10 - Sacrilegio ♛

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I Silentowl superstiti erano stati portati nelle segrete, mentre gli Angeli si occupavano di togliere i corpi esanimi dai corridoi. I servi erano riusciti a dare una significativa mano ai combattimenti nelle altre ale, tanto che Sigfrid si profuse in ringraziamenti, spiegando come più soldati significassero meno morti. Coloro che si erano arresi avevano avuto la possibilità di cercare fra i caduti un fratello, amico o conoscente ed occuparsi di una sepoltura meno spartana. I cadaveri che non venivano riconosciuti sarebbero stati sepolti in fosse comuni. Qualcuno con tanta pazienza si era messo a fare rapporto, collezionando i nomi dei defunti per fare un bilancio delle vittime. Tra i vari appellativi, quelli di Augustus, Adelaide e Galvan spuntavano.

L'euforia iniziale era stata smorzata da una forte stretta appena sopra il gomito, e dal conseguente sguardo minaccioso di un furente Alexander. Mi aveva letteralmente trascinato nella sua stanza, in cui sembrava essere passato un uragano, ed aveva chiuso la porta prima di cominciare ad urlarmi contro.

«Possibile che ogni volta che ti lascio da sola tu combini qualcosa?», continuava a ripetere, mentre scuoteva vigorosamente la testa. «Cosa credevi di fare?».

Gli posai una mano sul petto, all'altezza del cuore.

Peggiorò solo la situazione, perché sbottò: «La scusa che mi ami te la sei giocata l'ultima volta».

La mano si alzò, andando a circondare la sua guancia. Lui chiuse gli occhi, sospirando. «Anche a chiederti di non farlo più, so che ti caccerai nei guai comunque». Mi lanciò un'occhiataccia, per poi dirigersi verso la porta. «A più tardi», disse, chiudendomi a chiave dentro.

Fissai storta dove era appena uscito. Forse era il suo spirito di protezione, ma non ero una bambina in castigo. Scostai la tenda che nascondeva la porta per arrivare alla mia stanza, ma all'improvviso mi bloccai con la mano sul pomello. Farlo arrabbiare di più non era il caso, e poi mi veniva da vomitare per aver visto tutti quegli uomini e donne riversi a terra. Corsi in bagno e mi chinai sulla tazza, ma poco dopo compresi che non era un disturbo fisico, ma psicologico. Quanti ne avevo ammazzati? Sì, erano traditori, avevano quasi ucciso il mio Alexander, ma quanti sbagli avevo fatto io nella vita?

Wladimir mi aveva spiegato più volte, ai tempi del nostro matrimonio, di quanto il potere desse assuefazione. «Sarebbe più salutare essere cocainomani», mi aveva detto con uno sguardo tremendamente serio, al che io gli avevo chiesto come mai conoscesse la differenza tra quelle due dipendenze, facendolo ridere.

Mi sdraiai sul letto, cercando di distrarmi. La distrazione che trovai fu davvero impegnativa, tanto che quando Alexander tornò mi faceva malissimo la testa.

Lui sospirò e si avvicinò a me. «Ho parlato con Sigfrid», esordì. «Mi ha detto che se non si fossero messi in mezzo i servi, sicuramente avremmo perso molti più uomini». Si sdraiò accanto a me, a debita distanza, come se scottassi. «Mi dispiace per come ho reagito, ma l'idea di perderti di nuovo mi fa impazzire».

Mi voltai su un fianco, per vederlo meglio, e gli sorrisi accarezzandogli la guancia. Alzai una mano, chiedendogli di aspettare, e lui mi guardò dubbioso. Chiusi gli occhi ed aggrottai le sopracciglia, pronta all'ennesimo sforzo, per fargli vedere il cosa mi ero esercitata mentre lui era via.

Aprii la bocca, sperando che ne uscisse la parola in modo comprensibile. «S-s-scu-s-s-a». Presi un profondo respiro, mentre finivo si pronunciare l'ultima sillaba.

Mi prese il volto fra le mani, costringendomi ad aprire gli occhi. Stava sorridendo, mostrando le sue fossette. «Ci sei riuscita».

Alzai un sopracciglio, e lui capì con un po' di ritardo la mia domanda. «Mi riferivo a parlare, non di certo a scusarti con me, anche se è una conquista anche questa», ridacchiò. «Ho una buona notizia».

Mi sedetti sul letto, aspettando. Lui pareva rilassato, si sdraiò e incrociò le braccia dietro la testa, guardandomi sereno. «Mio padre mi ha appena detronizzato». Vedendo la mia espressione perplessa, continuò: «Suppongo ci sia lo zampino di mamma, che si è sempre lamentata da quando papà ha lasciato l'Impero a me. Comunque, ha detto che non dobbiamo preoccuparci perché ci penseranno loro».

Sorrisi, finalmente sarebbe stato libero e non sempre in giro per le incombenze politiche che lo avrebbero reso di cattivo umore.

«Sono molto triste per questa notizia», si lamentò lui, facendo sporgere il labbro inferiore ed esagerando la smorfia, «ho bisogno di coccole».

Sbuffai teatralmente, e mi chinai a baciarlo, ma lui mi prese alla sprovvista e mi sovrastò con il suo corpo, non permettendo alle nostre labbra di staccarsi. Scese lungo il collo, mandando il mio cuore in fibrillazione, ma si staccò contrariato, borbottando: «Questa felpa è d'impiccio». Ne afferrò i lembi e la tirò su, mentre io velocizzavo i tempi e mi sfilavo le maniche. Alzai la testa per permettergli di farla passare in alto e finalmente fui libera da quel tessuto che era diventato improvvisamente ingombrante.

Tornammo a baciarci, ed infilai le mani sotto la sua maglietta, seguendo con i polpastrelli le curve dei suoi muscoli. Avevo il respiro accelerato ed il cuore in gola mentre lui si staccava e con un gesto frettoloso se ne liberava ed incollava le sue labbra alla mia pelle. Cominciò dalla gola e poi scese, sempre più giù, sfiorandomi e provocandomi brividi bollenti. Arrivò al bordo dei jeans ed aprì il bottone con una lentezza quasi dolorosa. Mi sarei potuta sciogliere, con tutto quel calore. Dopo che anche i suoi pantaloni scomparvero, tornò a baciarmi, insinuando la lingua fra le mie labbra.

Avevo un po' paura, per quanto mi fidassi di lui. Sarei stata abbastanza? Ora ero anche alla stregua di una muta, come avrei potuto stargli accanto e consigliarlo, una volta saliti al potere?

«Sei rigida», sussurrò lui, alzandosi e puntellandosi sui gomiti per non pesarmi troppo addosso. «È troppo presto?».

Scossi la testa, frustrata per non potergli dire quello che provavo. Ci provai comunque, a costo di liquefarmi il cervello. «I-i-i-o... n-no-on s-son-no a-bba-s-s...».

«Ti prego, dimmi che non pensi sul serio di non essere alla mia altezza», sbuffò lui, lanciandomi un'occhiataccia. «Perché tu sei molto più di abbastanza. Sei troppo, per me. Un livello molto più alto di ciò che io mi meriti».

Feci un cenno negativo con la testa, aprendo la bocca per cercare di fargli capire quanto mi sentissi fortunata, quanto fossi felice di essere tra le sue braccia quando poche settimane prima lo credevo morto, quanto fossi grata al destino di quel diluvio che aveva costretto lui ed i genitori a restare a dormire a casa mia, secoli prima e in un mondo differente.

Mi posò due dita sulle labbra, smorzando sul nascere un mio tentativo di comunicare. «Su questo sono irremovibile, non sprecare le tue energie».

Mi allungai a baciarlo, preferendo di gran lunga sprecare le energie con lui su quel letto piuttosto che parlare. Ma lui mi strinse forte, sussurrando che a conti fatti gli pareva quasi un sacrilegio ridurre il nostro rapporto al sesso, non che non mi desiderasse con ogni cellula del suo corpo.

«Abbiamo tutto il tempo del mondo. E poi vorrei che fossi in grado di parlare senza sforzo», spiegò con mio evidente disappunto, chinandosi a baciarmi un angolo della bocca. «Nel caso sai, sbagliassi qualcosa e dovessi smettere subito».

Lo assecondai più perché non riuscivo a rispondergli a tono. Dormimmo abbracciati, molto più scoperti di quanto fossimo mai stati, sia fisicamente che emotivamente.




Deimon 3 - La congiura del DemonioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora