L'annuncio dell'annullamento dei giochi viene fatto subito dopo cena: le guance di Evelynn si bagnano di gioia, Ezra la raccoglie nelle sue braccia forti e soffoca qualche singhiozzo. Faccio un'immensa fatica per sorridere, il mio stomaco vuoto quasi sanguina al pensiero delle parole di Haymitch. Vorrei che Peeta sapesse, vorrei che mi abbracciasse e che mi dicesse che va tutto bene. Così, mentre Effie squittisce qualcosa, io giro leggermente la testa nella sua direzione: con l'indice di una mano disegna piccoli cerchi sul torso dell'altra. È un istante: i suoi occhi color cielo incontrano i miei. Mi concedo un secondo per guardarlo, per sentire le budella contorcersi e subito dopo distolgo lo sguardo imbarazzata. Interrogo il mio cuore: quando, precisamente, ho lasciato che si allontanasse a tal punto? Volevo solo che fosse felice, ma questo però sta distruggendo me. Non capisco perché, tra tante mani, sono le sue che mi fanno rizzare i peli sulle braccia, che mi permettono di non cadere.
Senza accorgermene la stanza si svuota lentamente, sento solo le labbra di Haymitch sfiorarmi delicatamente la fronte, "buonanotte, ragazza" sussurra prima di andare via. Domani pomeriggio potremo tornare al 12, ma non mi sento fiduciosa perché questo non significa necessariamente essere al sicuro. Non mi interessa di morire da quando mia sorella non c'è più, in realtà, ma da un po' di tempo a questa parte non mi dispiace nemmeno vivere. Da quando Peeta ha piantato quelle primule in giardino sento di avere un motivo che mi spinge ad andare avanti. Non so precisamente quale sia questo motivo, forse sono solo troppo egoista per morire e rinunciare alle pochissime cose belle che mi sono rimaste, ma per ora va bene così. Esiste un solo posto in cui mi sento sicura, in cui posso davvero credermi salva: ci sono stata la prima volta durante i settantaquattresimi Hunger Games, in una caverna, in un momento di tregua da quell'orrore il buio non mi faceva più paura. L'ho rivisitato più e più volte durante l'edizione della memoria ma non ho realizzato quanto fosse indispensabile per me fino a quando non sono stata sul punto di perderlo per sempre. Mi strofino la fronte con una mano, mi alzo e mi dirigo verso la mia stanza: mi fermo per un secondo per osservare la porta di fianco alla mia: mi chiedo se io non sia sul punto di perderlo di nuovo. Entro cecando di trovare un senso a tutto quello che mi capita, mente mi sfilo i vestiti sporchi e indosso il morbido pigiama di ciniglia ripercorro giorno per giorno, di mese in mese la mia vita. Indugio per qualche secondo avanti all'armadio. Cerco di non pensarci troppo: apro l'anta a specchio, cerco il pantalone indossato il primo giorno a Capitol City e infilando la mano nella tasca trovo la superficie liscia e fredda dell'unico oggetto che mi lega a Peeta. Prendo la perla e la lascio correre tra le dita. Nonostante non abbia sonno mi metto a letto, porto le coperte fino a coprirmi interamente il viso. Nessuno può farmi del male qui, la perla passa da una mano all'altra.
I miei occhi si chiudono silenziosamente.È un rumore lontano, ma basta per farmi svegliare. Da due anni a questa parte il mio sonno è carta pesta, anche un soffio puó bucarlo.
Quando apro gli occhi il rumore sembra più vicino. Realizzo che qualcuno sta bussando alla mia porta con forza. Mi alzo a fatica dal letto e mi trascino fino alla fine della stanza e apro la porta. Non ho nemmeno il tempo di parlare, di chiamare il suo nome che due braccia forti si serrano intorno al mio corpo esile. Peeta è scosso da forti tremiti, posso capire che sta piangendo dalla sua voce spezzata mente ripete all'infinito il mio nome. Mi concedo un minuto per me, un istante, giusto il tempo di lasciare che il suo profumo di cannella mi invada le narici. Affondo il viso nella sua maglia, chiudo gli occhi: eccolo, lo riconosco, l'unico posto al mondo in cui mi sento al sicuro.
"Katniss" dice piano lui.
Io torno alla realtà.
"Peeta" sussurro, carezzando lentamente i suoi capelli dello stesso colore del grano.
Ammetto che mi piacerebbe restare così per un po' perché anche se dovrei essere io a dargli forza in realtà è lui che la sta dando a me, ma devo aiutarlo.
Allento lentamente la presa perché Peeta è un fascio di nervi e un movimento brusco potrebbe farlo agitare. Lo guardo negli occhi: riesco a scorgere il colore dei suoi occhi e capisco che si sta calmando.
"Peeta, stai meglio?" domando stringendogli le braccia.
"Si..si, non preoccuparti" dice lui strizzando più volte le palpebre.
È un silenzio che si sente tutto sulle spalle quello che cala. Non so che fare, non ho idea di come comportarmi. Uno difronte all'altro, spogliati di qualsiasi segreto: io conosco le sue urla, lui sa cosa fare quando gli incubi mi attanagliano. Mi chiedo cosa gli passi per la testa, cosa pensa di me.
Senza accorgermene alzo una mano e gli sposto un ricciolo biondo dietro l'orecchio, lui inclina la testa di lato per sentire il contatto con il mio palmo e chiude gli occhi. Gli carezzo la guancia per un secondo e poi lascio cadere il braccio lungo il fianco.
"Grazie" sussurra.
"Prego" rispondo.
"Puoi rimanere, se vuoi" lascio le parole andar via dalla mia bocca senza provare a trattenerle.
"Io..io sto bene. Posso farcela" La sua voce è roca.
"Va bene" gli guardo un'ultima volta gli occhi tornati completamente chiari, poi si gira e afferra la maniglia della porta: "Katniss.." sento, ma so che non sta solo chiamando il mio nome, vuole dirmi qualcosa.
"Niente, lascia stare." Termina ed esce dalla stanza, lasciandomi in piedi in mezzo a quello che mi appare come il nulla. Vorrei fermarlo e dirgli che ho sbagliato a lanciarlo nelle braccia di May, ma per la prima volta in tutta la mia vita mi manca il coraggio.Ho un mal di testa atroce e dormire adesso che ho ancora il profumo di Peeta che mi pizzica le narici è davvero impossibile. Mi infilo nella vestaglia e lascio scivolare la perla nella tasca sinistra. Esco dalla stanza silenziosamente, mi avvicino alla porta del mio compagno: non sento niente, forse sta dormendo.
Cammino senza meta nel grande attico, tutto sembra essersi fermato, tutto è muto ed immobile. Prendo posto su una poltroncina bianca posta vicino ad una vetrata da cui si può vedere il panorama: è davvero bellissimo. Me lo fece notare Peeta, una volta. Io e lui siamo davvero come le stelle di cui mi parlava l'altra sera sul tetto: due corpi vicini ma allo stesso distanti, che possono sembra identici ma in realtà sono diversi in tutto e per tutto. Con Gale era più facile, io e lui siamo uguali, sapevo cosa pensava anche prima di lui. L'ho sempre considerato come il mio destino e a volte forse credo di essermi autoimposta di sentirmi sua, come quando mi sentii in colpa per non essere riuscita a rispondere al suo "ti amo". Peeta mi coglie di sorpresa, è come conoscere qualcuno tutte le volte: ad ogni conversazione, ad ogni parola aggiungo un tassello al grande puzzle che è. Quello per lui è un sentimento che si rinnova di continuo.
Prendo la perla dalla tasca, la osservo per qualche secondo, poi la passo tra le labbra.
Mi scivola dalle mani e cade sul parquet, io mi allungo per afferrarla ma qualcosa mi trattiene. Sento mani calde e callose stringermi le braccia, apro la bocca per urlare ma altre mani mi coprono le labbra e il naso con un fazzoletto impedendomi di emettere suoni. Mi dimeno il più possibile ma a poco a poco le forze abbandonano il mio corpo magro.Un luccichio lontano, forse la luce della città che batte sulla perla è l'ultima cosa che vedo prima di essere mangiata dal buio.
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Katniss e Peeta: senza fare rumore. / COMPLETA
FanfictionPenso alle ciglia lunghissime di Peeta, alle mani forti ma dal tocco leggero, al potere curativo dei suoi abbracci e non posso fare a meno di arrossire. Dal testo: Raccolgo i pezzi di me stessa e provo a ricompormi asciugando le lacrime. Sento una v...