7 - Simon

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E così avevo fatto personale conoscenza dell'Alessi. E per la prima volta in vita mia, dopo un secolo, ero rimasto spiazzato. Non avrei immaginato una reazione del genere alla sua vicinanza.

Avevo calcolato tutto, ma non questo.

Sin da quando ero arrivato al locale non avevo fatto altro che guardarmi intorno per vedere se lei ci fosse, se fosse arrivata. E quando la vidi non feci altro che macchinare su come avvicinarla.

Non mi importava più nulla di Federica. Con una dolcezza snervante le avevo sussurrato all'orecchio: "Vuoi lasciarmi in pace? Vattene!".

Comprese subito che non ero mai stato serio con lei e non se lo fece ripetere due volte. Indignata com'era non si sarebbe rifatta viva per un po'. Tanto meglio.

Così quando mi concentrai sullo sguardo da cerbiatto impaurito di Aurora decisi di fare la prima mossa. Per sfuggirmi lei quasi non si schiantava ad un pilastro. Che sciocca!

Se pensavano di sconfiggermi con un'imbranata del genere si sbagliavano di grosso. O almeno era questo che pensavo fin quando non feci personale esperienza di lei.

La raggiunsi, la invitai a bere qualcosa. E naturalmente come avevo previsto non accettò. Feci una prova invitandola a ballare.

Era insicura, lo notavo. Il suo istinto la metteva in guardia, e lei come una sciocca ingenua non se ne accorgeva nemmeno.

Aveva paura, come sempre. Mi chiesi con quale coraggio avessero mandato una creatura così minuta e delicata per una missione tanto seria. Con un solo abbraccio avrei potuto sgretolarle la spina dorsale se solo avessi voluto.

Lei ballava davanti a me. Non saprei dire a cosa equivalesse la sua espressione. Era come se si stesse godendo la libertà che non le era concessa ma temeva per le conseguenze.

Quando mi avvicinai si allarmò. Io finsi di non fare caso a lei e strinsi di più.

Fui scosso da quel contatto, era come andare contro natura, abbracciare il tuo nemico, stringerlo. La parte più nascosta del mio animo ruggì d'orrore. Cominciavo a essere insicuro, se fosse stato pericoloso? Poteva essere pericoloso?

Tneske non mi aveva detto nulla a riguardo, ma infondo lui che poteva saperne?

La ragione portò avanti ciò che l'istinto si rifiutava di fare. Dovevo condurla fuori strada, e a giudicare dal comportamento imbranato di lei in mia presenza, potevo dire di starci riuscendo egregiamente.

Al termine del primo ballo per poco non mi scappava se non fossi stato io a trattenerla con delicatezza. Annebbiai ancora di più le sue volontà. Mi resi conto del suo stato di totale incoscienza.

Mi temeva ma allo stesso tempo l'idea che potessi essere un Kelsea non la sfiorava. Le mie mani pizzicavano. Un pizzicore strano e piacevole al tempo stesso. Ma non era nulla in confronto a quello che avrei provato dopo.

Infatti l'angioletta accettò un altro ballo. Con una battuta degna del migliore regista avevo recitato alla grande il mio ruolo da gentiluomo.

"Mi concede un altro ballo signorina?", le avevo detto.

Un lento risuonava nell'ampio salone colmo di gente. Tutte le coppie erano avvinghiate l'uno all'altra. Le porsi la mano e lei la prese. Allora la strinsi. Escogitando qualcosa che le sarebbe rimasto indelebile nella mente.

Un movimento, una parola, una cadenza nella mia voce, che l'avrebbe portata a desiderarmi più di ogni altra cosa.

Quando però avvicinai il mio viso al suo sentii la vista annebbiarsi. Inspirai il piacevole profumo di fragola che emanavano i suoi capelli morbidi e vellutati.

Tentai di conquistarla con una parola che mettesse in evidenza la mia attenzione: "Mmmm, fragola".

La sentii vacillare e questo provocò in me un brivido potente. Quella sensazione avrebbe dovuto essermi di monito, ma la tentazione, la curiosità, di respirare la fragranza del suo collo fu più forte.

Non resistetti al desiderio di scendere con la punta del mio naso al suo collo. Di riempirmi i polmoni di quel profumo. Ma fu un grosso errore.

La mia mandibola si tese nello sforzo di tenere a bada il mio istinto demoniaco. Per poco non mi trasformai davanti a lei. L'aria scese giù fino ai polmoni facendomeli bruciare, pizzicare di dolore e piacere insieme.

Mi resi conto che mai avevo provato una cosa del genere. Risollevai il viso con l'insistente tentazione di rifarlo. Di provare nuovamente quella fantastica voglia.

Lei era là inerme, in balìa di me stesso. Nessuno me l'avrebbe portata via. Era una sensazione strana. Come se avessi voluto annientarla, farla a pezzi con le mie stesse mani mentre al contempo quel desiderio ipnotizzante si trasformava in qualcosa di più.

Come una droga ne desideravo ancora, e sapevo che se l'avessi uccisa non ne avrei più avuto.

Desideri contrastanti velati d'un misto di brama folle, che solo un Kelsea come me poteva provare.

Ucciderla? Amarla? Dimenticarla? Non ero padrone di me stesso così come lei non lo era mai stata di sé in mia presenza.

La canzone volgeva al termine, io mi allontanai, quando terminò scostai anche le mani dai suoi fianchi e lei mi sfuggì sconvolta. Non la fermai. Ero troppo confuso per fare qualcosa in quell'istante. Quando uscì dal locale mi affrettai a seguirla a distanza, senza sapere veramente cosa fare.

Il disorientamento lasciò posto ad un nuovo desiderio di ostilità, che malamente celava la mia forte curiosità di capirne qualcosa di più.

Quando giunsi fuori dal locale la sua auto non c'era già più. Imprecai furioso. Il respiro affannato dal tormento. Un bisogno incostante di lei iniziava a insinuarsi nelle mie volontà. Quell'Alessi mi aveva stregato.

Che stupido che ero stato. Rischiare così tanto per una mia curiosità.

Diedi un calcio ben assestato a un'auto parcheggiata lì affianco ammaccandone la fiancata. Scattò l'allarme ma non me ne fregò un accidente. Piuttosto salii in auto con l'intensione di tornare a casa a tutta velocità. Un'estasiante voglia di uccidere mi invase, come fosse stata una necessità irreprimibile.

Rallentai l'andamento della macchina e accostai sul ciglio della strada. A pochi passi da me un'ignara ragazza, poco più che ventenne, camminava sul marciapiede di quella strada deserta.

Indossava un vestito attillato e le gambe affusolate accelerarono il passo alla mia vista.

Mi trasformai senza volerlo, i miei lineamenti si irrigidirono, la mia forza e il mio istinto presero il sopravvento. Mi avventai su di lei senza difficoltà e le strappai una manica della giacca mentre affondavo le mie unghie sul suo braccio. Lei si divincolò ma io la tenni ferma contro la sua volontà.

Andai in estasi quando avvicinai il mio viso al suo collo. Il mio olfatto sopraffino mandò un impulso al cervello che mi fece decisamente andare fuori di testa. La sconosciuta urlò, chiamò aiuto ma nessuno poteva sentirla. A quel punto mi implorò terrorizzata. E col minimo della forza la finii. Un colpo secco e le ruppi l'osso del collo. La bella ragazza si accasciò muta sotto di me.

Rimasi a sfogare le mie ire su quel corpo senza vita, senza tenere conto del guaio che avevo appena combinato.

Trasformarmi era stato un gesto più che imprudente. Avevo rischiato di far saltare in aria tutta la mia copertura.

Mi ritrasformai in fretta e fuggii nella notte con la mia auto. Non c'era stato nessun testimone. Nessuno aveva notato da quelle parti le mia lussuosa auto. Non tentai neppure di nascondere il cadavere scempiato della ragazza. Mi diressi in casa con desiderio placato sparendo immediatamente dal luogo dell'aggressione.

Gli Alessi avrebbero capito che era stata colpa mia, gli umani avrebbero trovato una teoria geniale tutta loro.

Quando giunsi a casa gettai nel camino acceso i vestiti zuppi dal sangue della mia vittima, guardai allo specchio il mio viso e le mie labbra avide e insanguinate. Poi la mia figura sparì. L'immagine di Tneske, furioso, mi gelò il sangue.

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