CAPITOLO 16

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Seguii la cameriera per altri dieci minuti in un silenzio vagamente imbarazzante.
Diverse volte provai ad attaccare bottone, ma aprivo la bocca senza riuscire a cavarne fuori alcun suono.
Esauriti i classici argomenti di pura formalità, non restò molto di cui parlare, e, a dirla tutta, a nessuna delle due interessava poi così tanto mantenere le apparenze che la buona educazione imponeva.
Per impegnare la mente, mi misi a contare i passi e le svolte, piuttosto frequenti in quei corridoi tutti uguali: sinistra, destra, destra, sinistra, in una noiosa e monotona cantilena.
Persa nel calcolo delle svolte, per poco non mi schiantai contro la povera cameriera, ferma di fronte ad un imponente portone.
Borbottai imbarazzata qualche parola di scuse che lei ebbe la gentilezza di ignorare: alzò una mano a pugno e bussò, senza però ricevere una risposta.
Le lanciai un'occhiata interrogativa che la donna fece finta di non vedere.
Spinse la porta con decisione, rivelando così una sala da pranzo degna di un palazzo reale, il lungo tavolo al centro imbandita di pietanze di tutti i generi.
Il proprietario sedeva dalla parte opposta della stanza, a capotavola. Alzò la testa e il suo volto segnato dal tempo si piegò in un piccolo sorriso di circostanza.
Dopo le classiche domande di cortesia, mi sedetti e iniziai a fare colazione, con semplici biscotti e una tazza di tè.
《Allora, Elodie, ti trovi bene? Ti sei già ambientata?》
《Sì, signore, mi trovo benissimo. Le sono infinitamente debitrice...non so se potrò mai ripagarla...》
《Non preoccuparti, piccola, avrei dovuto adottarti anni fa, ma una serie di circostanze me lo hanno impedito.》 ribattè lui.
《Comunque puoi chiamami Maxime》aggiunse facendo l'occhiolino.
《Va bene signor- ehm...Maxime》mormorai abbassando la testa.
Intorno a noi calò un silenzio pesante come panno, rotto soltanto dall'occasionale tintinnio delle posate contro la candida ceramica delle stoviglie.
Non appena finii di mangiare, mi diressi decisa verso la biblioteca, dopo aver salutato educatamente l'uomo che, in fondo, mi aveva tolto dalla strada.
Sospirai, richiudendomi la porta alle spalle.
Finalmente avrei potuto mettere a tacere la curiosità che mi assillava.
Cercai con lo sguardo la scaletta, ed eccola lì, nascosta dalla grande scala di legno che permetteva l'accesso ai piani superiori della biblioteca.
Non stavo più nella pelle.
Salii svelta la piccola scala a pioli, sebbene il vaporoso vestito mi intralciasse non poco.
Con un po' di fatica, feci forza sui polsi e mi ritrovai supina sul pavimento di quercia.
Mi guardai intorno.
Gran parte dei mobili della mansarda erano ricoperti da teli bianchi e polverosi.
Ricostruii nella mente gli oggetti nella stanza coperti dai lenzuoli.
E rimasi basita.
Quella non era l'ennesima ala della biblioteca, ma una camera da letto. C'era tutto: letto, comodino, toeletta, e pile di libri in tutta la stanza, in ordine casuale e disordinato.
Come se nessuno avesse toccato nulla, ma avesse soltanto posato delicatamente quei teli per proteggere la stanza dal tempo.
Mi avvicinai al comodino, sfiorandolo lieve con la punta delle dita. Dalla piccola finestrella rotonda sopra la testiera del letto partiva un fascio di luce, che illuminò un plico di fogli.
Un fascicolo.
Mia avicinai perplessa, e sbarrai gli occhi quando lessi il nome sul frontespizio.
Amy.
Amy Caulter.

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