«Non se ne parla», continuava a dire Wladimir, facendo arrabbiare ancora di più Alexander. «Dovete restare qui. Primo perché il Regno non è ancora del tutto stabile, secondo perché Cordelia va assecondata, e ti darebbe il suo permesso anche se non volesse vederti partire».
Mi misi in mezzo prima del peggio, erano entrambi piuttosto tesi e si fronteggiavano. Il fascino dei maschi alpha, suppongo. «Okay», esalai, con il mal di testa alle stelle visto che avevo già pronunciato qualche parola per far calmare il Principe.
Wladimir fu quello che si sciolse prima, ma Alexander continuava ad essere un fascio di nervi, perciò gli presi il braccio e cercai di tirarlo via, ma prima che potessi dire altro una serva arrivò trafelata, scusandosi per il ritardo e porgendo all'Imperatore un vassoio con due calici sopra: uno era dorato – forse proprio oro, a giudicare da come luccicava –, e l'altro più leggero ed aggraziato, argentato. Prima che l'uomo potesse prendere il vassoio, Alexander lo anticipò. «Assecondare mamma prevede anche farle bere vino durante la gravidanza?».
«È un solo bicchiere», rispose freddo Wladimir.
«Beh, se proprio dobbiamo restare qui, tanto vale rendere il soggiorno più confortevole», borbottò, dando le spalle al padre e dirigendosi verso la nostra camera, lasciandomi lì impalata di fronte ad un Imperatore accigliato ed a una serva presa alla sprovvista. Wladimir le fece un gesto di congedo, per poi rivolgersi a me, indicando la porta dove il figlio era scomparso. «Guarda che puoi ancora ripensarci, sai. L'eternità è lunga, meglio passarla con qualcuno di piacevole».
Ridacchiai, ma lui era serio. Mi salutò, dicendo che doveva ancora spedire gli inviti del matrimonio.
Non appena ebbe voltato l'angolo, raggiunsi il Principe, ancora piuttosto infastidito. Era seduto sul letto e fissava i calici sul vassoio come se potesse scioglierli con lo sguardo. Mi avvicinai e gli presi il volto fra le mani, sussurrando: «Scusa». Dopotutto l'idea di partire era stata mia, lui aveva solo avanzato la richiesta.
Lui accennò un sorriso, più per non farmi preoccupare che per vero riflesso. «Non preoccuparti. Avrebbe detto di no anche ad altre idee. Già che siamo qui, assaggiamo che cavolo gli salta in testa di ordinare», ridacchiò, porgendomi il calice argentato. Aveva lo sguardo di un bambino che ruba i sigari al padre e finge di fumare per imitarlo. Preferii non dirglielo.
Mi sedetti dall'altra parte del vassoio, mentre lui portava alle labbra il suo calice dorato. Lo imitai, ed il sapore che mi riempì la bocca era dolce e speziato, vagamente simile al sangue di Alexander.
«Vedo che hai gradito», sorrise furbo, indicando il mio calice vuoto.
Risi, ma all'improvviso mi venne un conato che mi costrinse a correre in bagno e rimettere. Sentii Alexander chiamarmi, pareva divertito del fatto che non avessi retto quel vino troppo forte per me. Dopo aver finito, cercai di sporgermi e tirare l'acqua del water, ma un capogiro mi fece cadere con il sedere per terra, e poggiai la testa contro le fredde mattonelle della parete dietro di me.
«Victoria?», ora la sua voce era allarmata. Quando mi vide seduta, con gli occhi semichiusi ed una smorfia disgustata, si avvicinò velocemente. «Non puoi sentirti così dopo un bicchiere di vino», constatò, prendendomi delicatamente tra le braccia ed adagiandomi sul letto. «Vado a chiamare il dottore». Mi strinse la mano più forte per poi lasciarla e scomparire dietro la porta.
Il soffitto cominciò a girare, provocandomi un'altra ondata di nausea, e decisi di chiudere gli occhi. Sentivo le gambe molli, e dubitavo di riuscire a correre in bagno. Dopo quella che parve un'infinità, Alexander tornò con il dottore, e se non avessi avuto il cervello così sottosopra mi sarei stupita di vedere anche il Guaritore. Si fissavano in modo strano, ma poco dopo si sciolsero, cominciando a parlare di medicina, campo in cui entrambi erano esperti.
Il dottore mi fissò le pupille e poi chiese ad Alexander di vedere il calice dove avevo bevuto. Annusò dove prima c'era il vino e poi lo passò al Guaritore, che lo imitò. Cominciarono a parlare in modo concitato, mentre Alexander aggrottava le sopracciglia e si avvicinava a me, passandomi una mano sulla fronte e scacciando le goccioline di sudore che vi si erano formate.
«Il vino non era destinato a lei, vero?», si informò il dottore, ed Alexander spiegò di come lo avessero portato alla madre. Quella risposta parve confermare i sospetti dei due uomini, perché annuirono e cominciarono a chiarire. Mi costrinsi a concentrarmi, nonostante il cervello sembrasse voler uscire dalle orbite oculari.
«Nella bevanda c'era un'erba conosciuta per le efficaci proprietà di aborto», fu l'unica frase che percepii, prima che Alexander si alzasse ed andasse ad avvisare il padre del pericolo.
Il Guaritore si avvicinò a me, cercando di tranquillizzarmi. «Non temete, mettetevi a dormire e domani vi sentirete come nuova», promise, per poi tornare a discutere di medicina con il collega Demone. Quando non sentii più le loro voci pensai di essermi addormentata, o almeno di essere nel dormiveglia, ma poi sentii di nuovo la mano di Alexander nella mia, ed il suo tono frettoloso stava spiegando cosa fosse accaduto.
Udii anche la voce di Wladimir, troppo fredda considerando le parole furiose che diceva. I due cominciarono a discutere di chi potesse essere stato, cominciando a temere un'altra cospirazione. Si accordarono per raddoppiare le guardie per il corridoio dei Bloodwood, e di non dire nulla a Cordelia.
Chiusi gli occhi, ma la testa faceva davvero troppo male. Non riuscivo più a concentrarmi su altro, e temetti di non poter più parlare quel poco che riuscivo ormai a fare. Volevo urlare, ma non usciva nulla dalla mia gola. Non di nuovo, continuavo a ripetere, mentre la sensazione di essere rinchiusa nel mio stesso corpo tornava, più potente di prima.
«Victoria, mi ha sentito?», chiese la voce di Wladimir, con una vena di preoccupazione. Non trovai neanche le forze per scuotere la testa, ormai sembrava che nel mio cranio ci fosse un incendio inestinguibile. Mi accorsi in ritardo che avevo chiuso gli occhi, chissà quando.
Sentii una lieve scossa, ma non riuscii a reagire.
Non so quanto tempo passò prima che mi addormentassi, ma alla fine accolsi l'oblio quasi con reverenza.
Al mio risveglio, Alexander era sdraiato accanto a me, un'espressione rilassata sul viso ancora nel mondo dei sogni. Mi sentivo insolitamente bene, considerando il giorno prima. Ero sotto ad una coperta ma faceva incredibilmente caldo, perciò la sfilai e decisi di farmi una doccia, con molta cautela.
Con l'accappatoio di Alexander, ancora grondante di acqua, mi osservai allo specchio. I capelli erano attaccati alla testa, ancora bagnati, gli occhi erano rossi e le labbra un po' pallide. Provai a parlare, fissando la mia immagine allo specchio, e mi risultò più difficile. Sbuffai per la troppa umidità della stanza e cominciai a tamponarmi i capelli.
«Buongiorno», mugugnò Alexander, entrando nel bagno e sbadigliando. Gli sorrisi, mentre aprivo il mobiletto e prendevo il phon.
«Dobbiamo parlare», esordì. Quando il buongiorno si vede dal mattino.
NOTA IMPORTANTE: Questo è un capitolo di passaggio: è l'ultimo comune ad entrambi i finali. Perché sì, esistono due finali di Deimon 3, l'originale e quello ufficiale, che differiscono per trama. Non so ancora se pubblicherò l'originale, il primo scritto e che mi sento di chiamare mio più dell'altro (perché l'editor Eleenwee mi ha minacciata di morte e me ne ha fatto fare un altro). Nel caso, voi vorreste leggerlo?
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Deimon 3 - La congiura del Demonio
Siêu nhiên«So cosa significa non avere nessuno su cui contare oltre il proprio amore - e parliamo di Bloodwood, quindi, non sempre va tutto come ci si aspetta. L'eternità è una vera noia senza qualche sorpresa del destino, ma la famiglia imperiale ha preso qu...