Questa storia del "abbiamo tutto il tempo del mondo per il sesso" mi sapeva tanto di presa in giro. Erano passate già due settimane da quella sera, e per quanto provassi ad avere un po' di intimità in più, lui non era d'accordo. Si staccava, mezzo divertito e mezzo serio, e borbottava: «Non provocarmi, femmina», seguito sempre da uno sbuffo da parte mia.
Non dico che non ci fosse altro, come i giorni che passavamo da soli, liberi dall'incombenza del trono, dove lui tirava fuori quel lato dolce ma sempre con un pizzico di orgoglio che mi stupiva sempre, ma non capivo il suo ragionamento. Io lo amavo, lui mi amava: non serviva altro.Quella vittoria e l'alleanza che avevano firmato Wladimir e Sigfrid aveva reso tutti di buon umore. I due passavano spesso i pomeriggi insieme, a volte combattendo a scherma, a volte semplicemente sedendosi ad un tavolo della sala comune e ridere sguaiati. Cordelia era radiosa, e non faceva che mangiare dolci, nonostante dovesse mantenere la linea per l'abito del matrimonio – aveva accantonato il bianco per un vestito sublime, a detta di nonna Bloodwood, ma ovviamente non potevo saperne nulla.
Un giorno, mentre leggevo un libro distesa sul letto di Alexander, un servo bussò. I servi che avevano aiutato in battaglia avevano conquistato la loro libertà; la nuova servitù era costituita dai Silentowl che si erano arresi. Non avevano subìto la sterilizzazione, ma Wladimir aveva ordinato che avrebbero mantenuto quel posto nella scala sociale solo loro, senza incolpare i figli dei mali dei padri. La trovavo la giusta soluzione: far servire il governo che avevano cercato di spodestare.
«Sua Maestà Wladimir e Lady Cordelia hanno chiesto di voi nella sala comune».
Ringraziai con un cenno, per quanto non se lo meritasse, e mi diressi dove indicato. I due erano seduti ad un lungo tavolo, e nella sala erano soli. Avevano un grande tomo fra le mani, ed a turno ne indicavano una pagina, discutendo del contenuto.
«Ciao», salutai, attirando la loro attenzione. I loro sguardi erano liquidi, come sciolti da un'immensa quantità di calore. Wladimir mi fece un cenno con la testa, mentre Cordelia sorrideva e faceva: «Che bello averti qui!».
L'uomo rise e mi disse: «Scusala, sono gli ormoni».
Nello stesso istante in cui io aggrottavo la fronte e cercavo di chiedere: «Ormoni?», Alexander si sedette accanto a me e borbottò: «In effetti sembrate proprio due adolescenti».
«Glielo dici tu o glielo dico io?», chiese Cordelia, elettrizzata. Sembrava che avessero vinto alla lotteria o che avessero rubato tutta la felicità del mondo per tenerla solo per loro.
Wladimir fece un gesto con la mano, lasciandole carta bianca, ed alzò gli occhi al cielo. Per quanto condividesse la gioia della donna – era evidente nei suoi occhi – pareva un po' esasperato da tutta quell'iperattività di Cordelia.
Lei ci guardò con un sorriso enorme, ed esclamò: «Sono incinta!».
Lo stupore iniziale si tramutò in contentezza. Riuscii solo a restituire il sorriso.
«Un marmocchio è in arrivo e voi siete contenti?», borbottò Alexander. Lo ignorammo, ma Wladimir gli lanciò un'occhiata eloquente, che poteva essere interpretata come "Sta' zitto" oppure "Vedi di non smontare l'euforia di tua madre". Entrambe, suppongo.
«Nomi?», chiesi io. Ora parlare era più semplice, ma solo se utilizzavo una sola parola corta, altrimenti il mal di testa tornava. Ero piena di curiosità, ma evitai di domandare se quella gravidanza fosse qualcosa di intenzionale. Dopotutto, conoscere le loro vicende altisonanti mandava in confusione. Erano tornati insieme da circa due mesi, ed un bambino era un grande impegno.
Cordelia sorrise di nuovo, come se si aspettasse quella domanda e si fosse preparata a memoria la risposta. «Se è maschio...».
«Dio ce ne scampi», la interruppe Wladimir, alzando gli occhi al cielo.
