Newport's crush

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30 ottobre - lunedì

Abbiamo appena finito la pizza e sento come un peso sullo stomaco, ma non è dovuto al cibo, no, non è mai colpa del cibo. Oggi non abbiamo parlato più di me, ci siamo messi a giocare alla Play e poi abbiamo ordinato la pizza, e ora voglio parlare.

-Okay.- dico, mentre lui torna sul divano dopo aver buttato via il cartone unto di pomodoro e olio. Prendo un respiro profondo e comincio a raccontare il fatto che mi ha fatto diventare così insicuro riguardo al fidarmi delle persone:- Avevo quasi quindici anni e Kyle due anni più di me ed era bellissimo. Era l'inizio dell'estate e lo conobbi a Newport, in California, dove io e i miei genitori passavamo sempre i mesi di vacanze, lui abitava lì. Diventammo amici, molto intimi, e passavamo ogni giorno insieme, lui amava surfare e mi dava lezioni, poi a volte io mi univo al gruppo dei suoi amici. Quando giungeva il momento per me di tornare a casa io e lui ci tenevamo in contatto lo stesso, internet, lettere, messaggi e quindi ho pensato che... sai, potessi piacergli, in qualche modo.-

Alzo lo sguardo sul suo, per un attimo ho creduto che si mettesse a ridere da un momento all'altro, ma ora che lo vedo è serio da far venire i brividi.

Così continuo:- Quando tornai, l'estate successiva notai che era cambiato, usciva più spesso di sera, andava nelle discoteche con i suoi amici e non sembrava più tanto entusiasta di avermi accanto. Così furono più i giorni che passavo con i miei piuttosto che con Kyle, e solo verso la fine dell'estate lui si accorse sul serio di me. Pochi giorni prima della mia partenza mi portò in un locale, con i suoi amici, davanti alla spiaggia; io non potevo bere e probabilmente neanche lui, ma non so come rimediò degli alcolici e lui e i suoi compagni bevettero fino a sentirsi male. Io lo portai a prendere aria in spiaggia e ne approfittai per restare solo con lui, si comportava stranamente e diceva che ero bellissimo così colsi l'attimo e... lo baciai.- chiudo gli occhi e scuoto la testa, imbarazzato- Kyle rimase scioccato, iniziò a dirmi che facevo schifo e non mi chiamò "Luke" mentre mi insultava, usò altri nomi, ma mai il mio. Poi ad un certo punto, ubriaco marcio prese la bottiglia e inizio ad agitarla contro di me dicendomi cose orribili, poi ridendo la spaccò per terra e con il manico rotto e tagliente iniziò a rincorrermi come un psicopatico per la spiaggia fino a quando non inciampò e cadde su di me tagliandomi con il vetro sotto al petto.-

Stringo ancora di più le palpebre e percepisco il dolore che ho provato quella notte- Riesco ancora a sentire il bruciore dell'alcool mischiato al sangue nella mia ferita. Scappai e mi sentivo come se stessi per morire, c'era un ospedali lì vicino e lì mi misero dei punti, fecero tante domande e io dissi che mi ero tagliato con dei cocci di bottiglia mentre ero in spiaggia. Non lo dissi mai ai miei genitori e fortunatamente loro non si chiesero troppo perché io, l'anno dopo, non volessi tornare lì. La vergogna aveva superato il dolore che provavo. Non vidi più Kyle, ma la cicatrice si vede ancora e non è sbiadita.- mi sto riferendo sia a quella che ho nel corpo che a quella che ho nell'anima.
Il silenzio sembra aver conquistato il mondo, non si sente nessun rumore e nessuno di noi due sembra voler parlare, ci fissiamo solamente. Nathan è immobile seduto davanti a me, con un braccio sulla spalliera del divano e un piede appoggiato sul tavolino tra esso e la tv. Non batte ciglio, a cosa starà pensando? Forse sta cercando di non ridermi in faccia e dirmi quanto io sia ridicolo e sciocco per avergli raccontato una cosa del genere.
Perché mi fissi così, Nathan?, chiedo mentalmente. Vorrei tanto saper leggere la sua espressione, è indecifrabile.
Poi quando ricomincia a muovere delicatamente le ciglia posa lo sguardo sul mio petto- Posso vederla?- chiede, inaspettatamente. Avvicina la sua mano alla mia maglia.

Controllati. Calma. Respira.

Deglutisco a fatica- Meglio di no.- rispondo.
-Non mi fanno senso, queste cose, tranquillo.- insiste.
-Non è per quello, è che...- Potrebbero impressionarti le altre cicatrici, Nathan- Devo andare.- taglio corto, afferro immediatamente lo zaino e mi alzo. A passo svelto vado verso la porta.
Nathan, per mia sfortuna, mi afferra il braccio ed è come se avessi un dejavù, la scena sembra essere la stessa di oggi- Ehi, aspetta! Non vole...-
-Sul serio, si è fatto tardi e domani c'è scuola.- mi giustifico non trovando altre scuse plausibili che reggano- Grazie per la pizza e per... avermi ascoltato.- apro la porta ed metto un piede fuori ma lui è ancora ancorato al mio braccio- Cosa c'è?!- alzo la voce.
-Domani sera ci sei alla festa di Halloween?- mi chiede e questa è la domanda più inaspettata dalla persona più inaspettata che non mi sarei mai aspettato- A scuola.-
Giusto, la festa per cui Jason e Richard stavano distribuendo i volantini, fino a pochi secondi fa non avevo intenzione di andarci.
Ma ora...

Tu ci andrai?

Abbasso lo sguardo e aggrotto la fronte, non ho neanche un costume e poi anche il giorno dopo ci sarà scuola- Uhm... non lo so, domani vedo. Ti faccio sapere.- la presa si allenta e con un mio delicato strattone me ne libero, entro nell'ascensore del palazzo. Nathan tiene bloccata la fotocellula che impedisce alle porte di chiudersi, ora sorride- Perché sorridi?-
Scuote la testa e leva la gamba dal sensore, le porte si stanno per chiudere- Buonanotte, Luke.- e l'ascensore percorre la sua discesa verso il pianoterra.

Notte, Nathan.

Nota d'autrice:
Vorrei ringraziare tutti quelli che stanno leggendo la mia storia, grazie per i voti e per i commenti; ovviamente se continuate a metterne altri mi renderete molto felice.
Vorrei scusarmi se pubblico un capitolo così corto e con un giorno di ritardo, mi rifarò sicuramente nel prossimo.
Grace

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