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Mi accesi una sigaretta, mente vedevo dal mio balcone il carnevale di Rio. Ero un fantasma, tra quei corpi abbronzati ed allenati. Stava passando un carro tutto colorato, con ballerine mezze nude che si dimenavano.

La signora che mi aveva affittato la stanza era sicuramente laggiù da qualche parte, una delle tante cinquantenni vestite da adolescenti che si muovevano a ritmo di musica. Mi aveva invitato più volte ad unirmi, promettendomi che mi avrebbe prestato uno dei suoi vestiti – un po' troppo simile ad un babydoll per i miei gusti.

Fu quando mi voltai per rientrare che vidi un'ombra sul passamano del balcone. Mi girai, ma a quanto pare era stata solo suggestione. Aprii il frigo, cercando una bibita, ma la sensazione di essere osservata mi fece allertare. Continuai a fingere di fissare i ripiani del frigo per non destare sospetti, ma quando sentii un movimento distinto, ruotai e colpii l'intruso.

Questo, un ragazzo vestito di nero, accusò il colpo e attaccò. Cacciatore. Scartai di lato evitando un pungo e tirai un calcio, colpendolo in pieno. Atterrò come un sacco di patate contro lo schienale del divano, e prima che potesse rialzarsi gli affondai un coltello nel petto. Era così che funzionava, o io o lui.

Stare lontana dalla società demoniaca aveva i suoi pro e contro. I Cacciatori erano decisamente a metà, a volte era divertente vedere come riuscissero a scovarmi, ma in momenti simili, in cui volevo restare da sola, erano solo d'intralcio.

Mi era stato detto che dopo il Seicento avevano smesso di esercitare la loro professione, perché erano finanziati dalla Chiesa romana e questa si era vista costretta ad eliminare l'Inquisizione. Erano tornati a piede libero, però, ed avevano imparato la lezione della segretezza.

Un monito che conoscevo bene anche io, nonostante quell'attacco fosse il quinto in due anni. Continuavo a spostarmi, non riuscendo a trovare un posto da chiamare casa. Credo non volessi neanche trovarlo, dato che non mi sarei potuta trasferire lì per più di dieci anni, dato che presto non sarei più invecchiata e qualcuno del luogo avrebbe potuto notarlo.

Non provai neppure a chiedere informazioni al ragazzo prima di ucciderlo. Erano sempre errate, quel piccoletto non era abbastanza in alto nella gerarchia per sapere ciò che mi serviva.

Lasciai il coltello fra le sue costole, presi la mia valigia e le mie cose e mi affrettai a lasciare il Brasile. Stavo giocando a nascondino con il nemico, ma era solo un modo per aspettare che si scoprisse, che mi facesse capire.

Rifiutavo di stabilirmi in qualche corte di Demoni straniera. Avevo dato un taglio netto a quella mia vita, e volevo rimanerne fuori. Anche andare dagli Angeli era fuori discussione: non sapevo dove fossero ed erano comunque troppo amici dei Demoni. Restavano gli Umani a farmi compagnia, flebili e delicate vite che si spezzavano con la facilità di un ramoscello.

Gli urli si fecero più sguaiati, là fuori. Era passata la mezzanotte.

Tanti auguri, Victoria. Buon ventesimo compleanno. Dove ti porto stavolta?

Arabia Saudita, forse. Indossando il burqa non mi avrebbero riconosciuta facilmente, ma girare senza un uomo al mio fianco sarebbe stato un problema. Volevo visitare l'Australia, ma sapevo che lì si era trasferita Vivian e per quanto i Demoni disdegnassero gli Umani, preferivo non rischiare. Stesso discorso per l'India.

Sorrisi alla ragazza dietro il bancone, decidendo la mia meta. «Parigi», decretai. Lei ricambiò il sorriso, ticchettando con le unghie smaltate sulla tastiera nuova. Mi porse i miei documenti rigorosamente falsi ed il biglietto, sorridendomi ed augurandomi buon viaggio.

Mi affrettai a fare il check-in e a prendere posto. Accanto a me il posto era ancora vuoto, ma qualche minuto prima che le porte venissero chiuse qualcuno si sedette.

Ringraziai ogni divinità in cielo per avermi fatto stringere un foulard intorno al viso ed avermi fatto indossare degli occhiali da sole, nonostante fosse notte.

Di fianco a me il posto era occupato da un Demone, e conoscevo bene quel profilo. Una ragazza si sporse verso di lui, dall'altra parte, e questo mi permise di osservarla. Era la classica sciacquetta, e non faceva che chiacchierare, riempiendo il silenzio. Alexander non la stava neanche ascoltando, continuando a fissare le venature del sedile di fronte al suo.

Istintivamente, mi appropriai del bracciolo comune. Dopo tre anni mi sentivo ancora le farfalle nello stomaco, dannazione, e questo non era possibile.

«Sta' un po' zitta», sbottò Alexander, continuando a non rivolgerle la sua attenzione.

Lei obbedì, rimanendoci male, e non appena l'aereo fu decollato si congedò per andare in bagno, probabilmente a versare qualche lacrima. Strano dire che gioissi per come l'avesse liquidata. Fossi stata io al pozzo della ragazza, avrei cominciato a sbraitargli contro. Ma non c'ero.

Parlare fu più forte di me, maledizione, e perlomeno sperai che la mia voce fosse cambiata dopo tre anni, visti i continui esercizi che avevo dovuto fare con il diaframma per tornare a non balbettare. «È molto vivace la vostra ragazza».

«È mia moglie», disse lui con tono spento.

«Felicitazioni», risposi con lo stesso entusiasmo.

Lui sbuffò, e lo conoscevo troppo bene per non capire che per lui non c'era nulla da festeggiare.

La Principessa tornò, con gli occhi un po' lucidi ma ben colorati con il troppo trucco che indossava.

Ero un fascio di nervi, accanto a lui, ed ero scissa tra la voglia di baciarlo e quella di ucciderlo. Nel dubbio, cercai di distrarmi. Nessuno di noi parlò più, e quando scesi dall'aereo per affrettarmi verso un taxi, passai proprio accanto a lui.

«Addio, Principe», dissi. Erano quelle le ultime parole che dovevo rivolgergli, ma al tempo ero solo una bambina innamorata che non riusciva a non piangere. Sentii la sua voce, molto più marcata e grave, urlare: «Aspetta!», ma io mi ero già buttata sui sedili del taxi, chiedendo all'autista di portarmi ad un ostello. Il giorno successivo avrei preso un altro volo e sarei fuggita, come facevo ormai da tre anni a quella parte.

«Una macchina ci insegue», disse il taxista in inglese molto stentato.

«Mi lasci qui», chiesi, lasciandogli venti dollari e sperando che gli bastassero. Lui o i Cacciatori? Non aveva importanza, sarei andata via prima che entrambi potessero trovarmi.

Corsi verso il vicolo buio più vicino e mi confusi con l'oscurità, lasciando il mio inseguitore senza tracce. In tre anni avevo imparato a non lasciare indizi del mio passaggio, tutto in nome della sopravvivenza. E mentre qualcuno attentava alla mia vita, un altro lo faceva al mio cuore, e io ero ormai diventata gelosa di entrambi.

Perlomeno non avevo una vita noiosa.

Deimon 3 - La congiura del DemonioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora