CAPITOLO 14

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《Al fuoco! La casa di Meghan Wonders sta bruciando!》
Il mio cuore perse un battito.
Diversi pensieri iniziarono a vorticarmi per la mente come un mulinello, mentre gettavo a terra la forma di pane e mi precipitavo verso la casa in fiamme.
No.
Non può essere.
Non di nuovo.
Il fuoco aveva già consumato gran parte della casa, avido.
È tardi.
Sei arrivata tardi.
Non puoi più fare nulla.
Non puoi fermarlo.
Ansimando, mi fermai davanti alla staccionata che circondava il giardino. E la scena che si presentó davanti ai miei occhi fu un doloroso déjà-vu.
Decine di persone correvano con secchi in mano, cercando di domare il fuoco con misere porzioni d'acqua, chiedendo di rinforzi che non sarebbero arrivati.
Ed esattamente come accadde quella prima volta, io potevo soltanto guardare impotente le fiamme che divampavano, cancellando quel luogo che avevo chiamato "casa".
Le orecchie fischiavano, sentivo soltanto l'odore acre del fumo e le lacrime che rigavano il mio volto, non avevo voce per il grido che avevo in gola.
Un dolore atroce mi esplose nel petto, come un' esplosione che si propaga in lungo e in largo, lasciando dietro di sé aridità e dolorosa consapevolezza.
Non provavo dolore per mia zia, no.
Lei non aveva mai meritato il mio affetto, né aveva dimostrato di desiderarlo.
Avevo di nuovo perso tutto.
Il piccolo mondo che mi ero faticosamente ricostruita, era stato di nuovo raso al suolo. Tutti gli sforzi per far germogliare la speranza e la fiducia nel mio cuore, sfumati, polverizzati.
Rimasi lì, in piedi, cercando di contenere il vuoto dentro me.
Una domanda si fece largo nel caos, spintonando via gli altri pensieri.
Perché?
E subito ne seguì un'altra, che si affiancò alla prima.
Chi?
Chiusi gli occhi.
Ero stanca, le palpebre diventarono improvvisamente pesanti, e l'ultima cosa che vidi prima del buio fu Salem, che mi guardava serio, formulando con le labbra sottili una breve frase.
Te l'avevo detto.
Rimasi lì, in quella fredda sera di marzo, rannicchiata nel mio stesso abbraccio per un tempo che non saprei definire.

Un di formicolio alle dita mi costrinse a muovere pigramente le mani, facendomi uscire dallo stato di trance in cui ero sprofondata. Sebbene mi trovassi ancora nel sottile limbo tra il sonno e la veglia, mi resi subito conto di una cosa.
Ero al caldo, su una superficie morbida e profumata.
I suoni mi giungevano ovattati, come se mi fossi trovata ad un'enorme distanza dal mio corpo.
Provai ad aprire gli occhi, ma li richiusi quasi subito per una fastidiosa lama di luce che ferì il mio sguardo.
Mi stiracchiai svogliatamente, avvertendo molteplici dolori in tutto il corpo, e pian piano riprovai a dare una sbirciata al luogo in cui mi trovavo.
Mi trovavo al centro di una lussuosa stanza da letto, dai delicati toni azzurro polvere.
Un imponente armadio di mogano scuro torreggiava di fronte a me.
Due delicate tende di pizzo incorniciavano la finestra socchiusa.
Ignorando gli acciacchi provai a mettermi seduta, e successivamente ad alzarmi, poggiando i piedi sul morbido scendiletto.
"Questo letto è talmente alto che se cadessi rischierei di farmi seriamente male" riflettei, dirigendimi verso la finestra.
Scostai le tendine, e rabbrividii per l'aria frizzante che mi accarezzó il viso.
"Elodie."
Mi girai di scatto. Il viso pallido rigato da lacrime di sangue, ormai più che conosciuto, con voce rotta ricominció a parlare, riprendendo da dove si era interrotto.
《Sei in pericolo. Non ascoltare nulla di quel che ti dice lui. Scappa appena puoi... vieni da me. Sai dove trovarmi.》
Io scossi la testa e aprii la bocca per controbattere, ma Salem si era dissolto.
"Ma perché continua a dire che sono in pericolo? Avrebbe potuto spiegarsi meglio..."

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