26 - Aurora

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Quando arrivammo a destinazione, fuori dal locale che ci era stato consigliato, vomitai. Attenzione, non tanto per il locale, ma per il lungo viaggio. Altro che vicino! Quel locale era sperduto nelle periferie! Avevamo dovuto attraversare moltissime strade ciottolose e buie, e poi era un continuo andirivieni di curve. Non avevo mai saputo di soffrire di mal d'auto, eppure Gabriele me l'aveva fatto scoprire, e per poco anche a sue spese. Fossimo arrivati un minuto più tardi, avrei rigettato tutta la pizza sui pulitissimi tappetini della sua auto.

Quando scesi dalla mini coupé ero pallida e frastornata. Mi appoggiai al cofano della macchina del mio protetto e poco dopo un conato di vomito mi avvisò che la cena offerta da Gabriele era stata tutta inutile. Quando lui ebbe chiuso la macchina mi venne vicino.

"Tutto bene?", mi chiese preoccupato.

Con la voce un po' gracchiante e un fazzoletto alla bocca accennai: "Credo di sì, adesso. Giuro che se rivedo quel cameriere lo strangolo con le mie mani!".

Gabriele sghignazzò. "Su coraggio, ora che hai rigettato tutto passerà". Mi diede una pacca sulla spalla sinceramente divertito del mio stato e mi aiutò a sedermi su un muretto là vicino.

Intorno a noi c'era una foresta di alberi sempreverdi. Dal posto non si sarebbe detto che il locale sarebbe stato così affollato. Eppure le auto al parcheggio presagivano che ci sarebbe stata un sacco di gente.

"Mi chiedo chi siano quei pazzi che vengono in questo posto sperduto a ballare...", sbottai contrariata.

Gabriele assunse un'aria scettica. "In effetti, mi sento alla villa di Dracula".

Sorrisi divertita da quella affermazione.

"Entriamo?", continuò Gabriele.

Con aria afflitta raccolsi la mia borsetta e annuii di nuovo.

"Non fare quella faccia però, ti prego! Mi fai sentire in colpa!", mi supplicò il mio protetto.

"Forse perché dovresti sentirti in colpa, Gabry?", gli dissi alludendo a quello che aveva combinato poco prima col cameriere.

"Naaah, vedrai, quando arriverà il tuo ammiratore mi ringrazierai". Sbuffai seccata dalla sua testardaggine.

"Chi ti dice che venga?", cantilenai, "E poi che può importarmene di lui? Non vedo perché ti ostini tanto...".

Lui mi zittì con una mano. "Intuito maschile...", sorrise sghembo.

Rinunciai ai miei buoni propositi di farlo ragionare. Era inutile. Certo che quando si impegnava riusciva ad essere veramente testardo!

"Andiamo", gli dissi avviandomi spontaneamente verso l'ingresso. Lui mi seguì trotterellante come un cagnolino e io mi sentii incredibilmente fuori luogo vicino ad uno così allegro come lui.

Il mio protetto pagò i biglietti e insieme attraversammo il corridoio che conduceva all'immenso locale.

Quando arrivammo sulla pista rimasi ancora più sorpresa del gran numero di gente che popolava quel posto. Mi guardai intorno come se il mio inconscio si aspettasse di vedere qualche volto familiare in mezzo a quella marea di sconosciuti.

Che mi aspettavo di rivederlo là in mezzo? Di ritrovare Simon in un luogo simile a dove ci eravamo parlati per la prima volta alcune sere fa?

Guardai Gabriele leggermente spaesata, come a dirgli: e ora che facciamo?

Lui rispose alla mia domanda inespressa con un'altra domanda. "Ti va di ballare?", mi chiese porgendomi una mano.

Annuii con la borsa ancora fra le mani. Avevo dimenticato di lasciarla ai custodi all'entrata. Glielo feci notare dispiaciuta. Ma lui fece spallucce e mi trascinò con sé fino al centro della pista. Quando ci arrivammo mi poggiò una mano al fianco e con l'altra strinse la mia mano. Insieme ballammo a ritmo di musica e io mi lasciai un po' andare.

Guardian - il fascino del proibitoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora