14 - Isola felice ♛

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Dopo che ebbe finito di farsi la doccia, mi fece sedere sulla sponda del letto. Mi prese una mano tra le sue, ma potevo vedere come fosse combattuto, a disagio. «Dopo tutto quello che abbiamo passato... tu vuoi ancora sposarmi, Victoria?».

Sbuffai, pensando a chissà quale discorso serio date le sue parole di poco prima, e gli battei il palmo della mano contro la fronte, come a dire: "Ma che diavolo blateri?". Annuii vigorosamente, ed il suo sguardo di sciolse, donandomi il mio sorriso preferito tutto fossette.

«Dovrò regalarti un altro anello», constatò, indicando il mio anulare sinistro. Quello che mi aveva dato non sapevo più che fine avesse fatto, se me lo avessero tolto i Silentowl o se lo avessi perso nell'accampamento degli Angeli.

Scossi la testa, per quanto quell'anello mi fosse piaciuto, non mi serviva un suo oggetto per sapere che mi amava. Tra i Demoni non era di usanza la fede nuziale, e probabilmente lui mi aveva fatto quel dono durante la proposta perché ormai stava diventando quasi naturale uniformarsi agli Umani.

«No, voglio regalartelo», continuò testardo, aggrottando le sopracciglia. «Ah», disse cambiando discorso, molto probabilmente perché mi avrebbe dato un nuovo anello anche se non fossi stata d'accordo. «Il nostro patto... puoi scegliere qualche altra cosa, femmina».

Ridacchiai, facendo segno di no con l'indice. L'accordo era saltato, non se ne parlava proprio.

Mi lanciò un'occhiataccia. «Ho detto che non voglio, femmina». Eccole lì, le parole che temevo. Forse non mi amava abbastanza, forse credeva che poi non mi sarei scollata più, forse non ero abbastanza attraente. Mi scostai come se scottasse, ed uscii dalla sua stanza, in corridoio. Avevo bisogno di avere la mente libera, non distratta dalla sua presenza.

Lui non mi rincorse, e ne fui sollevata. Ma ovunque girassi per il Palazzo, continuavo a pensare alla via di ritorno per l'ala dei Bloodwood. Sconsolata decisi di prendere una decisione piuttosto istintiva, per certi versi anche sciocca. Oltrepassai le mura del castello medievale quasi con reverenza, come se non fossi più sotto la loro ala protettiva.

Ero troppo assorta dai miei pensieri per cercare di guardarmi attorno. Qualcuno al mio passaggio accennò un inchino, ma non badai a nessuno finché non sentii qualcuno chiamarmi: «Vicky!».

Mi voltai, vedendo una ragazza venirmi incontro. Era strano vederla fuori dalla divisa da serva, ma il verde del maglioncino le donava tantissimo. Le sorrisi, non potendo fare altro.

«Dai, vieni, ti offro un pasticcino», rise Adrienne, prendendomi per mano.

Scossi la testa, cercando di non sembrare un'ingrata. Avevo lo stomaco chiuso per il rifiuto di Alexander, e una domanda mi frullava nella mente: se durante l'assedio era stata mandata via, che ci faceva qui ora?

«Per favore, tu ed il Principe avete fatto così tanto per noi, un pasticcino neanche basta a ringraziarvi!», esultò, tirandomi verso una pasticceria.

Cedetti, e non perché non volevo fare la figura dell'asociale - che avevo imparato ad inscenare per anni - ma perché quelle calde mani e le parole affettuose che la ragazza mi rivolgeva erano come un dolce balsamo per la mia mente.

Mentre eravamo in fila per la cassa, lei mi guardò dispiaciuta. «Ho saputo del tuo problema a parlare, ma sappi che se avessi bisogno di qualcosa noi ci siamo sempre», promise, ed attribuii quel "noi" a tutti gli ex servi, ma poi Adrienne mi disse una frase che mi lasciò spiazzata: «Io ed Andrew abbiamo trovato un bel monolocale, e l'affitto costa davvero poco».

La guardai con la bocca spalancata. Lei ed Andrew? Era bellissimo che avessero una relazione nonostante quello che avessero subito per il disonore. Loro si accontentavano di un amore platonico, a me non bastava però. Improvvisamente mi sentii una balorda, che definiva l'amore solo basandosi sul numero di rapporti a letto. Ma non era tanto quello, avrei accettato di certo le sole dolci coccole, ma sapere che lui mi poteva avere e mi rifiutava mi faceva sentire una nullità.

Arrivò il nostro turno ed Adrienne insistette per pagare anche il mio pasticcino. «Ti ringrazio, Vicky. O, a proposito, posso darti del 'tu'? Mi sembra così distante il 'voi'». Annuii sorridendole, detestavo tutta quella faccenda delle buone maniere. Avevamo la stessa età, a che scopo chiamarmi con appellativi inutili? Eravamo amiche, poi, mica conoscenti. «E non preoccuparti per il dolcetto. Io e gli altri ragazzi abbiamo aperto una gelateria appena oltre le mura, sembra andare bene». Mi passò il pasticcino al cioccolato, e ci sedemmo ad un tavolino fuori dal negozio.

Ridemmo come bambine quando alla fine ci ritrovammo entrambe con il volto sporco di zucchero a velo. «G-g-g-gra-z-zie», farfugliai, cercando di esprimerle la mia riconoscenza.

La lasciai senza parole, e fu buffo visto che accadde perché io avevo parlato. Come se i ruoli si fossero invertiti. «Ma io credevo fossi muta, Vicky! È bellissimo, se ti eserciti regolarmente tutti i giorni in breve potresti tornare a blaterare come fa Taddeus dopo essersi scolato tutto lo sciroppo di ghiande!».

Risi di cuore a quelle parole, e non soltanto perché avevo visto il ragazzo in azione con quella che era la sua kriptonite liquida. Forse aveva ragione, se mi fossi impegnata avrei accelerato i tempi.

«Ti va di venire da noi, un giorno?», chiese lei eccitata. «Sarebbe bellissimo averti in gelateria!».

«O-o-o-ora», suggerii, facendo una smorfia per lo sforzo di parlare. Ci pulimmo il volto sporco di cioccolata alla bell'e meglio e mi prese di nuovo la mano.

«I ragazzi sarebbero felicissimi!», esclamò, e durante il tragitto mi parlò di come avessero deciso di creare un'attività per potersi mantenere. Molti degli ex servi si erano trasferiti all'estero, forse per viaggiare e recuperare il tempo perso come sguatteri. Erano rimasti solo in sette nella capitale, e lavoravano tutti nella gelateria anche se qualcuno si occupava di fare pulizie ai negozietti accanto, per arrotondare.

Effettivamente la gelateria era davvero appena fuori le mura: i miei occhi vi erano scivolati spenti mentre mi allontanavo dal castello. Era tutto colorato, in netto contrasto con le pareti di mattoni antichi del Palazzo. E forse era proprio quell'abbinamento, come nero e bianco, yin e yang, ad attirare gli occhi distratti dei passanti, invitandoli ad entrare grazie al cartello "Nuova apertura".

Al bancone c'era Andrew, mentre Samantha puliva i tavoli di plastica dentro quello che sembrava un salottino privato e George contava i soldi nella casa, borbottando che dovevano aprire un negozio di giocattoli, non di gelati.

Tutte e tre le teste si voltarono verso di me, ed in un istante mi trovai stretta in un abbraccio comune, a cui con una risata di unì anche Adrienne. Quando i ragazzi si furono staccati, cominciai a respirare a pieni polmoni.

«Dicevo a Vicky che se si esercita per bene potrà tornare a parlare molto presto», spiegò Adrienne, mentre Andrew le passava un braccio sulle spalle.

«Ci pensiamo noi!», ridacchiò George, con uno sguardo divertito e complice. «Tanto qui non c'è mai nulla da fare se non leccare il cucchiaio di plastica prima di darlo a Taddeus».

Mi strappò una risata, ma parve più un gemito.

«I-i-i-io n-n-n...», cominciai a dire, cercando di svincolarli da quello che era solo un increscioso impegno, ma la voce mi morì in gola.

«Non accettiamo un no come risposta. Domani cominceremo, passa quando vuoi che facciamo orario continuato», assicurò Samantha con un sorriso. «Ed ora, ragazzi, è l'ora del pranzo e sto morendo di fame».

Senza neanche chiedermelo, George e Samantha mi presero a braccetto e mi condussero sul retro, mentre da dietro i fornelli Francis assaggiava qualcosa e Taddeus apparecchiava.

«Vicky, che bello rivederti!», mi salutò Taddeus, afferrando un altro piatto.

Francis fece per dire qualcosa ma poi si scottò con il cucchiaio che stava portando alle labbra, imprecando e facendoci ridere tutti.

Eccoli lì, sette ragazzi con un piccolo e modesto sogno, che ridevano e scherzavano come una famiglia. Ed erano questo che erano, per me, e lo avevo capito solo sedendomi accanto a loro, a sentire come si prendevano in giro l'un l'altro.

Il pensiero che avevo abbandonato il Palazzo per la seconda volta senza dire nulla ad Alexander non mi sfiorò neppure la mente: avevo appena trovato un'isola felice in cui potermi rifugiare.

Deimon 3 - La congiura del DemonioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora