Occhi traditori!

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Sembra quasi passata una vita da quando sono stata all'appuntamento con Ian. I giorni sono trascorsi con una certa noia di fondo e conosco benissimo il perché, anche se mi costa fatica ammetterlo.

Oggi è la Vigilia di Natale. Ed io ho sempre amato il Natale.

Per me, questo periodo vuol dire famiglia e felicità. Il divertimento di fare l'albero tutti insieme, con gli addobbi e le luci colorate. Il presepe. Mi fa credere che ancora esista la speranza. Non c'era bisogno di regali, perché a Natale l'unico regalo che ho mai desiderato era stare con le persone a cui volevo bene.

Quando ero bambina i miei genitori mi dicevano sempre di mettere una lettera sotto l'albero la sera prima di Natale e mi convincevano a scrivere ciò che volevo su quel piccolo foglio.

Fino ai nove anni ho continuato a chiedere giocattoli di tutti i tipi, poi, invece, ho cambiato desideri. Scrivevo letterine dove chiedevo a Babbo Natale di non far litigare mai i miei genitori. Gli chiedevo di poter vivere una vita felice e allegra, di quelle che vedevo nei film.
Ho creduto per tanto tempo in quell'anziano omone con la barba bianca e diciamo che un po' ci credo ancora.

In fondo, il Natale dovrebbe essere il periodo in cui si sceglie di essere più buoni e si accantonano per un po' le cose cattive. Dove perdoni e puoi essere perdonato.

Eppure, quest'anno è molto più difficile.
Non sono a casa mia, a Londra.
Non ho più il mio albero, con i vecchi addobbi.
Non ho più i miei genitori.
Mi mancano, come l'ossigeno manca a chi resta sott'acqua per troppo tempo e rischia di annegare. È una mancanza difficile da spiegare, ma fortemente lacerante.

Non riesco a sentire più quell'aria di festa che percepivo quando c'erano loro.

Non ci sono le dolci parole di mia madre a svegliarmi, per dirmi di scendere in salotto per bere una cioccolata calda tutti insieme e non ci sono le mani calde di mio padre, che mi sollevavano quando non arrivavo a mettere la stella in cima alla punta dell'abete. E tutti che guardiamo il Grinch sul divano, godendoci i dolci preparati dalla mamma.

So che nella vita bisogna abituarsi alle mancanze, ma penso sia difficile per chiunque dire addio prematuramente ad alcune delle persone più importanti della propria vita; le stesse persone che ti fanno nascere e ti vedono crescere.

Mi viene da piangere, ma ricaccio in dentro le lacrime. Loro non vorrebbero vedermi triste - mi viene da pensare - e io non voglio deluderli. Ha ragione Alexander, è giusto preservare il loro ricordo, così da poterli tenere ogni giorno accanto a noi, anche se non ci sono fisicamente.

Come se niente fosse, reprimo i miei pensieri in un angolo buio della mente e vado a cercare qualcosa da indossare, mettendo sul telefono l'album di Micheal Bublé; quello che alle feste non può proprio mancare.

La nonna è stata impegnata per quasi tutto il mese, per via del suo lavoro di antiquaria e, dato che ora è libera, ne approfittiamo per preparare l'albero prima della cena; quindi ho bisogno di qualcosa di comodo. Metto un jeans vecchio e scolorito, una felpa rossa che ho rubato ad Al e tengo le ciabatte.

Scendo al piano di sotto - ancora con le canzoni natalizie in ripetizione - e trovo nonna Clara e Alexander già pronti per addobbare.

Mi prende un improvviso impeto e li abbraccio entrambi, come quando siamo arrivati a Verona. Quanto li adoro... se non ci fossero loro, sarei persa.

Noi siamo i Tre Moschettieri, in fondo.

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Ci prodighiamo quasi tutto il pomeriggio a preparare l'enorme abete, ne abbiamo trovato uno finto nel negozio vicino scuola e Alexander ci ha aiutato a portarlo in casa. Alla fine, siamo piuttosto soddisfatti del nostro lavoro.

Le luci colorate sono magnifiche e sulla punta svetta una bellissima stella dorata, che sono riuscita a poggiare grazie - ovviamente - ad Al che mi ha presa in braccio.

Ho passato delle ore magnifiche, poi però, le parole della nonna mi risvegliano da quello stato di benessere.

"Ragazzi, andate a prepararvi, io finisco di mettere a punto gli ultimi dettagli. Tra poco arriveranno i nostri ospiti!" Urla lei dalla cucina.

Caspita, mi ero completamente dimenticata che oggi sarebbero venuti a cena sia Ian che Aaron.

Ansia, gente, ansia.

Corro in camera e vado sotto la doccia.
Cosa dovrei indossare? Pantaloni o gonna? Sono proprio fissata.

Faccio in fretta e, con ancora addosso l'asciugamano, mi pianto davanti la cabina armadio, alla ricerca di qualcosa di adatto.

Provo almeno dieci outfit diversi e scelgo di mettere un vestito grigio chiaro e non troppo lungo. Le maniche sono svasate e il tessuto è abbastanza leggero e arriva all'altezza del ginocchio. Aggiusto i capelli con la piastra e metto sù un paio di open toe nere, che Lisa mi aveva costretto a comprare per le occasioni speciali. Qualche accessorio, un filo di eye-liner, mascara e un po' di lucida labbra chiaro, ed è fatta.

Mi guardo allo specchio e quasi stento a crederci, sembro una femmina a tutti gli effetti.

Il suono del campanello mi riscuote, così mi decido di scendere. Si rivela un'impresa abbastanza ardua fare tre piani di scale con queste scarpe, che sembrano degli aggeggi infernali in tale momento.

Non so come, credo per bontà divina, arrivo giù intera e mi ritrovo davanti gli ospiti.
Tutti gli ospiti.

Ci sono Aaron e Ian che hanno appena girato il capo verso di me e mi scrutano. I genitori del secondo che parlano con nonna Clara e Lisa che prende scherzosamente a pugni il braccio mio fratello. Appena la mia amica nota che ci sono anch'io, si avvicina tempestiva.

"Hannah, tesoro, ma wow! Sembri davvero una ragazza." Esclama lei, ridendo.

"L'avevo pensato pure io, ma tu avresti almeno potuto fingere di non essere così sorpresa." Ribatto, ridendo a mia volta.

"Dai, lo sai che io scherzo. Però, davvero, stai molto bene. I due pretendenti non riescono a toglierti gli occhi di dosso." Ammicca Lisa.

Arrossisco di colpo. Non mi piace poi molto essere al centro dell'attenzione.

Cerco di sviarmela da qualche parte, ma d'un tratto Ian si fa più vicino e anche Aaron viene verso di me, seguendolo. E adesso?

Sono entrambi ben vestiti, quasi eleganti. Purtroppo, il mio sguardo va subito a concentrarsi su Anderson: occhi traditori! Vanno ogni volta alla ricerca di ciò che desiderano. Ma non hanno torto. Lui ha sempre quel qualcosa in più, forse perché nei suoi confronti provo delle sensazioni estremamente diverse da chiunque altro. Direi di sì. Potrei sentirmi male da un momento all'altro e cedere sul pavimento di questa stanza, giuro.

Non riesco più a muovermi, o anche solo a respirare. Passo in rassegna i volti di entrambi, focalizzandomi di nuovo sull'immagine di Anderson. Per quanto voglia reprimere la sua splendida figura dalla mia mente, non ci riesco. Mi sto sforzando, ma ora anche il cuore - oltre agli occhi - mi spinge dove la testa non vorrebbe.

E quasi rischio di mettermi a ridere istericamente, per l'orribile situazione in cui mi trovo e perché dovrò sopportare quella che si prospetta una lunga, lunghissima, serata.

One Last Time [in revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora