capitolo 15

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le giornate scolastiche passavano velocemente scandite da disperati sguardi all'orologio e bigliettini appallottolati.
ormai erano tre settimane che io e Levi ci eravamo 'dichiarati'.
in effetti non sapevo nemmeno se ero davvero la sua fidanzata.
da piccola avevo sempre sognato che il mio futuro ragazzo mi sarebbe venuto a prendere in uno smocking noleggiato e mi avrebbe detto 'sei davvero bella stasera',magari con un enorme buquet di fiori in mano o qualche altra merdata sdolcinata che si usa oggi.
poi mi avrebbe portata in un bel ristorante e alla fine della cena avremmo litigato su chi avrebbe dovuto pagare,io lo avrei imbrogliato correndo fino al banco delle prenotazioni con un bigliettone in mano ma lui mi avrebbe preso in braccio e baciato il naso,e poi avrebbe pagato lui.
poi mi avrebbe fatto sedere su una panchina sulla sponda di un lago e sotto il cielo stellato si sarebbe dichiarato spassionatamente.
ma possiamo dire che Levi non era esattamente il ragazzo che una bambina di sette anni avrebbe sognato,mentre pettinava i suoi pony di peluches con il pettine rosa.
era il il 20 dicembre,uno di quei giorni che passi a stilare una lista con i regali last-minute che devi comprare a tutti la gente che conosci.
uno di quei giorni in cui desidereresti non conoscere nessuno e passare il tempo a bere cioccolata calda leggendo un libro.
ma invece hai la dannatissima sfortuna di avere degli amici che si aspettano un regalo,e cerchi di entrare nelle loro teste per immaginarti in quale dannatissimo negozio dovrai fare una dannatissima fila per comprare un dannatissimo regalo.
ero impegnata a pensare se Thomas preferisse un disco dei 'you me at six' o di Matt Kearkey quando sentii due familiari colpetti alla porta.
mi alzai con la velocità di reazione di un cerbiatto morto e abbassai la maniglia per controllare chi si era avventurato nell'ala destra del dormitorio alle otto di sera,nel bel mezzo di una bufera di neve.
non vidi nessuno.
spostai la testa a destra.
nessuno.
sinistra.
nessuno.
abbassai lo sguardo e vidi davanti a me un dono divino.
un sacchetto marrone con una familiare 'm' gialla stampata campeggiava davanti alla mia porta.
lo presi,convinta dell'esistenza dei miracoli di natale,e tirai fuori la confezione bianca tempestata di scritte.
la aprii e mi ritrovai davanti un panino a tre strati,di quelli che non sai se devi essere tu a mangiare loro o il contrario.
ma la cosa strana al punto che se fosse spuntato un sole cocente non mi sarei meravigliata era la scritta di ketchup che ornava lo strato superiore di pane.
'esci con me? -L.'
scoppiai a ridere.
era molto meglio di un invito galante a un ristorante di classe.
così,dopo aver mangiato l'hamburger-che era davvero buono-seppellii la parte inferiore della mia faccia sotto una sciarpa lanosa e quella superiore sotto un cappello a forma di renna.
mi incamminai verso il piccolo bar della scuola,con la fretta di una che cammina sotto una bufera di neve.
la scuola era strutturata a ottagono,sui quattro lati di destra si trovavano i dormitori e in quelli di sinistra le aule.
il bar era al centro del giardino interno.
entrai e subito una campanella annunció il mio arrivo.
il ragazzo che gestiva mi guardó meravigliato e posó di controvoglia il 'TEX' che stava leggendo.
"è così la campionessa di dibattito vuole capire quanto freddi siano i suoi argomenti sfidando un'intemperie invernale?"
"mi serve un maffin senza glassa e una sac au poches,non fare domande" proferii,guardandolo male dalla sola fessura che mi permetteva la mia tuta-di-protezione.
ridacchió scomparendo dietro la grane porta di legno con su scritto 'privato'.
il ragazzo in questione era Gus Arington,un americano purosangue a cui avevo tolto il posto di campione in dibattito.
sostenevo con orgoglio che l'America è un paese libero e ognuno deve avere il diritto di compiere le sue scelte liberamente.
lui il contrario.
poi si venne a scoprire che si frequentava con il quarterback della squadra di football della scuola.
la coerenza è una delle regole d'oro dalle parti del nostro club dalle nostre parti e si è ritrovato con un titolo in meno e una nemica in più.
tornó con un muffin al cioccolato rivestito da un'allegra carta a cuoricini.
"assolutamente no."
"è l'unica che abbiamo e non ho intenzione di andare a comprartene altra"
"ma.."
se gli sguardi potessero incenerire io lo avrei appena fatto.
presi la sac au poches e,come meglio potevo,scrissi 'Sì' sulla patina di zucchero a velo.
sospirai.
meglio di così non potevo.
lasciai a Gus i soldi e mi preparai per affrontare il diluvio universale versione natalizia fuori dalla porta.
"pensi davvero di poter uscire con quella roba fuori?"
"uhm..già"
"sei matta? poi Girard mi ammazza" si rimise a ridere.
"vivo in uno stato democratico,posso decidere da sola" lo fulminai.
e a quel punto tacque.
in effetti la neve che cadeva era davvero tanta.
così mi sedetti su un tavolo mentre Gus Arrington cercava di intrattenermi con i suoi 'particolari aneddoti sui samurai del passato'.
e mentre mi raccontava di un certo tizio che faceva propaganda sui samurai durante la seconda guerra mondiale un ragazzo dai capelli neri si faceva strada tra la neve.
cercai di osservarlo,assomigliava molto a Levi.
teneva l'avambraccio sulla fronte quindi non ne potevo essere sicura.
fatto sta che il ragazzo era molto accaldato e si tolse la giacca,che per quei -3 gradi  presenti era una sfida alla resistenza umana.
poi vidi una figura femminile avanzare,gli porse la cintura.
in quel momento vidi chiaro.
levi e carolina.
le lacrime cominciarono a rigarmi il viso.
lacrime.
e in quel mento capii cos'era veramente il dolore.

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