Capitolo 6

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Stranamente non erano approdati in nessun luogo deserto e oltre i confini dello Iowa.
Si trovavano in una comune e banale palestra, popolata da altri esseri umani come lei. Da una parte si sentiva protetta, almeno Deimos non avrebbe potuto lanciarla in qualche dirupo o incendiarle una gamba.
Si guardò attorno. Uomini già muscolosi sollevavano pesi di piombo, ragazze della sua età o più grandi si sforzavano di compiere vari esercizi di tonificazione, altri correvano sui tanti tapis roulant e la maggior parte si asciugava il sudore sul viso con un asciugamano.
La sala era enorme, divisa in varie parti da basse pareti colorate. Odore di sudore e deodorante restavano sospesi nell'aria, pesando sui corpi affaticati delle persone.
La ragazza abbassò lo sguardo sui suoi vestiti. Aveva indossato dei pantaloncini neri elasticizzati, una larga maglietta bianca ed una felpa rossa. Se c'era qualcosa, in quella situazione, che la rendeva felice era che, per una volta, la sua felpa non sarebbe stata ridotta in brandelli come era successo alle precedenti.
<< Sali su un tapis roulant >> le ordinò Deimos, dietro di lei e con le braccia incrociate sul petto.
Gea si volse a guardarlo accigliata. << Ti devo ricordare le condizioni della mia gamba sinistra? >>
Deimos le rivolse uno sguardo di sufficienza. << Fa' quello che ho detto. Subito. >>
<< Faccio fatica ad appoggiare il piede a terra, non posso... >>
<< Oppure non vuoi? >> le chiese con un sorriso di scherno. << Non sei capace nemmeno di correre per qualche minuto? >>
Gea lo guardò con odio e, senza dire un'altra parola, si diresse all'attrezzo. Salì sul rullo nero ed appoggiò il piede. Le faceva male, molto male. Delle fitte di dolore le risalirono per tutta la gamba fino alla testa, provocandole dei brividi. Istintivamente portò una mano sul polpaccio e chiuse gli occhi per contenere la sofferenza, si morse un labbro ed inspirò profondamente.
Sfregò le dita sulla fasciatura e riaprì gli occhi. La mano le era diventata improvvisamente calda, e ciò contribuiva a darle un po' di sollievo. Un sollievo che... sembrava aumentare sempre di più. Abbassò lo sguardo sulla sua gamba e poi lo rialzò alla ricerca di Deimos.
Dov'era il maledetto quando serviva? Pareva sparito nel nulla, come ogni volta.
Allontanò la mano e si avvicinò al quadro di controllo del tapis roulant. Lo attivò ed inserì i pochi dati che le chiedeva.
<< Impostalo per quindici minuti >> disse il ragazzo, comparendo alla sua sinistra. Si appoggiò con un gomito all'attrezzo, in una posa disinvolta, e puntò gli occhi su di lei.
<< Dov'eri finito? >> gli chiese Gea, con un misto di rabbia e sollievo.
<< Sentivi la mia mancanza? >> la canzonò divertito.
La ragazza avviò il tapis roulant e il rullo prese a scorrere lentamente. Incatenò gli occhi a quelli di lui e s'inumidì le labbra. << È successa una cosa >> disse soltanto.
<< Aumenta la pendenza e porta la velocità a quattro >> le comandò spostando lo sguardo sul quadro elettronico dell'attrezzo. << So cos'è successo. >>
Gea sgranò gli occhi e fece come le aveva detto. << In che senso sai cos'é successo? Tu non eri qui mentre... >>
<< Ho sentito la tua energia che fluiva in un altro punto del tuo corpo >> tagliò corto Deimos, riportando gli occhi in quelli di lei. << Ne riparleremo dopo, adesso pensa a fare quello che ti ho detto. >>
La ragazza rimase a fissarlo ancora per qualche istante, dopodiché sospirò pesantemente e si concentrò sull'esercizio.
Non ci stava capendo più nulla, era totalmente confusa. Un minuto prima faticava ad appoggiare il piede per terra, adesso era in grado di camminare senza problemi. Sentiva ancora delle piccole fitte di dolore, certo, ma nulla di preoccupante.
Perciò, oltre ad avere poteri come quelli di tempo ed elettricità possedeva anche... un potere curativo. Questo significava la svolta. Avrebbe potuto curarsi ogni qual volta si fosse fatta male, senza dover soffrire per giorni e giorni.
Ma... Gea corrugò la fronte e spostò lo sguardo su un ragazzo poco distante da lei, senza realmente vederlo. Se non poteva usare gli altri suoi poteri per vari giorni... perché quello era riuscita a farlo funzionare? E quali altri poteri possedeva? Erano finiti oppure se ne celavano ancora?
Mille domande le affollavano la mente. Domande a cui avrebbe dovuto trovare una risposta al più presto, altrimenti avrebbe rischiato d'impazzire.
La sua vita era diventata un grande punto interrogativo, e lei si era trasformata in un'incognita persino per se stessa. Pensava di conoscersi... eppure ogni giorno scopriva qualcosa di nuovo.
<< Porta la velocità a sei >> le ordinò Deimos, risvegliando Gea dai suoi pensieri.
La ragazza allontanò gli occhi dal tizio su cui li aveva inconsciamente posati, che adesso la stava pure guardando, ed ubbidì alle parole di Deimos.
Adesso continuare a camminare le tornava quasi impossibile, perciò diede il via ad una piccola corsa. Si sentiva già spossata, nonostante fossero passati solo pochi minuti dall'inizio dell'allenamento.
Era davvero una frana in ginnastica, si sentiva una vecchietta a tutti gli effetti.
Volse lo sguardo alla sua destra, verso le altre persone che correvano sui tapis roulant. Perché sembravano non fare punta fatica mentre lei era già con la lingua di fuori?
Un briciolo d'invidia misto ad ammirazione si radicò nella ragazza. Doveva darsi da fare, altrimenti quel pazzo accanto a lei l'avrebbe torturata e presa in giro fino a farle esalare l'ultimo respiro.
Con non poca fatica si sganciò la felpa e se la tolse. Allungò una mano per appoggiare la felpa sul corrimano dell'attrezzo, cercando di rimanere in equilibrio durante la corsa e non rotolare via in modo poco dignitoso. Lasciò la presa, sicura di aver centrato il corrimano, e la felpa cadde a terra, ai piedi di Deimos.
Gea fulminò il suo indumento e poi alzò lo sguardo sul ragazzo.
<< Me la raccatteresti? >> gli chiese, col tono più gentile che avesse a disposizione.
Deimos abbassò la testa ed osservò la felpa con indifferenza. << Ovvio che no >> rispose secco.
La vena sulla fronte della ragazza cominciò a pulsare convulsamente. << Ti ho chiesto un favore, potresti anche farmelo. >>
Deimos le rivolse un sorriso divertito. << Non faccio favori. E porta la velocità a sette. >>
<< Ovvio che no >> lo canzonò Gea, lanciandogli uno sguardo di sfida.
Deimos le restituì l'occhiataccia, smettendo di sorridere. Tra i due calò il gelo, sopra le loro teste sembrava andare a formarsi una nuvola di elettricità.
<< Scusa... >> La voce di un ragazzo sopraggiunse alle orecchie dei due, che si voltarono entrambi di scatto. Un giovane piuttosto muscoloso dagli occhi del colore degli aghi di pino ed i capelli castani rigorosamente ingellati, si presentò davanti ai loro occhi.
Gea si ricordò di sorridere gentilmente ed il ragazzo riprese a parlare.
<< Questa felpa è tua? >> le chiese porgendogliela.
<< Sì, è mia. Mi era caduta. Grazie mille per avermela raccattata >> rispose cordialmente.
Lui le sorrise e gliel'appoggiò sul corrimano. << Allora, ci si vede in giro. >>
Gea annuì ed il ragazzo la salutò con un gesto della mano. Dopodiché la giovane tornò ad osservare il centro di comando del tapis roulant e portò la velocità al livello successivo.
Un urlo la costrinse a voltarsi di colpo. Posò lo sguardo su una figura inginocchiata a terra e che, con disperazione, si teneva le mani fra i capelli... ingellati.
Sgranò gli occhi e li portò su Deimos, che per l'appunto stava guardando il ragazzo che poco prima le aveva raccolto la felpa.
<< Fermati >> gli sibilò sconcertata. Deimos volse la testa verso di lei, gli occhi per niente amichevoli che lanciavano lampi di rabbia, la mascella contratta e le braccia conserte sul petto.
Un fiotto di gente si radunò attorno al ragazzo, steso sul pavimento. Due uomini lo aiutarono ad alzarsi e lo trasportarono fuori dalla sala, mentre il giovane faceva vagare lo sguardo, totalmente perso in chissà quale mondo.
<< Perché l'hai fatto?! >> gli sbraitò Gea contro, cercando di mantenere un tono basso per non farsi sentire dagli altri. Arrestò l'esercizio e scese dall'attrezzo. << Non ti aveva fatto nulla, e tu l'hai attaccato senza dargli modo di difendersi. Sei sleale >> gli vomitò addosso con rabbia.
Deimos la fissò immobile, poi si aprì in un sorriso di scherno. << Non ho mai detto che avrei giocato pulito. >>
Per poco non le cadde il mento a terra. Come poteva essere così cattivo? Non provava pietà per nessuno, nemmeno per se stesso, ne era sicura.
<< Che cosa ti aveva fatto?! >> gli chiese nuovamente, indicando con un braccio la porta da cui la sua vittima era appena uscita.
<< Quello che non doveva fare. >>
<< Ovvero? >>
Deimos mosse un passo in avanti, con una calma letale ed uno sguardo felino. Gea rabbrividì per un attimo, ma non si spostò quando lui le si parò davanti e le prese rudemente il mento con una mano. << Intromettersi >> le fiatò gelidamente sul viso. << Chi lo fa, ne paga le conseguenze. Quarta regola >> disse divertito.
Gea sollevò un sopracciglio e prese il polso del ragazzo per cercare di allontanarlo. << Che fai? Ogni volta che qualcosa non ti va giù aggiungi una nuova regola? Vuoi arrivare a dettare i nuovi dieci comandamenti? >> lo canzonò, irritata di non riuscire a spostare la sua mano.
Deimos si aprì in un sorriso sghembo e la lasciò andare. Si guardò attorno ed adocchiò un altro attrezzo, specifico per i muscoli d'interno coscia. Ce n'era solo uno libero, gli altri tre erano occupati da alcune ragazze.
<< Fai quello >> le ordinò, indicandoglielo con un cenno del capo. Gea si sporse per vedere di cosa si trattasse; rimase sorpresa quando si rese conto che non l'avrebbe costretta a sollevare cinquecento chili sulle spalle.
<< Ok >> asserì tranquillamente. Raccolse la sua felpa dal corrimano, se l'appoggiò su una spalla e si avviò verso l'attrezzo. Deimos la seguì a ruota, piazzandosi accanto a lei non appena si sedette sulla poltroncina imbottita.
La ragazza osservò le varie lastre di piombo collegate all'attrezzo, tutte marchiate con un numero a seconda di quanto fossero pesanti.
Afferrò una stanghetta ed impostò dieci chili.
<< No, di più >> la riprese lui. << Almeno venti. >>
Gea sollevò gli occhi al cielo ed inserì venti chili. Sentì un braccio di Deimos appoggiarsi sulla testata della sua poltroncina, ma evitò di farci caso ed avviò l'esercizio.
Chiuse le gambe con molta fatica, considerato il peso che doveva sollevare. Già dopo il primo sforzo l'interno coscia le bruciava intensamente.
Continuò a ripetere lo stesso movimento ed alzò la testa per guardare le ragazze vicine a lei.
La mora davanti teneva lo sguardo fisso su Deimos. Sembrava avesse visto chissà quale angelo sceso dal cielo, e a Gea venne quasi da ridere. Le sarebbe piaciuto raccontarle tutto ciò che quel maledetto le aveva fatto patire fino a quel momento.
Accanto alla mora si trovava una ragazza con un caschetto ribelle e disordinato. Lanciava sguardi sia a Deimos che a lei stessa, come se fosse ammaliata da... un qualcosa che Gea non riusciva a comprendere.
Un pensiero le attraversò la mente come un lampo. Le gambe le cedettero per un momento ed i pesi sbatterono violentemente. Si riprese all'istante, abbassò la testa e continuò a compiere un'altra serie di esercizi.
Non aveva proprio pensato che agli occhi degli altri loro potessero sembrare una coppietta. Per Gea era già impossibile immaginarlo.
Giustamente chi li vedeva non sapeva nulla del perché loro fossero lì insieme e del perché lui le stesse così col fiato sul collo mentre lei faceva gli esercizi. Se solo avessero saputo...
<< Basta così >> asserì Deimos, staccandosi dalla poltrona. Gea alzò la testa e lasciò andare i pesi lentamente, per evitare un altro schianto come quello di poco prima.
Si liberò dall'attrezzo con cautela e seguì il ragazzo, che nel frattempo si stava dirigendo in un'altra area dell'enorme sala, precisamente verso un sacco da boxe piantato a terra.
La giovane deglutì pesantemente e lanciò un'occhiata ai ragazzi che svolgevano esercizi lì vicino. Alcuni la squadravano da capo a piedi e poi ruotavano il corpo per continuare ad osservarla, altri non la consideravano minimamente. E Gea preferiva di gran lunga questi ultimi.
Odiava essere fissata, e in quella situazione, in cui era l'unica ragazza in detta zona della palestra, il suo odio schizzava alle stelle.
Fece finta di non avvertire varie paia di occhi maschili su di lei e si concentrò su Deimos.
<< Devi prenderlo a calci >> le spiegò molto sbrigativamente. << Ricorda solo che quando lo colpisci, il colpo ritorna indietro >> concluse incrociando le braccia sul petto, stranamente divertito.
Gea lo guardò con sospetto, dopodiché si aprì in un sorriso di scherno. << Immaginerò che questo sacco sia tu, così verrà tutto più naturale. >>
Un sopracciglio del ragazzo saettò verso l'alto e la sua bocca s'incurvò in un mezzo sorriso. Appoggiò sia la schiena che la testa ad un colonna bianca alla destra della giovane e le piantò gli occhi addosso. Si sarebbe goduto lo spettacolo.
Gea si legò la felpa attorno alla vita ed osservò il sacco nero. Si sentiva sotto esame, non solo perché Deimos la fissava, ma anche perché c'erano un sacco di altri occhi che la seguivano. E poi quel sorriso... Che cosa stava a significare?
Gea toccò il sacco per assicurarsi che non ci fosse nulla di strano. Tastò la superficie e si rese conto che non solo era dura, ma che l'intero sacco pesava svariati chili. Le sarebbe stato difficile spostarlo di molto.
La ragazza si allontanò di poco dall'oggetto e cercò di focalizzarsi su come colpirlo. Un attacco laterale sarebbe stato più d'effetto, forse, rispetto ad uno frontale.
Aveva visto fare quel genere di cose solo nei film, e lì le era sembrato così facile...
Piegò le braccia e le avvicinò al petto, dopodiché compì una rapida rotazione del busto e colpì con violenza il sacco. Si spostò di una ventina di centimetri circa, con grande stupore di Gea.
La ragazza abbassò la gamba e portò gli occhi su Deimos, apparentemente immobile nella posizione in cui lo aveva lasciato. Eppure qualcosa era cambiato nella sua espressione. Un velo di sorpresa velava le sue iridi profonde.
<< Continua, non mi pare di averti detto di fermarti >> le disse lapidario, mostrandosi indifferente.
Gea sorrise tra sé e sé, orgogliosa di aver fatto incrinare la maschera di pietra di Deimos.
Tornò a concentrarsi sul sacco da boxe e caricò un nuovo calcio con la gamba destra. Un'altra rapida rotazione del busto per darsi lo slancio e percosse l'oggetto con una forza divampante. Il sacco stavolta si inclinò molto più di prima, ad occhio e croce di circa quaranta centimetri.
Ci stava prendendo gusto a colpire quell'attrezzo, sentiva di poter scaricare tutta la frustrazione, lo stress, l'ansia, la paura, e tutto ciò che aveva provato in quei giorni. Traeva forza da tutte quelle emozioni.
Dal primo giorno in cui aveva conosciuto Deimos si era sentita minacciata. Un cerbiatto nel mirino di uno spietato cacciatore.
Sferrò un altro colpo violento e i suoi occhi si ridussero a due fessure.
Le aveva fatto rivivere le esperienze passate con una brutalità degna di uno psicopatico assassino. Proprio quando aveva deciso di buttarsi il passato alle spalle e cominciare una nuova vita, lui l'aveva fatta ripiombare in quell'oscurità pregna di spiacevoli sensazioni.
Incapace.
Strinse i denti e scagliò un pugno contro il sacco, carica di una rabbia devastante.
Inutile.
Subito dopo lo percosse con un calcio e lo fece oscillare di circa cinquanta centimetri per parte.
Inferiore.
Non tornò ad appoggiare il piede per terra e caricò un nuovo colpo.
Stupida umana.
Liberò un ringhio iroso e concluse con un pugno frontale, tanto potente quanto doloroso per le sue nocche.
Aveva la fronte madida di sudore, il respiro accelerato e i muscoli doloranti. Ma, nonostante ciò, sentiva di stare molto meglio.
<< Non male >> commentò un ragazzo poco distante da lei. Gea portò lo sguardo sul tipo che evidentemente l'aveva osservata per tutta la durata dell'esercizio, ed abbozzò un sorriso. Infine spostò gli occhi su Deimos. Lui la stava fissando con un misto di curiosità e superbia. Sembrava non capacitarsi di come lei fosse riuscita a muovere quel sacco di chissà quanti chili.
Gea gli rivolse un sorriso beffardo e Deimos le lanciò un'occhiata raggelante, di cui la ragazza non si curò minimamente. Gli si avvicinò e lui l'afferrò per un braccio, la strattonò a sé ed abbassò la testa. << L'allenamento non è ancora finito, ti farò sparire quel sorrisino prima che cali il sole. Puoi giurarci >> le sussurrò nell'orecchio.
Gea voltò il viso e puntò gli occhi in quelli minacciosi del ragazzo, sorridendo a mo' di sfida. << Provaci, se ti riesce. >>
<< Vedrai >> tagliò corto lui, lasciandola andare.
I due rimasero incatenati l'uno nello sguardo dell'altra per svariati secondi. La ragazza provava un misto di piacere mischiato ad un senso di vittoria nel vedere come la maschera impassibile di Deimos s'incrinasse ogni volta che riusciva a compiere qualcosa di cui lui non la riteneva capace.
Da lì in poi si sarebbe sicuramente messa d'impegno per far perdere il controllo a quel pallone gonfiato. Avrebbe dato del suo meglio in qualsiasi esercizio l'avesse sottoposta a svolgere. Tanto per godersi, ancora una volta, un abbozzo di stupore sul suo volto duro e spietato.
<< Allora, qual è il prossimo? >> gli chiese con un sorriso strafottente.
Deimos incrociò le braccia al petto e la scrutò intensamente. Voleva fare la presuntuosa? Ne avrebbe pagato le conseguenze, come chiunque altro.
<< Sollevamento pesi >> asserì incolore. Le fece strada sino all'attrezzo e si voltò a rivolgerle un cenno del capo. << Venti chili per parte e venti sollevamenti. >>
Gea osservò l'attrezzo. Era costruito similmente ad una ghigliottina, o almeno a lei ricordava quella. In sospensione si trovava un bilanciere d'acciaio ai cui estremi erano posizionati dei dischi di piombo, tutti etichettati con un numero. Lanciò una rapida occhiata alle istruzioni affisse sulla parete laterale dell'attrezzo. Le pareva di capire che avrebbe dovuto caricarsi sulle spalle quell'asta pesantissima e farle fare movimenti verticali.
<< Venti chili sono troppi >> ribatté, riportando gli occhi sul ragazzo. << Potrei rischiare di farmi seriamente male alla schiena. >>
Deimos sollevò il mento e le sue labbra s'incresparono in un sorriso divertito. << Ti tiri indietro quindi? >>
Gea contrasse la mascella e chiuse la mani a pugno. Non voleva tirarsi indietro, non difronte a lui. Da una parte il suo orgoglio la spingeva ad accettare quella velata sfida, dall'altra parte la ragione si faceva prepotentemente largo nella sua mente. Voleva bene a se stessa... e non avrebbe voluto spingere il suo corpo oltre quei limiti che pensava di possedere, ma... il sorriso di Deimos le faceva salire una rabbia tale che...
<< D'accordo >> mormorò prendendo i dischi di piombo da venti chili e posizionandoli nel bilanciere. Solo per sollevare quei pesi aveva compiuto uno sforzo immane e le sue braccia doloranti la supplicavano di fermarsi.
Andò a collocarsi sotto l'asta e, non appena le sue spalle entrarono in contatto con l'acciaio freddo, l'afferrò con le mani sudate.
Rimase un attimo immobile, consapevole che non appena avesse staccato il bilanciere dal supporto tutto il peso dei dischi le si sarebbe riversato addosso come uno tsunami, travolgendola, schiacciandola.
Strinse i denti ed inspirò avidamente. Piegò di poco le ginocchia e, lentamente, staccò l'asta. Il peso di quaranta chili le piombò sulle spalle, sulla schiena, sul collo e sulle gambe con una velocità quasi nauseante.
Riusciva a malapena a reggersi in piedi, non osava nemmeno immaginare come avrebbe potuto sollevarlo.
Le braccia le lanciavano grida di dolore; Gea abbassò la testa ed una goccia di sudore le scivolò sulla fronte.
<< N... non ce la... >>
<< Ti arrendi? >> La voce profonda e divertita di Deimos le inondò le orecchie come acido. Odiava sentirlo prendersi gioco di lei, specialmente nei momenti in cui avrebbe fatto volentieri a meno di averlo attorno.
Per il suo bene avrebbe dovuto ammettere la resa, ma... sempre quel suo maledetto orgoglio le impediva di abbassare la testa difronte ad una sfida.
Le gambe tremolanti della ragazza si stesero con lentezza. Non gliel'avrebbe data vinta, per nulla al mondo. Strinse più forte il bilanciere e sentì i suoi muscoli tendersi e gonfiarsi per lo sforzo.
Inspirò profondamente, cosa di cui si era dimenticata dal momento che aveva smesso di respirare non appena quel peso le era calato addosso.
Riusciva a sentire perfettamente il rimbombo dei battiti del suo cuore nelle orecchie. Quel suono la confortava, ricordandole che era viva. Forse ancora per poco.
Con enorme fatica assunse una postura eretta e puntò i suoi ardenti occhi in quelli inespressivi di Deimos. << Uno >> contò, ricalandosi giù.
Ripiegò le gambe e fece attenzione a non perdere l'equilibrio e cadere rovinosamente a terra. Se pensava che avrebbe dovuto ripetere quel movimento per altre diciannove volte le veniva da vomitare.
Da quando aveva conosciuto Deimos aveva sempre avuto l'impressione di essersi caricata sulle spalle un macigno. Adesso le sembrava che quel peso si fosse materializzato per schiacciarla definitivamente, ricordandole che lei era troppo piccola, esile e debole per poterlo sorreggere.
Gli occhi di Gea si accesero di una nuova determinazione. Quella non era più una sfida tra lei e Deimos, ma tra se stessa e quel maledetto fardello che si era sempre sentita sulle spalle.
Lo avrebbe eliminato una volta per tutte. Stese di nuovo le gambe e compì il secondo sollevamento.
Era stufa di sentirsi oppressa da quella situazione inverosimile, dai ricordi del passato, dalla sua costante paura di non essere all'altezza. Si morse il labbro inferiore ed issò il bilanciere per la terza volta.
Lei era quello che era e nessuno avrebbe potuto dirle quanto valesse, di cosa fosse capace e cosa potesse capire. Dannazione, nemmeno lei stessa si conosceva così a fondo. Da qualche giorno non comprendeva più quali fossero i suoi limiti, sicuramente li già aveva superati più di una volta. E allora chi avrebbe potuto osare dirle di cosa fosse o non fosse capace? Nessuno, a volte nemmeno lei stessa.
Delle gocce di sudore ricaddero sul bianco e lucido pavimento. Anche il quarto sollevamento era andato a segno, nonostante ogni millimetro conquistato le fosse costato fatica.
Attraverso ogni perla di sudore sentiva che il fardello, che per tanto aveva abitato sulle sue spalle, scivolava via, abbandonandola per sempre.
Ancora sedici immani sforzi e si sarebbe liberata definitivamente di quella nuvola oscura e pesante che aleggiava su di lei ormai da troppo tempo. Doveva vincere lei, era diventata una questione di principio. Una questione di libertà o di prigionia.
Durante gli allenamenti dei giorni precedenti aveva costantemente creduto di non uscirne viva. Deimos la sottoponeva a delle sessioni strazianti, ma... perché quando lui le diceva che era debole, incapace, un fallimento, lei si faceva schiacciare da quelle parole affilate? Se non avesse mai sentito su di sé il peso di ogni singola parola che i suoi genitori le avevano rivolto contro, forse quel fardello non si sarebbe mai posato su di lei, opprimendola ed annebbiandole la vista. Perché sì, aveva perso di vista chi fosse realmente, troppo concentrata su quello che non era: debole, incapace, una fallita.
Si era convinta di falsità, aveva costruito l'immagine che aveva di se stessa su delle bugie. Per questo motivo viveva ogni giorno in equilibrio precario, pronta a cadere ed essere schiacciata.
Ma adesso era giunto il momento di fare i conti con se stessa. Non era debole, altrimenti avrebbe gettato la spugna fin dal primo momento in cui Deimos le era apparso davanti. Non era un fallimento, almeno non per se stessa, e questo era ciò che più le interessava. Ma soprattutto, non era quella parola che da anni la bloccava e la faceva soffrire. I suoi genitori non avevano mai creduto in lei, ma questo non premetteva che nemmeno lei avrebbe dovuto credere in se stessa. Per la prima volta nella sua vita voleva provare quella cosa chiamata fiducia nelle proprie capacità.
Compì il decimo sollevamento ed altre gocce di sudore si mischiarono a quelle già presenti sul pavimento. Gea le osservava soddisfatta. In ogni goccia erano racchiusi il dolore di quando sua madre l'aveva appellata con quella parola tagliente, la fatica di quando aveva cercato di evadere dalla gabbia che si era costruita attorno e le lacrime di quando si era resa conto di non riuscirci.
Deimos la scrutava impassibile. Era sicuro che non avrebbe resistito a lungo, e se doveva proprio essere sincero l'aveva data per spacciata al primo sollevamento.
Sapeva che lei avrebbe accettato la sfida, ormai cominciava a conoscerla. Aveva imparato a comprendere come il suo orgoglio la spingesse a non arrendersi, ma c'era anche qualcos'altro che non le permetteva di mollare. Un qualcosa che aveva a che fare con quella parola che lei tanto odiava: incapace.
La osservò mentre respirava affannosamente, con le gambe tremolanti, e riusciva a sollevare il bilanciere per l'undicesima volta.
Se avesse perso la concentrazione anche per un solo secondo, molto probabilmente si sarebbe fatta gravemente male alla schiena. Ma più la guardava e più si rendeva conto che la mente di lei era avvolta da uno schermo di piombo, incapace di fargli capire a cosa stesse pensando. Sembrava in lotta con se stessa, da una parte il suo corpo la pregava di smettere, pur continuando ad assisterla, dall'altra la sua determinazione ad andare avanti era irremovibile.
Deimos, per la prima volta in vita sua, si ritrovò ad essere curioso. Voleva conoscere il motivo per il quale lei non si lamentava o lo pregasse di far terminare l'esercizio. Era sicuro che non si trattasse solo di orgoglio, lo leggeva negli occhi della ragazza, ardenti di un fuoco vivo.
Ogni volta che l'appellava come incapace o debole, la sua espressione cambiava. Si riempiva di rabbia e risoluzione e riusciva a compiere cose di cui pure lei stessa si sorprendeva. A quel punto non si trattava solo di orgoglio, ma dietro quelle parole c'era sicuramente un significato che la spingeva a sorpassare i suoi limiti.
Nella mente di Deimos si affollarono le immagini del giorno precedente, di quando la ragazza era stata in grado di liberare una quantità spropositata di energia. Non aveva mai visto niente di simile, per quanto conoscesse a fondo il potere distruttivo di ogni elemento.
Al quattordicesimo sollevamento Gea si fermò per riprendere fiato. Chiuse gli occhi e strinse i denti. Ancora sei ultimi sforzi e le sue braccia avrebbero smesso di lanciare fitte di dolore. Aveva le spalle a pezzi, sentiva distintamente le sue ossa sfrigolare sotto il peso del bilanciere. Ma non poteva arrendersi proprio in quel momento, non al punto in cui era arrivata, conquistandosi centimetro dopo centimetro.
Stese ancora le gambe e si ricordò di respirare, nonostante il dolore ormai la deconcentrasse. Avrebbe tanto voluto gettare quell'asta per terra e liberarsene, ma sarebbe stata veramente libera? Di sicuro no. Per essere libera doveva continuare a tenersela sulle spalle e sopportarla fino alla fine.
La sollevò per la quindicesima volta e si ricalò giù espirando. Ancora cinque.
Persino le braccia e le mani avevano cominciato a tremarle. Le dita le scivolavano sull'acciaio bagnato dal sudore, rendendole più difficile mantenere salda la presa. Avrebbe voluto piangere da quanto male le facevano i muscoli. Sollevarsi di un centimetro le sembrava un'impresa impossibile, un dolore insopportabile. Non riusciva neanche più a reggersi sulle gambe.
Strinse gli occhi e liberò un silenzioso verso di frustrazione. Non voleva mollare proprio adesso che era arrivata così vicina a raggiungere la chiave di quella maledetta gabbia che si era costruita attorno. Aveva la sua occasione di afferrarla e liberasi dalle mura costruite su bugie e falsità, ma... era così difficile. Voleva quella chiave più di ogni altra cosa, ma il suo corpo la stava abbandonando.
Scosse la testa di poco per cercare di dimenticarsi del dolore e stese piano le ginocchia.
Deimos non le staccava gli occhi di dosso. Era consapevole che la ragazza non riuscisse più a sopportare quel peso sulle spalle, pian piano stava cedendo. Il corpo e le forze la stavano decisamente abbandonando, ma sembrava che lei non se ne volesse fare una ragione. Nonostante tutto, continuava a combattere per arrivare alla meta.
Il sedicesimo sollevamento fu un'impresa più ardua di quanto Gea si sarebbe mai aspettata. Le braccia per poco non le avevano ceduto, rendendo vani tutti i suoi sforzi.
Doveva sbrigarsi a compiere gli ultimi quattro o il suo corpo sarebbe andato in corto circuito prima che lei avesse potuto avere l'occasione di stringere una mano attorno alla sua chiave.
Gea dammi il tuo meglio, si gridava nella mente. Doveva farcela, non aveva altra scelta.
Lo doveva a se stessa, come ricompensa di tutti quegli anni di sofferenza.
Si sollevò per la diciassettesima volta, col cuore che le batteva furiosamente e la mente quasi totalmente invasa dal dolore.
Lo doveva a se stessa, per tutte le volte che aveva gettato la spugna ancor prima di provarci.
Con un immane sforzo di forza e concentrazione eseguì anche il diciottesimo sollevamento.
Lo doveva a se stessa, per tutto l'odio e la rabbia che aveva nutriti nei suoi stessi confronti ogni volta che pensava di non essere in grado di fare ciò che amava.
Una lacrima le accarezzò la guancia, come se avesse voluto confortarla. Si era odiata così tanto negli anni precedenti... aveva detestato i suoi limiti, quegli stessi limiti che chiunque avrebbe potuto tranquillamente superare, il suo essere inferiore, la sua insicurezza, la sua incapacità che spiccava prepotentemente in ogni situazione.
La lacrima scese con lentezza sul suo mento e le labbra le tremarono per lo sforzo di trattenersi dal piangere.
A testa bassa sollevò il bilanciere. Ancora uno. Solo uno e sarebbe stata libera.
Aveva perso se stessa dentro un mare di bugie, ma adesso la vera Gea stava ritornando a galla, imprigionata da fin troppo tempo dentro i limiti di quattro mura.
Ad ogni insuccesso aveva sentito il suo cuore spezzarsi e sbriciolarsi. Ma ora... la lacrima cadde al suolo mischiandosi alle gocce di sudore... Ora quelle briciole di cuore le sentiva risalire dal baratro nero in cui erano cadute e rimescolarsi tra di loro, saldate da quella cosa chiamata fiducia. Come quelle briciole salivano, le gocce di fardello cadevano a terra, disperdendosi fuori da lei ed abbandonandola.
Strinse i denti e con uno slancio issò l'asta d'acciaio.
Bloccò il bilanciere nel supporto e si piegò sulle ginocchia per riprendere fiato. Venti. La fine. Era libera.
Nonostante il dolore diffuso, un sorriso vero si pennellò sulle sue labbra. Ce l'aveva fatta, e quella poteva benissimo definirsi la prima grande vittoria della sua vita.
Deimos la guardava dall'alto, ancora una volta sorpreso. Non si sarebbe immaginato di vederla terminare quell'esercizio fuori dalla sua portata. Aveva scelto di farle fare proprio quell'attrezzo, ma soprattutto con quei pesi, per provocarla e vedere scomparire quel suo sorrisetto strafottente una volta che l'avesse supplicato di farla smettere.
Voleva godersi il momento in cui lei avrebbe mollato, per poi farglielo pesare come solo lui sarebbe stato capace di fare, magari conducendola alla pazzia. Invece... quella stupida umana aveva mandato in fumo tutti i suoi piani... ma da una parte si era anche guadagnata un minimo di rispetto e considerazione da parte del ragazzo. Evidentemente non era così incapace e debole come si era ritrovato a credere più volte.
<< Per oggi può bastare >> asserì lapidario e freddo come una lastra di ghiaccio.
Gea annuì ed alzò la testa per incontrare i suoi occhi. Sorrise e fece una smorfia con la bocca. << E figurati che stavo per chiederti quale fosse il prossimo esercizio >> disse ironicamente.
Un sorriso sghembo si affacciò sulle labbra di Deimos. << La prossima volta sarà l'ultima cosa che ti verrà in mente di chiedermi. Puoi starne certa. >>
La ragazza assunse una postura eretta, incrociò le doloranti braccia al petto e sollevò un sopracciglio. << Suona tanto come una minaccia >> notò.
<< Potrebbe esserlo >> restò sul vago Deimos, senza far sparire il sorrisetto beffardo.
<< Chissà perché, ma me lo immaginavo >> concluse Gea, arricciando il naso infastidita. << Che ore sono? >> chiese puntando gli occhi su di una grande vetrata.
Il sole era ancora alto nel cielo, non come a mezzogiorno, ma di sicuro non doveva essere troppo tardi.
<< Le cinque, e per stavolta il tuo allenamento finisce qui >> rispose il ragazzo, avvicinandosi con passi cadenzati. Gea riportò velocemente lo sguardo su di lui e scrutò i suoi movimenti. Il giovane si fermò a pochi centimetri dal suo corpo provato dalle fatiche del pomeriggio. << Dobbiamo fare il punto della situazione >> le disse con un tono di voce irremovibile.
La ragazza annuì ed abbassò la testa. Sapeva già di cos'avrebbero parlato: del suo quarto potere, se così si poteva chiamare. Ne voleva sapere di più, e se ci fosse stato qualcuno che le avrebbe potuto dare delle risposte, quel qualcuno era davanti a lei.
Alzò gli occhi e vide che la ragazza dal caschetto disordinato li stava osservando. Ancora una volta sembrava ammaliata, sognante.
Gea spostò lo sguardo sul viso di Deimos, che non aveva allontanato gli occhi da lei neanche per un attimo, e si schiarì la voce. << Potremmo andare dentro lo spogliatoio o in bagno per teletrasportarci? Qui daremmo un po' troppo nell'occhio. >>
Il ragazzo non rispose e non fece alcun cenno con la testa, si mosse soltanto verso un punto ancora non definito. Gea lo seguì dopo aver lanciato un'ultima occhiata alla ragazza da sopra la spalla. Stava continuando a seguirli con lo sguardo. Inspiegabilmente un brivido scese lungo la schiena di Gea, non le piacevano tutte quelle attenzioni indesiderate. Sentiva qualcosa di...
<< Muoviti >> le ordinò Deimos, svoltando l'angolo ed uscendo dalla sala.
La ragazza si ridestò dai suoi pensieri e lo raggiunse con una piccola corsa.


I poteri del tetraedroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora