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La mia cella era la numero ventitré, all'inizio del corridoio. Tre pareti erano di cemento, mentre l'altra aveva le sbarre. Era abbastanza grande per una sola persona. Un letto, una scrivania con una sedia e un piccolo armadietto. Lì potevo metterci le cose che mi avevano dato all'inizio, come una piccola radio, le cuffie, asciugamani e tutto il resto, o le cose che mi mandavano amici e parenti. Le celle erano tutte attaccate e, come aveva detto l'uomo, singole. Si poteva comunicare col vicino tramite una finestra sempre aperta.

I bagni erano in comune, così come le docce. C'era una palestra, una libreria, una mensa e quattro volte a settimana si poteva persino uscire in cortile per il pomeriggio. Se non volevi stare in cella, potevi andare nell'area svago, per un periodo limitato. Era carina, con un divano, tavolini, una radio per la musica, la televisione.

La puzza di fumo, di ragazzo e di sudore dominava nell'edificio. Non mi dava fastidio, abitando con due fratelli, ero abituato.

La mia divisa consisteva in una maglia larga e pantaloni arancioni, sulla maglia vi era stampato il mio numero di riconoscimento. Il pigiama era una canottiera bianca e pantaloni corti sempre arancioni. Mi davano un po' di prurito, ma con del borotalco passava.

Aprirono la cella e mi spintonarono dentro. Diedero due o tre colpetti a quella di fianco a me e "Clifford, hai un nuovo vicino, sveglia."

In verità, non considerai più di tanto questo Clifford, sentii solo qualche grugnito. Approfittai della radiolina e misi una stazione a caso. Il destino mi volle bene: c'erano i Green Day.

Prison. || Muke ClemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora