti è mai fregato qualcosa di me? Erano tutte bugie? Mi hai solo usata?» I suoi occhioni blu erano imperlati di lacrime amare, rimasi in silenzio incapace di risponderle. Non mi meritavo una persona come lei.
Rimasi con il "no" incastrato nella gola, pronto ad accettare qualsiasi conseguenza. Preferivo che lei pensasse tutto questo, ma almeno sarebbe stata al sicuro lontano da me.
L'inferno era il mio destino, perché i bastardi si meritavano solo tormento e fuoco eterno.
Chiusi gli occhi di scatto quando sentì il viso caldo e la mano di Debbie allontanarsi da esso, dopo avermi dato un ceffone. Non reagì,  me lo meritavo.
«Mi sono aperta a te, ti ho raccontato come sono finita qui. Ti ho raccontato le mie debolezze, mi sono concessa perché ti amo, lurido stronzo che non sei altro» sputò fuori come veleno che in un attimo mi corrose il sangue fino al cuore. Mi diede uno spintone e ancora non reagì «Non dovevo fidarmi di te, non dovevo darti nessuna opportunità di ferirmi, perché non meriti nulla a questo mondo. Mi hai usata nel peggiore modo in cui un uomo può usare una donna. Fai schifo» Ed eccolo lo sguardo che tanto aspettavo. Lo sguardo con cui tutti mi guardavano, lo sguardo che dai quando sei deluso, arrabbiato e provi pietà. Per la prima volta vedevo la vera Debbie e non più la ragazza fragile che mi stava sempre attorno. In un certo senso mi piaceva quel lato del suo carattere, la volevo forte e senza paura. Doveva essere forte, perché io non lo ero abbastanza per entrambi.
Non so cosa mi scattò nel cervello -in caso ne avessi uno- ma mi lanciai, senza pensare alle conseguenze, come se questo mi fermasse. Le afferrai il viso con le mani e la baciai, chiudendo istintivamente gli occhi appena le mie labbra toccarono le sue. Assaggiai piano il suo gusto e mi si smorzò il respiro in gola. Ne avevo bisogno per l'ultima volta. Appena provai ad approfondire quel bacio, Debbie mi spinse via con gli occhi granati. Sicuramente pensava che io fossi pazzo e non potevo biasimarla, lo credevo anch'io.
«Vattene» pronunciò con rabbia, distogliendo lo sguardo da me.
Mi meritavo quel trattamento, anche se lei non sapeva che avevo mentito a fin di bene. Si meritava accanto una persona migliore.
Non dissi nulla e mi alzai. Volevo guardarla, volevo stringerla tra le braccia per l'ultima volta, ma non ebbi il coraggio di farlo. Troppo codardo per farlo mentre lei provava odio nei miei confronti. Ma andava bene così, la colpa era mia.
Uscì dalla stanza e appena chiusi la porta sentì un singhiozzo, all'istante mi venne un dolore lancinante al centro del petto come se qualcosa si fosse rotto.

The Bad Boy || Zayn Malik||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora