Capitolo 11

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La ragazza si svegliò con un forte mal di testa. Strinse gli occhi e rotolò nel letto, mugolando infastidita. Cos'era successo la notte prima? I suoi pensieri erano confusi e privi di una qualsiasi logica. Ricordava la serata nel pub malridotto, la gente che popolava i banchi da gioco, la svestita che posava le mani su Deimos... Una rabbia ceca le invase la mente come la lava di un vulcano pronto ad eruttare, infuocandola e facendo ardere in lei un odio profondo per la tipa. Ma nel momento in cui l'immagine di James che veniva sbalzato via per averla sfiorata le riaffiorò tra i ricordi, l'odio si dissolse come fumo ed un leggero rossore le colorò le guance. Un piccolo sorriso spuntò sulle sue labbra e gli occhi le brillarono di una strana felicità, diversa da qualsiasi altra.
Rotolò ancora nel letto e nascose la faccia tra i cuscini.
Ripercorse mentalmente il modo in cui Deimos l'aveva allontanata dal pub, i suoi occhi furenti, la lite una volta essere approdati in casa e... il modo in cui si erano baciati.
Perché il cuore le stava battendo forte? Sprofondò ancora di più tra i cuscini e strizzò gli occhi. Deimos non era un ragazzo normale. Era crudele, spietato, potente, pericoloso, dannatamente affascinante e tremendamente sexy.
Si morse un labbro ed espirò. Eppure lei si sentiva attratta da qualsiasi sua sfaccettatura, sebbene al tempo stesso le odiasse profondamente.
Più volte nell'arco di una singola giornata la sfiorava il pensiero di ucciderlo o torturarlo, per tutto ciò che le faceva patire e per il modo irrispettoso con cui era avvezzo trattarla.
Era ancora dell'idea che prima o poi gliel'avrebbe fatta pagare, per tutto. Persino per il semplice fatto che solo lui riusciva a smascherarla quando mentiva e per ogni battito che le aveva fatto perdere.
Però mettere in pratica i piani omicidi che la sua mente sfornava quotidianamente era ben diverso dal pensarli.
Sbatté la testa contro il materasso e si alzò sbuffando. Detestava quel genere di sensazioni sconvolgenti che aveva cominciato a provare. Si sentiva nuda, esposta, debole.
Avrebbe dovuto smettere di vedere Deimos sotto una luce diversa da quella di mostro e assassino. Lui non era umano, normale o comune. Lui era pericoloso.
Agguantò una maglietta dall'armadio e la indossò frettolosamente, ma decise di lasciare i pantaloncini neri della sera prima.
Si fermò ad osservare le ante in legno del mobile mentre la sua mente tornava a mostrarle prepotentemente le immagini della notte passata.
Ed ora che ci pensava... Sgranò gli occhi e le sue guance si tinsero di rosso. Perché gli avevo dato quei due baci? Uno sulla guancia ed uno sullo zigomo.
Deglutì a fatica e si passò una mano sulla fronte. Era stata sicuramente colpa dell'alcool che aveva ingerito. Eppure... non era quella la causa, lo sapeva bene. Ben altro si celava sotto quei due innocenti baci, qualcosa che ancora non riusciva a comprendere. La stessa cosa non ben identificata che la rendeva felice e al tempo stesso nervosa, che le faceva attorcigliare lo stomaco ed annebbiare la mente.
Vagò con lo sguardo, in difficoltà, ed infine scacciò tutti quegli assurdi pensieri, concentrandosi su ben altro: la colazione.
Scese le scale come un fulmine e si precipitò in cucina. La casa avvolta nel silenzio e riscaldata dal caldo tepore del sole la fece riconcentrare sull'unica persona di cui in quel momento avrebbe fatto volentieri a meno.
Il cuore le iniziò a battere più velocemente e la familiare stretta allo stomaco si fece risentire.
Tornò al piano di sopra prestando attenzione a far scricchiolare il meno possibile i logori gradini e si avviò verso l'altra stanza della casa.
Le pareva impossibile che Deimos stesse ancora dormendo. Non sarebbe stato da lui. O forse... si trovava fuori casa, come ogni notte ed ogni mattina.
L'immagine della svestita si stampò con sfacciataggine nella mente della ragazza, facendola innervosire. Aprì di poco la porta e sbirciò al suo interno.
Il letto era sfatto e la maggior parte dei mobili erano distrutti. Pezzi di legno, vetri, pomelli di ceramica, viti, vestiti e qualsiasi altro oggetto un tempo presente sulla scrivania, adesso giacevano a terra in condizioni pietose.
<< Che stai facendo? >> le domandò una voce dalle spalle, cogliendola di sorpresa. Gea sobbalzò e sbatté la porta, chiudendola. Si volse lentamente e, non appena i suoi occhi incontrarono due furenti zaffiri blu, deglutì a fatica.
Deimos teneva le braccia strette al petto e la mascella contratta. Con uno scatto le afferrò la gola e la inchiodò contro il muro. << Rispondi alla domanda >> sibilò a denti stretti.
<< Stavo solo controllando se eri in casa >> rispose a tono la ragazza, prendendo il polso di Deimos tra le mani per allontanarlo.
<< E questo ti dà il diritto di entrare nella mia stanza? >> proseguì duramente il ragazzo, non calcolando minimamente gli sforzi di Gea. Strinse le dita sul suo collo e mantenne le distanze tra i loro corpi.
La giovane si morse un labbro ed assottigliò lo sguardo. << E questo mi vieta di entrare nella tua stanza? Non mi pare che tu abbia messo qualche cartello o chiuso a chiave >> fece notare, sollevando un sopracciglio.
<< Hai voglia di fare dello spirito? >> ringhiò lui, scuotendola brutalmente e facendole battere la nuca alla parete. Gea liberò un mugolio di dolore e strinse i denti.
Quella reazione esagerata da parte di Deimos le fece sorgere vari sospetti. C'era forse qualcosa che le voleva tenere nascosto? Qualcosa che aveva a che fare col disordine della camera? Come al solito la sua mente sapeva affollarsi di domande senza risposta.
Il ragazzo aumentò la presa e Gea si ritrovò a sollevare la testa in un disperato tentativo d'incanalare più ossigeno possibile.
Puntò i suoi sofferenti occhi in quelli di Deimos e rabbrividì l'attimo dopo. Non lo aveva mai visto tanto nervoso, forse perché lui di solito era capace di non mostrare nulla di sé. Persino i suoi stati d'animo a volte erano un mistero. Invece, in quell'esatto momento, era uscito dal suo guscio di piombo per mostrarlesi realmente.
Gli occhi blu sprizzavano elettricità e rabbia come dardi infuocati, velandogli la vista ed inibendo la sua mente. Le avrebbe voluto spezzare l'osso del collo, lo si poteva leggere in ogni pagliuzza scura delle sue iridi.
<< Sta' lontana da quella stanza >> sibilò minacciosamente. << O la prossima volta non ti andrà liscia come adesso. >> Si allontanò di scatto e le gettò un'ultima occhiata carica d'odio. Con un cenno del capo le indicò di sparire dalla sua vista, comando al quale Gea fu costretta ad obbedire, malgrado la rabbia le cominciasse a ribollire nelle vene sostituendo la paura.
Mosse dei lenti passi per il corridoio col capo chino e la mente ricolma di supposizioni. Aveva davvero potuto pensare, anche solo lentamente, di vedere Deimos sotto una luce diversa? Colui che fino ad un attimo prima aveva, per l'ennesima volta, tentato di strozzarla.
Strinse le mani a pugno e gli occhi le si inumidirono per la rabbia. Quanto era stata stupida, ma soprattutto... debole. Lei, per lui, non era assolutamente nulla. Ed invece lei aveva iniziato a riservargli un posto nella sua vita, rendendosi ciò che aveva sempre detestato sentirgli dire: stupida e debole umana.
Smise di avanzare e si volse di colpo verso il ragazzo. Alzò un braccio e gli puntò un dito contro. << Ti odio, più di quanto tu possa immaginare e più di quanto io stessa riesca a concepire >> ringhiò fra i denti, tremando piano. Deimos la osservò con impassibilità e le braccia strette al petto. << La prossima volta, fammi un favore >> continuò Gea, pregna d'ira. << Non trattenerti, ma cerca seriamente di spezzarmi l'osso del collo. Così, una volta per tutte, arriveremo alla resa dei conti e vedremo chi farà fuori l'altro per primo >> concluse richiudendo la mano a pugno.
Il giovane non rispose e nessuna emozione attraversò i suoi occhi, si limitò a seguire con lo sguardo la ragazza mentre scendeva le scale e si precipitava al piano di sotto.


I poteri del tetraedroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora