Capitolo 1

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Osservo le mani veloci e capaci di Sae la zozza. Faccio correre lo sguardo sul suo viso anziano. In ogni ruga credo di poter scorgere un vecchio ricordo felice al Forno, sede del mercato nero, dove ero solita recarmi per venderle i miei bottini di caccia. Anche lei ha perso tutti: suo figlio e la nuora sono morti nel bombardamento. Viene qui tutti i giorni a cucinare per me ma non la definirei la mia governante, più che altro ci facciamo compagnia in silenzio. Il Forno era la sua casa, adesso che è stato distrutto non credo abbia altro posto dove trascorrere la giornata. Affondo la testa tra le braccia per soffocare un ricordo indefinito ma doloroso legato al vecchio distretto 12. Bevo un sorso del latte che la mia amica ha preparato, mi dirigo verso la finestra del salotto per lasciare che l'odore di terra bagnata mi invada le narici. Osservo il villaggio dei vincitori che non è stato nemmeno sfiorato dalle bombe. Il terreno è ricoperto di foglie gialle e rosse ancora umide dopo l'acquazzone di stanotte; oggi deve essere una giornata di tregua dal maltempo perché il sole autunnale acceca i miei occhi ancora assonati. Sposto lo sguardo sul caminetto acceso. Abbandonate lí vicino giacciono decine di lettere provenienti da Capitol City. Le uniche che ho aperto finora sono quelle inviate da Effie. Infilo velocemente gli scarponi lasciati ad asciugare, afferro la borsa ed esco di casa senza nemmeno salutare Sae. Cammino senza meta per le strade ancora distrutte del distretto. È ottobre. Sarà passato un anno da quando sono uscita dall'arena per l'ultima volta, non troppi mesi dalla morte di Prim. Nel mio cuore il dolore sta pian piano lasciando spazio alla rassegnazione. Non avrò mai indietro le persone che ho perso, questa è consapevolezza che mi accompagna nella vita, il risveglio di tutte le mattine. Non sono più la ghiandaia imitatrice, il simbolo della ribellione ha smesso di bruciare, quando passeggio lungo le vie distretto nessuno alza più le tre dita della mano sinistra per salutarmi. Probabilmente a Capitol City qualcuno si preoccuperà di inserire il mio nome nei libri di storia, ma per la mia gente sono tornata ad essere solo Katniss: l'introversa ragazzina dagli occhi grigi con uno spiccato talento per la caccia. A me va bene così. Il presidente Snow non aveva tutti i torti su di me, io l'ho sempre saputo. Volevo solo salvare Peeta, tutto ciò a cui ho dato vita è stata la conseguenza diretta di azioni non del tutto mie. Mi infilo in uno dei pochi negozi rimasti, compro una bottiglia di liquore bianco e degli acquerelli. Ritorno al villaggio dei vincitori, busso alla porta di Haymitch. Non ricevo risposta. Saranno le 9:30 del mattino, non mi aspettavo comunque di trovarlo sveglio. Entro dalla finestra della cucina, un gesto abituale che sa della mia vita di adesso, della mia nuova quotidianità. Lui la lascia aperta come sempre. Ci sono piccole cose di Haymitch che non cambieranno mai e io, strano a dirlo, ne sono felice. Lo scuoto dal suo torpore senza fare troppa attenzione, lui si sveglia di soprassalto, emette strani suoni. Non posso fare a meno di sorridere, sono pronta alla mia dose di imprecazioni mattutine quando qualcuno bussa alla porta. Non c'è bisogno di domandarmi chi sia, lo percepisco dal suono che le sue nocche producono colpendo il legno. È incredibile quanto io sia in grado di riconoscere qualsiasi cosa che lo riguardi: è Peeta. La situazione mi riporta alla mattina dell'inizio del tour della vittoria, quando ci ritrovammo tutti e tre nello stesso identico posto, terrorizzati. Tutto è diverso adesso. Il terrore ha lasciato spazio al dolore, anziché elaborare strategie per fingerci folli innamorati ora tutti insieme ci lecchiamo le ferite a vicenda per lavar via quello che rimane degli Hunger Games, della guerra, di ciò che è stato. Gli sorrido, lo lascio entrare, posso sentire il suo corpo irrigidirsi quando mi vede. Dura solo un attimo, ma basta un istante a ricordarmi che sono ancora la protagonista dei suoi peggiori incubi, quelli in cui mi trasformo in un ibrido. A volte è difficile anche per me non vedermi in tal modo, come un animale affamato in letargo ma pronto a colpire, a fare nuovamente del male. Eppure, quando Peeta si sveglia, torna ad essere il ragazzo del pane e i suoi occhi chiari e buoni mi restituiscono un'immagine di me stessa che nemmeno pensavo di conoscere, un tempo lontano, quando innocente cantavo seduta al mio banco di scuola le canzoni insegnatemi da papà. Dal salotto Haymitch mi insulta in tutti i modi possibili, gli angoli della mia bocca si alzano leggermente.
"Il suo umore è comunque migliore di quello di ieri" dice Peeta in tono ironico.
Afferro il liquore e lo passo ad Haymitch. "Allora a qualcosa sei buona, eh dolcezza?" mi stuzzica, io lo ignoro.
"Ho comprato anche degli acquerelli" dico, indicando la scatola colorata sul tavolino.
Peeta mi ringrazia con un flebile sorriso ma riesco a scorgere una strana preoccupazione nei suoi occhi azzurri. Mi guardo intorno: Haymitch si bea del suo liquore ingoiandolo come fosse acqua, Peeta osserva il mio regalo con un'espressione corrucciata.
Questa è la mia nuova famiglia, penso.
"Sei stranamente tranquilla." È la voce di Haymitch a riportarmi alla realtà.
"Dovrei non esserlo?" chiedo.
"Le lettere spedite da Capitol City, possibile che tu non ne abbia aperto nemmeno una?" s'intromette Peeta. Faccio spallucce "Solo quelle di Effie". Haymitch mi porge un foglio di carta insozzato, non è difficile distinguere lo stemma di Capitol City seguito da periodi brevi: una lettera concisa.

Gentile Haymitch Abernathy,
Con un leggero ritardo sulla tabella di marcia a causa dei recenti eventi che hanno interessato Panem, anche quest'anno è invitato a recarsi a Capitol City per svolgere il suo ruolo di mentore nell'ultima, simbolica, edizione degli Hunger Games.

Distinti Saluti,
P. Paylor.

La rileggo nuovamente cercando di mettere a fuoco le parole nella mia testa. Devo apparire certamente sconvolta perché quando finalmente sollevo lo sguardo dal foglio Peeta mi osserva allarmato, come se potessi svenire da un momento all'altro.
Io sono una vincitrice, una lettera identica giace sul mio caminetto.
"Avrai la tua vendetta, Katniss" dice Haymitch poco convinto.
Un'ultima edizione degli Hunger Games che io stessa ho voluto, che ho votato in un momento di instabilità e dolore.
Non posso averlo fatto.
La realizzazione di ciò che sta per avvenire nella mia vita mi colpisce dritta in faccia:

Devo portare qualcuno vivo fuori da quell'arena, ancora una volta.

Katniss e Peeta: senza fare rumore. / COMPLETADove le storie prendono vita. Scoprilo ora