«Ehi!», sbottò Alexander.
«Non ti rendi conto di quanto tu sia stato impegnativo», si lamentò Wladimir. «Avevi abbastanza energie per poter dare corrente ad una metropoli per una settimana intera senza crollare sfinito».
«Sono stato un figlio modello», continuò Alexander, punto nell'orgoglio.
«Di modello hai solo il fisico», continuò il padre, sbuffando.
Cordelia si intromise, stroncando sul nascere un litigio fra due maschi alpha. «Se è maschio pensavamo a "Nathaniel", per la femmina magari "Helena"».
Annuii, facendole capire che mi piacevano, mentre Alexander sembrava ancora un po' contrariato.
«Devo chiamare Ludovice!», esclamò la donna, su di giri. Troppo presa da quella notizia, si dimenticò anche di salutarci e quasi corse fuori dalla sala comune per avvertire nonna Bloodwood, che era stata cacciata dai Silentowl non appena avevano preso il potere, sostenendo che non avevano nulla contro di loro ma che se si fossero fatti vivi di nuovo – lei, Gideon, Vivian e Jordan – sarebbero stati uccisi. Mossa piuttosto stupida, dato che un discendente dei Bloodwood sarebbe potuto tornare a reclamare il potere, ma questo non faceva che evidenziare quanto quel colpo di Stato fosse stato campato in aria fin dall'inizio, basando tutto solo sulla violenza.
«Su», dissi ad Alexander, prendendogli la mano e mettendomi in piedi. Feci un cenno con la mano a Wladimir per salutarlo, ma lui non rispose ed il Principe non disse nulla, ancora un po' offeso.
«Detesto i marmocchi», disse lui una volta che fummo soli. «Non fanno altro che piangere e sporcare i pannolini».
Ridacchiai, anche se ci rimasi un po' male. Quindi non voleva figli? Ma non ebbi tempo di rimuginarci sopra, perché sbottò: «Ed odio anche quella maledetta maglietta», indicando quella che avevo indosso. «Perché vorrei togliertela seduta stante. E no», continuò, lanciandomi un'occhiata storta, «non lo farò».
Sbuffai, doveva essere lui quello ad insistere per andare a letto, non io. A quanto pare si era accorto del mio nuovo guardaroba, che con un po' di titubanza avevo scelto della mia misura, non di taglie più grandi. Sentire tutta quell'aderenza mi aveva reso imbarazzata, ma la commessa mi aveva assicurato che stavo benissimo – e mi ero fidata, anche se probabilmente lo diceva solo perché facevo parte della famiglia imperiale. Quel disagio che sentivo però veniva subito rimpiazzato da soddisfazione e lusinga quando vedevo i suoi occhi scrutarmi quando pensava che non vedessi.
«La smetti di provocarmi?», chiese retorico, con un tono di voce esasperato.
Scossi la testa, sorridendo malvagiamente. Sapevo bene che non era un tipo paziente, perciò non avrei avuto problemi con i pochi vestiti nuovi che avevo avuto il coraggio di acquistare.
«Propongo un patto», esordì, massaggiandosi le tempie. «Tu la pianti con questa storia ed io in cambio...», mi lanciò un'occhiata dubbiosa. «... cosa vuoi?».
Ci pensai su, ma non mi venne in mente nulla. Cosa volevo? Stare con lui, ovviamente. «Viaggio», proposi. Saremmo stati da soli, per un po' liberi da tutte le dinamiche di Corte – che ci avevano messo davvero poco a tornare a svilupparsi.
Lui annuì, dandomi un leggero bacio sulle labbra. «Dove vorresti andare?».
La meta fu semplicemente spontanea. Ci ero stata durante un camposcuola, in una vita ormai precedente, ma i colori delle strade e l'ospitalità dei cittadini mi aveva fatto sentire a casa. «Siviglia».
«Prepara le valigie, allora», ridacchiò, facendomi fare una piroetta. «Andiamo nella città della ceramica».
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Deimon 3 - La congiura del Demonio
Paranormale«So cosa significa non avere nessuno su cui contare oltre il proprio amore - e parliamo di Bloodwood, quindi, non sempre va tutto come ci si aspetta. L'eternità è una vera noia senza qualche sorpresa del destino, ma la famiglia imperiale ha preso qu...