Ci dirigemmo in salotto, per poter stare più comodi. Mi preparò un tè caldo e poi si sedette davanti a me.
"ok... allora... non so da dove cominciare..."
"iniziamo dall'inizio... dimmi chi sei e come fai a sapere della mia cicatrice"
"ok... il mio nome è Tyler James Crowed. Sono nato ad Atlanta il 18 novembre. Mia madre si chiamava Linda e mio padre James. Sono sempre stato un ragazzo particolare, quello diverso dagli altri bambini: non giocavo a nascondino, non andavo ad esplorare i boschi, me ne stavo da solo con il mio quaderno, su cui annotavo tutte le cose strane che mi stavano accadendo. Era un po' come se la mia pubertà fosse arrivata prima, ma non era così. Era qualcosa di più strano. Mi prudevano le scapole, la notte sudavo freddo e facevo degli incubi che neanche puoi immaginare. I miei occhi si spegnevano sempre di più e diventavo triste...". Si alzò e prese da un cassetto un paio di fotografie e me le porse.
"ecco, questo sono io a sei anni, e questo a sette..."
I due bambini nelle diverse fotografie non sembravano gli stessi, certo i lineamenti erano uguali, ma il volto del secondo era pallido, sciupato e con grandissime occhiaie violacee.
"era una situazione strana la mia... i miei genitori mi hanno portato da vari psicologi ma nessuno riuscì veramente a curarmi, perchè la mia non era una malattia. Il tempo passava e sentivo sempre le scapole doloranti. Non c'era un minuto di pace. Poi avevo tutte queste voci in testa che mi facevano impazzire. Mi dicevano cosa fare e come comportarmi, altre volte invece erano come pensieri confusi, ma non i miei. Un giorno, quando avevo tredici anni, il dolore era esagerato. Era la stessa sensazione di un acido che ti scioglie la pelle, o di qualcuno che ti cava gli occhi, anzi, magari fosse stato quello, no, il dolore era più forte, molto più forte, così andai in bagno allo specchio, mi tolsi la maglietta e quello che vidi mi fece quasi svenire. Mi erano cresciute delle ali nere, grandissime e scure, alchè pensai di essere morto, ma non erano bianche come quelle degli angeli. Mi rimisi la maglietta, ma non volevano sparire. Poco dopo scoprii che mi bastava pensare che sparissero e loro lo facevano. Non dissi nulla ai miei genitori di quella cosa, fino a quando non successe un casino. Devi sapere che i miei genitori erano parecchio ricchi e mio padre, con il suo lavoro si era creato un po' di nemici. uno di questi, Jacob, era parecchio interessato a mia madre, ma lei rifiutava sempre. Ecco, un giorno eravamo a casa e aspettavamo Jacob per la cena. Ad un certo punto la porta si palancò e due sicari sono entrati in casa nostra, con enormi fucili e iniziarono a sparare al soffitto per metterci paura. Dietro di loro spuntò la faccia crudele di Jacob. Aveva una calibro 44 in mano, andò da mia madre e le prese la testa dicendole: 'potevamo risparmiarci tutto questo amore mio, ma tu hai voluto fare la santarella e non tradire il tuo maritino... be peccato che questo costerà la vita a te e alla tua famiglia, ma voglio darti un'ultima opportunità. Puoi lasciare la tua famiglia e venire con me, oppure morire...'. Lei si alzò e lo abbracciò. Al momento pensai che ci volesse tradire, ma poi indietreggiò e disse qualcosa che mi spiazzò: 'sai Jacob, non mi importa di morire, non mi importa se mi rapirai o qualsiasi cosa ti abbia in mente. Verrò via con te, ma non toccare mio figlio o mio marito. Io non vivrei senza di loro e di conseguenza tu perderesti il tuo amore' "
"Poi cosa successe?" Chiesi io, impaziente di sapere la conclusione della storia.
" be lui disse che sarebbe stato obbligato ad uccidere tutti noi, perchè se mia madre fosse andata con lui, non si sarebbe mai dimenticata della sua vecchia famiglia e avrebbe cercato in qualsiasi modo di ritornare. Così puntò la pistola davanti a mia madre e premette il grilletto..."
Misi le mani davanti alla bocca e sentii un tuffo al cuore.
"io mi scagliai davanti a mia madre e parai il proiettile. esso rimbalzò sulla mia schiena, mentre con le ali ricoprivo i miei genitori. Jacob morì ed io fui costretto a scappare. Nessuno mi avrebbe mai accettato e nessuno lo fa tutt'ora"
"io lo sto facendo... io ti sto accettando..." dissi in tono debole, ancora spaventata e stupita dalla storia. "posso vederle...? Le ali..."
"certo". Così dicendo si sfilò la maglietta, si alzò in piedi, mettendo in mostra i suoi addominali. Dalle sue scapole due grosse ali nere piumate si sgranchirono e si mostrarono possenti e spaventose. I suoi occhi celestiali erano colmi di rancore, tristezza e stanchezza. I suoi erano gli occhi di un guerriero. Occhi di chi è ancora in piedi dopo una guerra. E i suoi capelli corvini ricadevano leggeri sulla fronte, imperlata di qualche goccia di sudore. il suo viso era teso, come se dovesse succedere una catastrofe lì a breve. Era perfetto.
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MONOCROMO
ParanormalHurricane è da sola. Hurricane ha una stella sulla mano. Hurricane vuole essere normale. Hurricane è considerata depressa. Hurricane è morta.