Capitolo 20

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La mia vita è una giostra che non smette di girare e se non posso scendere, tanto vale godersi il giro.

Entro lentamente in casa facendo attenzione a ripulire gli scarponi dalla neve prima di mettere piede sul parquet immacolato.
Non mi parla, ma so che non è arrabbiato. È solo ferito.
Mi sfilo la giacca, lui resta immobile all'entrata del salotto.
Sento i suoi occhi su di me, mi guarda in attesa che dica qualcosa.
"Ti va del latte?" È l'unica cosa che riesco a dire.
Lui sorride, ma so che non è felice, mi fa segno di seguirlo in cucina.
Serro le mani intorno alla bollente tazza di latte mentre Peeta parla del freddo, di Haymitch ed Effie, del piccolo Finn.
Io non riesco a seguirlo, osservo assente il bordo della tazza.
Pensavo che rivedere Gale mi avrebbe destabilizzata, invece ha confermato i miei dubbi.
Peeta nota la mia espressione vuota, si siede difronte a me con un mezzo sorriso sul volto.
"Non devi sentirti in colpa." Sussurra piegando leggermente la testa di lato.
Alzo gli occhi, siamo faccia a faccia.
Capisco che non ho scampo:
È così, è sempre stato così,
Lo so da quando ha colpito quel campo di forza,
da quando il mio cuore si è fermato insieme al suo,
da quando, baciandolo, mi sono creduta salva.
Peeta si è insinuato in me lentamente, invisibile come un punto in un libro da migliaia di parole,
Mi è entrato sotto pelle senza fare rumore.
"Non mi sento in colpa" dico piano "perché tra me e Gale non è successo niente." Faccio una piccola pausa.
"È tornato a vivere al 12. Ma non è più la stessa cosa. Non può essere la stessa cosa tra di noi..." Lo guardo negli occhi senza imbarazzo: "...se ci sei tu."
Lui non si scompone, sembra quasi non mi abbia sentito.
Il pensiero che non possa più provare le stesse cose per me mi fa tremare.
È stato un errore mostrarmi così vulnerabile.
Faccio un passo indietro alzandomi e afferrando la mia giacca, "scusami, non sarei dovuta venire."
Scatta in piedi in maniera istantanea, mi segue mentre mi dirigo verso l'ingresso.
"Katniss..." Mi chiama quando prendo la maniglia della porta.
Vorrei continuare per la mia strada, correre a casa e rintanarmi sotto le coperte a vergognarmi per la mia stupidità.
Invece resto immobile, con i piedi piantati a terra in attesa che Peeta continui a parlare.
"Perché non me l'hai detto quella sera sul tetto, al centro di addestramento?" chiede piano.
Chiudo gli occhi e mi giro.
La mia voce è più alta di quanto voglia in realtà:
"Avevo paura, Peeta.
Così come ho avuto paura quando ti ho conosciuto.
Ho avuto paura perché sapevo che mi avresti destabilizzato con la tua bontà, con il tuo altruismo, con la tua sincerità, con i tuoi occhi.
Ho avuto paura perché sapevo che prima o poi avrei dovuto rinunciare a te.
Ho avuto paura quando ho capito che con te ero pronta a cambiare, e a riscoprire me stessa, a mettermi in gioco, perchè ho capito che avrei rischiato di restare a pugni stretti stringendo solo fumo.
Ho avuto paura quando ho cominciato a notare che tu eri in tutte le cose che facevo, che dicevo, che vedevo, che ascoltavo.
Ho avuto paura su quella spiaggia, durante quei baci, quando ho capito che se tu fossi morto non avrei avuto più niente da dire, da vedere, da ascoltare.
Ho avuto paura quando ho capito che per sfuggire ai miei incubi avevo bisogno solo ed unicamente di te, delle tue braccia, del profumo dei tuoi capelli.
E poi ho avuto paura quando ho realizzato che avrei potuto perderti per sempre.
Ho avuto paura, ma poi, un giorno, guardandoti negli occhi, ho smesso di averne."
Resto senza fiato per aver urlato.
Lui invece mi guarda, la bocca leggermente aperta.
È un atto di coraggio per me stessa: mi avvicino a lui lentamente, lascio che le nostre labbra si sfiorino.
Lo bacio senza esitazioni.
Lo bacio perché lo voglio.
Non si ritrae.
I muscoli del mio corpo si sciolgono quando Peeta infila una mano nei miei capelli. È il bacio più lungo della mia vita, ma non ho bisogno di prendere fiato perché ciò che mi serve per respirare ha le labbra attaccate alle mie.
Mi stacco solo per un secondo, il tempo che gli serve per spostare l'attenzione sul mio collo: lo bacia delicatamente causandomi brividi su tutto il corpo.
Infilo una mano sotto la sua maglia, disegno dei cerchi con le dita sulla sua schiena forte.
È tutto inaspettato: le sue mani che cercano la mia pelle, il mio corpo che diventa suo, i suoi occhi che mi chiedono il permesso e io che glielo concedo.
Lascio che si unisca a me senza avere paura, senza fare rumore.

Apro gli occhi.
Le finestre sono aperte, il freddo raggiunge il mio corpo coperto solo dal sottile lenzuolo bianco.
Il ricordo della scorsa notte è vivo nella mia testa e brilla come il fuoco acceso nel buio. Nessun rimpianto.
Sento il corpo di Peeta di fianco al mio, mi giro a guardarlo: i biondi capelli spettinati gli coprono metà del viso, allungò una mano per scoprirgli la fronte. Sorrido.
Parla senza aprire gli occhi:
"Katniss..." dice a voce bassissima,
"Tu mi ami: Vero o Falso?".
Non ho bisogno di pensare, non ho voglia di tirarmi indietro.
Io non ho paura: "Vero.", Rispondo.
Sorride ad occhi chiusi e mi tira a se.
Mi giro e la mia schiena trova il suo petto nudo.
Guardo fuori dalla finestra: il sole sta sorgendo, il cielo si colora di rosa,
Ma quello che sta nascendo non è un nuovo giorno,
Questa è l'alba di una nuova vita.

Fine.

Katniss e Peeta: senza fare rumore. / COMPLETADove le storie prendono vita. Scoprilo ora