la mia decisione insapettata

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Jake mi riaccompagnò a casa verso l' una. Quando inserii la chiave nella serratura, quancuno spalancò la porta. Mia Madre.

"ma ti sembra l' ora di tornare?! Non hai neanche avvisato che uscivi! Stai pur certa che non uscirai di casa per almeno un mese!" Mi Urlò in tono minaccioso.

"Non me ne frega di quello che pensi. Non mi interessa se mi metti in punizione. Tu non sai niente di me, e ammettiamolo, non ti eri neanche accorta che non c'ero, finché non ho inserito la chiave. Sai cosa ti dico? Fottiti. Tu e il tuo lavoro. Potete baciarmi il culo stronzi."

"Ecco a cosa ti serve lo psicologo! Tu sei PAZZA!"

Salii le scali sbattendo i piedi.

"Con tutto il rispetto signora, ma sua figlia non è per niente pazza. Lei è strana, certo, ma è la MIA strana. È unica. Certo il suo carattere è molto forte e per questo è fortunata. Non è facile stare al mondo se sei indifesa. E lei dovrebbe essere grata a sua figlia perché non le rinfaccia il fatto che lavora costantemente e che non ha neanche un po'di tempo per sua figlia."

Se ne andò soddisfatto.

Io ero appoggiata alla porta della mia stanza e mi torturavo il labbro inferiore, facendolo sanguinare.
Ero stanca di questa situazione.
Avanti ed indietro tra due famiglie. Ma io chi ero veramente? Non ero figlia di nessuno. Ero solo un punto di incontro. Volevo andarmene. Scappare da questa vita che mi tagliava le ali.
La voglia sulla mano sinistra iniziò a bruciare violentemente. Era nera come la pece. Tremavo.
Iniziai a guardarla. Sembrava che qualcuno ci stesso poggiando sopra un pezzo di ferro rovente. Mi ustionava la mano, senza farmi apparentemente nulla.
Andai in bagno e la misi sotto l'acqua fredda, ma non funzionò, anzi, sembrava peggiorare parecchio.
Le mie mandi tremavano violentemente, come prese da un attacco epilettico. Con molta fatica aprii l'anta dello scaffale ed estrassi la crema blu.
Ne misi quasi più di metà e il bruciore sembrava scomparire.
Mi affacciai alla finestra.
Nonostante fosse l'una e mezza di notte, si poteva vedere benissimo che dei nuvoloni neri, minacciavano la nostra città di un violento uragano, ma questa senzazione di dissolse in fretta.
Nella mia mente iniziarono a crescere dei dubbi.
Ancora una volta, dopo che la mia voglia era diventata nera, anche il cielo era diventato del medesimo colore.
Troppe volte era capitato.
Cos'era quella cicatrice che avevo sulla mano?
Volevo saperlo.
Dovevo saperlo.

***********
Il giorno seguente mi svegliati di soprassalto.
Mi ero addormentata sullo stipite della finestra, come accadeva spesso.
Mi osservai il palmo della mano. La stella era ritornata bianca e il sole splendeva nel cielo, con il suo pallido calore, che cercava di scaldare invano i cuori della gente, induritisi dall'inverno dentro ogni persona.
Mi stropicciai gli occhi. Era una bella domenica mattina, ma io proprio non volevo saperne di alzarmi, ma mi obbligai a farlo.
Ripensai brevemente alla litigata di ieri con mia madre. Era quello che pensava di me. Credeva che io fossi pazza. Pensava che mi avrebbero dovuto rinchiudere.
Ancora una volta mi sentivo un angelo di cemento. Bloccato in un posto estraneo, abbandonato al suo destino. 

Scesi le scale. Mi guardai in giro. Nessuno in casa. Ero sempre da sola, dato che mia madre e suo marito lavoravano fino a tardi e la loro figlia era sempre a casa della baby sitter.

Amy         

- eii, allora, come va? La cena ti è piaciuta? Ahahah non vedo l'ora di sapere ogni dettaglio!!

Jake

-ei amo! Come va? Mi dispiace per la litigata con tua madre... Non riesce a capirti... Richiamami quando ti colleghi

Rimisi a posto il cellulare. Non avevo voglia di nessuno, ma a quanto pare molti avevano voglia di me. Appena posai il telefono sul comodino, squillò. Era mio padre.

-pronto Pa?

-ciao Hurricane... senti... dobbiamo parlare...

-dimmi...

-no, non qui. Vieni al "gatto e la volpe" tra dieci minuti. È importante.

Mi chiuse la chiamata in faccia. Era ora di scoprire cosa diavolo stava succedendo alla mia vita.

Mi feci trovare così, davanti al Gatto e la Volpe, alla ricerca di risposte sulla mia vita.

Mi ero sempre sentita in qualche modo diversa. Tutti che copiavano tutti, mentre io mi sentivo unica, ma da piccola non mi sembrava una cosa tanto bella.

Mi sedetti ad un piccolo tavolo per due, davanti alla finestra che dava sulla strada. Poggiai la borsa su una sedia vuota ed iniziai ad ascoltare la musica. Dolci note mi fecero venire i brividi e mi fecero spuntare un piccolissimo sorriso. Sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla. Era mio padre e notai con orrore che era venuto con sua moglie.

"mi sa che è meglio se scegliamo un tavolo un po' più grande..." mi disse lui con un mezzo sorriso.

Ci spostammo in un tavolo più grande ed io ordinai una tisana rilassante.

"ok... Hurricane... quello che deciderai andrà ad influenzare tutta la tua vita... per una volta devi fare una scelta seria che comporterà delle conseguenze altrettanto serie. Sappiamo che la tua adolescenza non sta andando come vorresti. Che hai pochi amici e che vai dallo psicologo, ma noi vogliamo offrirti una via di uscita. Io e Monique e nostro figlio, vogliamo andare a vivere a Austin, nel Texas. pensiamo che lì ci sia un ambiente migliore, dove sia tu che nostro figlio, potrete vivere a pieno questa parte della vita. Così ti propongo di venire con noi. Non andrai più dallo psicologo e incontrerai gente nuova. allora...? Cioè, sappiamo che al momento con tua madre non sta andando molto bene..."

"sì... vengo con voi."

       
                                                                                                   

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